Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 dicembre 2020, n. 28345

Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato full time, Illegittimità del contratto a chiamata, Dipendente
non rientrante nella fascia di età prevista dalla legge, Carattere della
discontinuità non tipico delle prestazioni di barman, Vizio di ultra-petizione
– Domanda di nullità contrattuale, Rilevio d’ufficio dell’esistenza di una
causa diversa da quella allegata dall’istante

 

Rilevato che

 

1. La Corte di appello di Milano, con la sentenza n.
1131 del 2017, in riforma della pronuncia n. 32 del 2015 del Tribunale della
stessa città, ha accertato la illegittimità del contratto a chiamata del
23.7.2013 (con decorrenza 2.9.2013), intercorso tra I.P. e la E.E. G.A. srl, ha
dichiarato tra le parti la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a
tempo indeterminato, full-time, dal 2.9.2013, con inquadramento del lavoratore
nella posizione contrattuale di 3° livello del CCNL applicato e con qualifica
di barman; ha, inoltre, condannato la società al risarcimento del danno ex art. 32 co. 5 legge n. 183 del 2010
nella misura di quattro mensilità della retribuzione globale di fatto,
respingendo ogni altra istanza proposta con il ricorso introduttivo del
giudizio.

2. Per quello che interessa in questa sede i giudici
di seconde cure, dichiarata l’intervenuta decadenza dall’impugnativa dei
contratti di somministrazione, atteso che l’ultimo di detti contratti era
cessato a luglio 2013 mentre l’impugnativa era datata 25.11.2013, hanno
ritenuto la nullità del contratto a chiamata, stipulato il 23.7.2013, perché il
dipendente non rientrava nella fascia di età prevista dalla legge; inoltre,
hanno rilevato un profilo di nullità anche con riguardo alla prestazione
lavorativa dedotta nel contratto che mal si attagliava alla natura discontinua
della prestazione propria del lavoro a chiamata, precisando che il carattere
della discontinuità non fosse tipico delle prestazioni di barman o di cameriere
di sala, che venivano svolte presso una struttura alberghiera svolgente
attività continuativa; nel caso di specie, poi, la prestazione lavorativa era
stata resa per circa cinque giorni a settimana, con la sola interruzione dei
riposi di legge.

3. Avverso la decisione della Corte territoriale
E.E.G.A. srl ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi,
illustrati anche con memoria, cui ha resistito con controricorso I.P.

4. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

 

Considerato che

 

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112
c.p.c., deducendo, ai sensi dell’art. 360 n. 3
c.p.c., che la Corte di merito era incorsa nei vizi di ultra-petizione o,
comunque, di extra-petizione, per avere riconosciuto la illegittimità del
contratto di lavoro intermittente, intercorso tra le parti, in ragione della
età anagrafica del P. pur non essendo stata mai sollevata una espressa
eccezione formulata in tal senso.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione
e/o falsa applicazione dell’art.
34 del D.lgs. n. 276 del 2003, ai sensi dell’art.
360 n. 3 c.p.c., nonché l’omessa e/o falsa applicazione del disposto di cui
all’art. 1 DM 23.10.2004 perché
la Corte di merito, erroneamente applicando la disposizione sopra richiamata,
non aveva tenuto conto del citato art.
1 del DM che ammette la stipulazione di contratti di lavoro intermittente
con riferimento alle tipologie di attività indicate nella tabella allegata al RD 6.12.1923 n. 2657 (tra cui
erano espressamente comprese le mansioni di “cameriere, personale di
servizio e di cucina negli alberghi, trattorie, esercizi pubblici in
genere….” e aveva disatteso le circolari ministeriali (2.2.2005 e n. 20 del 2012) in materia. E’ stato evidenziato,
altresì, che la discontinuità della prestazione era dimostrata dal fatto che il
contratto di lavoro intermittente si era svolto dal 2.9.2013 al 19.9.2013 e che
in questo ambito il lavoratore aveva alternato la sua prestazione tra 4 e 5
giornate lavorative settimanali, in modo, quindi, conforme alle disposizioni
regolanti la fattispecie.

4. Il primo motivo non è fondato.

5. L’art.
34 del D.lgs. n. 276 del 2003, nella versione modificata dalla legge n. 92 del 2012 e vigente ratione temporis,
come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, prevede che il contratto
di lavoro intermittente può essere concluso con soggetti con più di 55 anni di
età e con soggetti con meno di 25 anni di età, fermo restando in tale caso che
le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro il 25° anno di età.

6. Tale requisito anagrafico concorre, unitamente
agli altri di natura oggettiva, ad individuare il campo di applicazione della
disciplina del lavoro intermittente in quanto costituisce un presupposto per la
stipulazione del contratto.

7. La disposizione è stata ritenuta conforme all’art. 21 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea nonché agli artt. 2 par. 1 e par. 2
lett. a) e all’art. 6 par. 1
della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, che regolano la parità di
trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, perché
perseguendo una finalità legittima di politica del lavoro e del mercato del
lavoro, non determina una discriminazione in ragione dell’età (Corte di Giustizia causa C-143/2016 del 19.7.2017;
Cass n. 4223 del 2018).

8. Quanto alla natura giuridica, esso è un requisito
di liceità del contratto di tipo soggettivo che si accompagna a quelli di tipo
oggettivo riguardanti il carattere discontinuo o intermittente della
prestazione lavorativa ovvero allo svolgimento dell’attività in predeterminati
periodi nell’arco della settimana, del mese o dell’anno.

9. La finalità della norma è quella di favorire
l’accesso dei giovani al mercato del lavoro, ai sensi dell’art. 6, par. 1 della direttiva
2000/78 (Corte di Giustizia del 19.7.2017
C-143/2016 punto 39).

10. La disposizione è stata, poi, ritenuta adeguata
e necessaria per ottenere una certa flessibilità sul mercato del lavoro onde
fornire uno strumento di occupazione per le persone minacciate dalla esclusione
sociale o coinvolte in forme di lavoro illegale (Corte di Giustizia sent.
citata punti 42 e 43).

11. La mancanza di tale requisito, stante la sua
rilevanza in relazione alla struttura del contratto e agli interessi pubblici
sottesi, come sopra evidenziati, determina la nullità del negozio per contrasto
con norme imperative di legge, ai sensi dell’art.
1418 co. 1 cod. civ. (cd. nullità virtuale) e, dall’altro, la possibilità
di una conversione ex art. 1424 cod. civ. ove
il negozio sia idoneo a produrre gli effetti di un’altra fattispecie e previo
accertamento, riservato in via esclusiva al giudice di merito, della volontà
delle parti.

12. Ciò premesso, e venendo all’esame specifico del
motivo di gravame, la ricorrente sostiene che il lavoratore in nessuno degli
atti di causa aveva mai contestato la violazione dei presupposti soggettivi su
cui si fondava la sua assunzione, avendo incentrato le proprie stanze tutte
sulla discontinuità della prestazione resa in favore della struttura
alberghiera e, pertanto, la pronuncia della Corte meneghina, in relazione a
tale profilo, era viziata di ultra-petizione.

13. Orbene, questa Corte ha affermato che il giudice
innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità contrattuale deve
rilevare di ufficio l’esistenza di una causa di quest’ultima diversa da quella
allegata dall’istante, essendo quella domanda pertinente ad un diritto
autodeterminato, sicché è individuata indipendentemente dallo specifico vizio
dedotto in giudizio (Cass. n. 15408 del 2016; Cass. n. 26495 del 2019; Cass. n.
8914 del 2019).

14. Il potere di rilievo officioso della nullità del
contratto spetta, poi, anche al giudice investito del gravame relativo ad una
controversia sul riconoscimento di una pretesa che supponga la validità ed
efficacia del rapporto contrattuale oggetto di allegazione (nella fattispecie
la E.E. G.A. srl, chiedendo il rigetto della originaria domanda ha, in
sostanza, insistito per la validità e operatività del contratto e del
conseguente rapporto di lavoro) e che sia stata decisa dal giudice di primo
grado senza che questi abbia prospettato ed esaminato tali validità ed
efficacia, né le parti ne abbiano discusso, trattandosi di questione afferente
a fatti costitutivi della domanda ed integranti, perciò, una eccezione in senso
lato, rilevabile di ufficio anche in appello ex art.
345 c.p.c. (Cass. n. 19251 del 2018; Cass. n. 8841 del 2017): ciò al fine
che non si formi un giudicato su una questione riguardante la patologia di uno
strumento contrattuale privo di un requisito della fattispecie legale.

15. Nel caso de quo, inoltre, va rilevato che nella
articolazione della censura nulla è stato detto sul fatto che la questione, oggetto
della suddetta nullità, sia stata sottoposta preliminarmente al contraddittorio
delle parti.

16. Essendosi, pertanto, i giudici di seconde cure
pronunciati in relazione al bene oggetto della pretesa (Cass. n. 7653 del 2012; Cass. n. 28308 del 2017)
e con riguardo al perimetro delle domande oggetto del contenuto dell’atto, non
è ravvisabile alcun vizio di ultra o extra-petizione che ricorrono, invece,
quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione
(petitum o causa petendi) emetta un provvedimento diverso da quello richiesto
(petitum immediato) oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da
quello conteso (petitum mediato), così pronunciando oltre i limiti delle
pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (Cass. n. 8048 del
2019; Cass n. 9002 del 2018).

17. Il rigetto del primo motivo rende inammissibile
l’altro, riguardante l’altra ratio decidendi della gravata sentenza in ordine
alla rilevata nullità del contratto per mancanza della natura discontinua della
prestazione propria del lavoro a chiamata, perché la censura, essendo divenuta
definitiva l’autonoma statuizione della nullità del contratto per difetto del
requisito anagrafico, anche se accolta non potrebbe produrre in nessun caso
l’annullamento della sentenza (Cass. n. 22753 del 2011; Cass. n. 3886 del 2011; Cass. n. n. 18641 del
2017).

18. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve
essere rigettato.

19. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano
come da dispositivo.

20. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge
24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti
processuali, sempre come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di
legittimità che liquida in euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro
200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1 bis dello stesso art. 13, se
dovuto.

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