Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 dicembre 2020, n. 28217

Risarcimento del danno da demansionamento, Lesione della
professionalità, Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, Pronuncia
c.d. doppia conforme

 

Rilevato che

 

– con sentenza in data 3 dicembre 2015, la Corte
d’Appello di Roma ha confermato la decisione del locale Tribunale che aveva
respinto il ricorso proposto da A.B. nei confronti della Banca I. S.p.A. avente
ad oggetto il risarcimento del danno da demansionamento nonché di quello
biologico dovuto alla condotta lesiva asseritamente posta in essere dalla
società e quello patrimoniale ed esistenziale lamentato per effetto dei
comportamenti mobbizzanti dalla stessa posti in essere, per la complessiva
somma di oltre 500,000 euro;

– in particolare, il giudice di secondo grado ha
escluso che nell’originaria assegnazione delle mansioni potesse configurarsi un
potenziale pregiudizio allo sviluppo della professionalità del lavoratore e che
potesse reputarsi provato l’atteggiamento persecutorio lamentato nonché il
dedotto svuotamento di mansioni;

– per la cassazione della sentenza propone ricorso
A.B., affidandolo a due motivi;

– resiste, con controricorso, la I. S.p.A..

 

Considerato che

 

– con il primo motivo di ricorso si deduce omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia nonché la violazione degli artt. 2103
cod. civ., 64 e 65 CCNL,
2697 c.c., 420
comma 5 e 115 e 116
cod. proc. civ.;

– tale motivo, oltre ad essere inammissibilmente
formulato in modo promiscuo, denunciando violazioni di legge o di contratto e
vizi di motivazione senza che nell’ambito della parte argomentativa del mezzo
di impugnazione risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno
o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità,
tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle
censure (v., In particolare, sul punto, Cass. n.
18715 del 2016; Cass. n. 17931 del 2013; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n.
20355 del 2008; Cass. n. 9470 del 2008), nella sostanza, contesta
l’accertamento operato dalla Corte territoriale in ordine alla ritenuta
legittimità del comportamento datoriale a partire dall’originario conferimento
di mansioni relativamente ad una pretesa lesione della professionalità
potenziale del ricorrente;

– parte ricorrente omette di considerare che il
presente giudizio di cassazione, ratione temporis, è soggetto non solo alla
nuova disciplina di cui all’art. 360, co. 1, n. 5,
cod.proc.civ., in base alla quale, le sentenze possono essere impugnate
“per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto
di discussione fra le parti”, ma anche a quella di cui all’art. 348 ter, ult. co . cod. proc. civ., secondo
cui il vizio in questione non può essere proposto con il ricorso per cassazione
avverso la sentenza d’appello che confermi la decisione di primo grado, qualora
il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di
secondo grado, ossia non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d,
doppia conforme (v. sul punto, Cass. n. 4223 del 2016; Cass. n. 23021 del 2014);

– in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 del cod. proc. civ.,
disposto dall’art. 54 co 1, lett.
b), del DL 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012 n. 134 che ha limitato la
impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di
motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per
il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la
conseguenza che, al di fuori del l’indicata omissione, il controllo del vizio
di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del
requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto
dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato
“in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi
in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza
della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale;
motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione
perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano
la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di
validità ( fra le più recenti, Cass. n. 23940 del 2017);

– per quanto concerne la lamentata violazione di
legge, premessa ancora la difficile intellegibilità del motivo di ricorso là
dove lamenta l’insussistenza di un “punto di sutura” fra chiesto e
pronunciato, occorre rimarcare che, in tema di ricorso per cassazione, una
questione di violazione e falsa applicazione degli artt.
115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per
una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di
merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia
posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di
ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo
il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato
come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di
prova soggetti, invece, a valutazione (cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960);

– risulta, d’altro canto, difficilmente
comprensibile la lettura offerta da parte ricorrente della giurisprudenza di
legittimità là dove se ne fa discendere una responsabilità ex art. 2103 cod. civ. del datore di lavoro in ogni
caso di “divergenza fra le mansioni assegnate e le reali capacità del
dipendente”;

– in ogni caso, avuto riguardo alla densa ed
approfondita motivazione della Corte territoriale anche in ordine alle
competenze del tutto minimali del lavoratore, che ne avevano suggerito
l’attribuzione del primo livello del CCNL, deve ritenersi che la dedotta violazione
di legge si traduca in una richiesta di rivalutazione delle risultanze
probatorie non consentita in sede di legittimità;

– con il secondo motivo si deduce la violazione ed
errata applicazione ai sensi dell’art. 360 nn 3 e 5
cod. proc. civ., in relazione agli artt. 2087,
2697 cod. civ., nonche, ancora, 115, 420 comma 5, 112, 91 e 92 cod. proc. civ., nonché 24 Cost.

– premessa la struttura perplessa e di difficile
intellegibilità del motivo, va sottolineata l’inconferenza del dedotto
“travisamento” di date che avrebbe disgregato la “linea logico –
processuale” del ricorrente attesa l’assoluta irrilevanza di tale aspetto
con riguardo all’assegnazione al caveau di via Torino ed alla pretesa attività
di incentivazione di una fusione – che sarebbe stata ideata dal ricorrente –
fra S. e U. essendo stata la stessa soltanto genericamente allegata e rimasta
sfornita di prova;

– a conclusioni non dissimili deve pervenirsi con
riguardo al preteso mobbing ritenuto dalla Corte insussistente ed in ordine
alla cui verificazione, una diversa valutazione non può dirsi ammessa in sede
di legittimità, né può dirsi ipotizzabile, a fronte della compiuta ed
approfondita motivazione del giudice di secondo grado, la lamentata omissione di
pronuncia;

– conclusivamente, deve osservarsi che tutti e tre i
motivi si palesano inammissibili in quanto non si confrontano con la diffusa e
articolata motivazione della Corte di appello, non specificano gli errori in
diritto che sarebbero stati commessi e propongono una rilettura del merito
limitata peraltro ad alcuni punti;

– per quanto concerne la dedotta violazione degli artt. 91 e 92 cod.
proc. civ., per il vero indicata soltanto nel titolo del motivo e non
ulteriormente esplicata, è sufficiente osservare che l’unico onere che incombe
sul giudice è quello di non addossarle alla parte che ha ragione e, nel caso di
specie, ancora una volta parte ricorrente insiste per una rivisitazione del
decisum non ammessa in sede di legittimità;

-alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi,
il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

– le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate
come in dispositivo;

– sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.
1 -bis dell’articolo 13 comma 1
quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la parte
ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese
di lite, che liquida in complessivi euro 8000,00 per compensi e 200,00 per
esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.
1 -bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

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