Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 dicembre 2020, n. 27912

Licenziamento per superamento del periodo di comporto, Non
conoscibilità da parte del datore di lavoro della nuova malattia, Rilevanza
oggettiva della malattia, Non sussiste, Mero elemento di fatto al fine del
computo del periodo di comporto

 

Fatti di causa

 

Il Tribunale di Bergamo, con la sentenza n.
707/2017, resa il 3.10.2017, respingeva l’opposizione proposta, ai sensi dell’art. 1, comma 51, della I. n. 92 del
2012, dalla S.p.A. Officine V.V., avverso l’ordinanza con cui era stata
accolta l’impugnazione del licenziamento intimato a I.N. per superamento del
periodo di comporto e condannata la società alla reintegrazione ed al risarcimento
del danno ex art. 18, quarto
comma, della I. n. 300 del 1970.

La Officine V.V. S.p.A. proponeva reclamo ex art. 1, comma 58, della I. n. 92
citata, avverso la predetta pronunzia, chiedendone la riforma integrale.

La Corte di Appello di Brescia, con sentenza
pubblicata il 6.3.2018, ha accolto il reclamo e, in riforma della sentenza del
primo giudice, ha respinto <<la domanda di impugnazione del licenziamento>>,
condannando il lavoratore alla rifusione delle spese di lite dei gradi di
merito, oltre accessori, come per legge.

I giudici di secondo grado, per quanto ancora di
rilievo in questa sede, hanno osservato che coglie nel segno la censura
sollevata dalla società relativamente al fatto che <<il primo giudice ha
omesso la valutazione di un elemento di fatto essenziale: la non conoscibilità
da parte del datore di lavoro della nuova malattia del 12.12.2016 all’atto del
licenziamento>>, in quanto, <<come risultava dallo stesso
certificato medico già prodotto nella fase urgente, il certificato era stato
rilasciato dal medico curante del lavoratore solo il giorno 13.12.2016; e tale
circostanza era stata espressamente sottolineata nel ricorso in opposizione,
nel quale si era chiarito che il lavoratore aveva fatto pervenire il
certificato in data 13.12.2016, quando ormai il licenziamento era stato
intimato con la spedizione della lettera raccomandata>>; che, pertanto,
<<è evidente che il datore di lavoro nel computare i giorni di assenza
rilevanti ai fini del superamento del comporto non poteva tenere conto della
nuova malattia>>; e che, <<peraltro, anche nel caso in cui si
volesse considerare il successivo episodio del 12.12.2016, la sentenza non
risulta condivisibile nella parte in cui, superando la presunzione di
continuità della malattia, ha omesso di considerare nel computo dei giorni di
malattia le giornate dell’8 (giovedì festivo), 9 (venerdì concesso ai
dipendenti come “ponte”), 10 (sabato lavorativo a zero ore) e 11
(domenica) dicembre.

Per la cassazione della sentenza I.N. ha proposto
ricorso affidato a due motivi, ulteriormente illustrati da memoria.

La Officine V.V. S.p.A. ha resistito con
controricorso ed ha comunicato memorie.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo si deduce la
<<violazione e falsa interpretazione dell’art.
2110, nonché art. 2 titolo VI ccnl meccanici industria>>, per avere
la Corte di merito erroneamente ritenuto che il giorno 12.12.2016, ancorché
coperto da certificato di malattia, non potesse ritenersi utile a tal fine,
poiché la certificazione relativa era pervenuta al datore di lavoro soltanto il
13.12.2016, con la conseguenza che quest’ultimo, <<nel computare i giorni
di assenza rilevanti ai fini del comporto non poteva tener conto della nuova
malattia>>.

2. Con il secondo motivo si denunzia, in riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la
<<violazione e falsa interpretazione dell’art.
2110 c.c., dell’art. 2 I.
604/66 e art. 2 titolo VI CCNL Meccanici Industria>>, poiché
<<la Corte d’Appello si è espressa anche sull’ipotesi subordinata di
computo del giorno 12.12.2016 quale inizio dell’ultimo episodio morboso,
ritenendo che anche in tale ipotesi il periodo di comporto sarebbe stato
superato dal lavoratore, in ragione del fatto che si dovevano considerare i
giorni 8, 9, 10 e 11 dicembre 2016 che rientrerebbero nel “principio
giurisprudenziale di presunzione di continuità della malattia”, secondo il
quale dovrebbero computarsi come malattia i giorni festivi e non lavorativi
cadenti tra il termine di un certificato e l’inizio di un certificato successivo>>.
Secondo il ricorrente, i giudici di secondo grado non avrebbero tenuto conto
del fondamentale principio in tema di licenziamento della immutabilità delle
ragioni indicate nella lettera di licenziamento, pacificamente applicabile
anche al recesso per superamento del periodo di comporto, e non per tabulas che
<<la società, nella lettera di licenziamento del 12.12.2016, ha indicato
tra i giorni computati nel superamento del comporto, relativamente all’ultimo
periodo, quello intercorrente tra il “29.11.2016 ed il 7.12.2016 per 9
giorni”>>.

1.1. Il primo motivo il motivo – che attiene alla
prima ratio decidendi su cui la sentenza impugnata si fonda – non può essere
accolto relativamente ad alcuna delle due censure sollevate, in quanto le
doglianze mosse alla sentenza impugnata non colgono nel segno e presentano,
altresì, profili di inammissibilità, laddove si prospetta esclusivamente una
diversa valutazione dei fatti rispetto alla (peraltro esaustiva e
condivisibile) ricostruzione operata dalla Corte di merito, senza, peraltro,
provare gli assunti sui quali le doglianze si fondano. Ed invero, il
ricorrente, nel censurare le statuizioni contenute nella sentenza impugnata,
non ha indicato, per ciascuna delle ragioni esposte nella sentenza sul punto
oggetto della controversia, le contrarie ragioni, di fatto e di diritto, idonee
a giustificare le censure, né sotto quale profilo, le disposizioni censurate
sarebbero state incise, in spregio alla prescrizione di specificità dell’art. 366, primo comma, n. 4, c.p.c., che esige che
il vizio della sentenza previsto dall’art. 360,
primo comma, n. 3, del codice di rito, debba essere dedotto, a pena di
inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle disposizioni
asseritamente violate, ma, altresì, con specifiche argomentazioni intese
motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto,
contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le
disposizioni regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse
fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le molte,
Cass., Sez. VI, ord. nn. 187/2014; 635/2015; Cass. nn. 19959/2014; 18421/2009).
Peraltro, nella fattispecie, non si configura una questione di interpretazione
del CCNL – per la qual cosa, non ne occorre la produzione – ma vi è,
semplicemente, un riferimento al fatto storico dell’ultimo episodio morboso. Ed
al riguardo, deve escludersi la rilevanza oggettiva della malattia, ancorché
non tempestivamente comunicata al datore di lavoro, in quanto non integrante ex
se ragione obiettiva di illegittimità del licenziamento, ma elemento di fatto
al fine del computo del periodo di comporto, rispetto al quale il datore di
lavoro deve essere necessariamente edotto, tenuto conto del ragionevole spatium
deliberarteli di cui dispone per una valutazione conveniente della sequenza di
episodi morbosi del lavoratore (cfr., tra le molte, Cass.
nn. 25535/2018; 7037/2011) e la
conseguente mobilità del termine esterno di computo.

2.2. Il secondo motivo è inammissibile, avendo ad
oggetto la seconda ratio deciderteli, essendo stata ritenuta infondata la
censura relativa alla prima ratio, sollevata nel primo motivo.

Per le considerazioni innanzi svolte, il ricorso va
rigettato.

3. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono
la soccombenza.

4. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla
data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui
all’art. 13, comma 1 -quater, del
d.P.R. n. 115 del 2002, secondo quanto specificato in dispositivo

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00,
di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed
accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
-bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

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