L’indennità per ferie non godute, nell’ipotesi in cui sia decorso il termine di 18 mesi previsto dall’art. 10, D.LGS. n. 66/2003, costituisce base contributiva imponibile a prescindere dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Nota a Cass. 17 novembre 2020, n. 26160

Flavia Durval

L’importo corrispondente alla indennità per ferie non godute dal lavoratore, anche se non corrisposta, allorché siano decorsi i 18 mesi successivi al momento di maturazione delle dette ferie ed il rapporto di lavoro non sia cessato, è assoggettabile a contribuzione previdenziale.

Lo chiarisce la Corte di Cassazione (17 novembre 2020, n. 26160, difforme da App. Perugia n. 138/2013) in accoglimento del ricorso proposto dall’INPS secondo cui costituisce base contributiva imponibile l’importo corrispondente alla indennità per ferie non godute nell’ipotesi in cui sia decorso il termine previsto dall’art. 10 del D.LGS. n. 66/2003, a prescindere dalla cessazione del rapporto di lavoro.
La sentenza impugnata aveva affermato che l’art. 10, D.LGS. n. 66/2003 (in attuazione della Direttiva n. 93/104/CE) vieta la corresponsione di una indennità per ferie non fruite tranne che al momento in cui il rapporto di lavoro venga a cessare. Di qui “l’inconfigurabilità dell’obbligo contributivo corrispondente, assumendo la cessazione del rapporto di lavoro il ruolo di presupposto di fatto per l’insorgere del diritto”.

La Corte di merito configura, pertanto, un nesso di dipendenza necessaria tra l’obbligo del datore di lavoro nei confronti del dipendente e l’obbligo datoriale nei riguardi del sistema previdenziale, nel senso che dal momento che il lavoratore non può ottenere una monetizzazione delle ferie non godute, se non alla cessazione del rapporto di lavoro, allo stesso modo l’INPS non può pretendere il pagamento della contribuzione.

Diversamente, la Cassazione si pone in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale (v., da ultimo, Cass. n. 13473/2018, in questo sito con nota di F. ALBINIANO, Indennità sostitutiva per ferie e contributi previdenziali), in base al quale, qualora il rapporto di lavoro sia cessato e non vi sia più possibilità per il lavoratore di fruire dell’intero periodo di ferie maturate, l’indennità sostitutiva di ferie non godute è assoggettabile a contribuzione previdenziale a norma dell’art. 12, L. n. 153/1969, perché:

a) ha carattere retributivo (essendo in rapporto di corrispettività con le prestazioni lavorative effettuate nel periodo di tempo che avrebbe dovuto essere dedicato al riposo) e pertanto si applica l’art. 2126 c.c. per le prestazioni effettuate con violazione di norme poste a tutela del lavoratore;

b) costituendo un’attribuzione patrimoniale riconosciuta a favore del lavoratore in dipendenza del rapporto di lavoro (e non ricompresa nella elencazione tassativa delle erogazioni escluse dalla contribuzione), anche un eventuale suo concorrente profilo risarcitorio (peraltro escluso dall’art. 10, D.LGS. cit.) non potrebbe escludere la riconducibilità dell’erogazione all’ampia nozione di retribuzione imponibile di cui al citato art. 12;

c) secondo tale ultima disposizione, alla base del calcolo dei contributi previdenziali, va posta “la retribuzione dovuta per legge o per contratto individuale o collettivo e non quella di fatto corrisposta”, poiché la formula utilizzata per indicare la retribuzione imponibile (“tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro …”) va intesa nel senso di “tutto ciò che ha diritto di ricevere” (v. fra tante, Cass. n. 27213/2018).

Tutto ciò premesso, precisano i giudici, qualora il lavoratore non abbia usufruito delle ferie maturate entro il termine indicato dall’art. 10 cit. e cioè sia stato impiegato anche mentre avrebbe dovuto riposare, “è certamente integrato il presupposto dell’obbligo contributivo richiesto dall’art. 12, L. n. 153 del 1969, giacché la prestazione è stata resa in un periodo in cui la stessa non avrebbe dovuto essere resa, generandosi una maggiore capacità contributiva, quantificabile in termini economici quale indennità per le ferie non godute, che non può non incidere sugli oneri di finanziamento del sistema previdenziale posti a carico dell’impresa che di tale maggior produzione si è avvantaggiata…”.

Stante inoltre l’inderogabilità dell’obbligazione contributiva, non rileva, ai fini previdenziali, che l’indennità in questione possa venire monetizzata fra le parti del rapporto di lavoro soltanto alla cessazione del rapporto stesso, vale a dire quando una di tali parti o entrambe deciderà di porvi fine. Peraltro, “l’imposizione dell’obbligo contributivo qui sostenuto elimina ogni vantaggio contributivo collegato al lavoro prestato in spregio del diritto alla fruizione regolare delle ferie e, quindi, contrasta tale illegittima prassi. L’eventuale effettiva fruizione in epoca successiva ai diciotto mesi, peraltro, ben potrebbe giustificare il diritto del datore di lavoro a recuperare l’importo dei contributi versati a titolo di indennità per ferie non godute”.

In tema, v., in questo sito, F. DURVAL e A. TAGLIAMONTE, Ferie e retribuzione, Monotema n. 6/2019; M. N. BETTINI, Mancata fruizione delle ferie annuali e indennità sostitutiva, nota a CGUE, 6 novembre 2018, C – 684/16.

Assoggettabilità a contribuzione previdenziale della indennità per ferie non godute
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