Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 dicembre 2020, n. 28621
Nullità del contratto di lavoro a tempo determinato, Mancata
indicazione delle ragioni di carattere tecnico, organizzativo o produttivo,
Indennità risarcitoria, Determinazione
Rilevato che
Il Tribunale di T. accoglieva parzialmente la
domanda presentata da P.L. nei confronti della T.F. s.r.l. Unipersonale,
dichiarando la nullità del contratto di lavoro a tempo determinato sottoscritto
dalle parti il 1.6.11, della durata di un mese, poi prorogato sino al 31.7.11,
stante la mancata indicazione delle ragioni di carattere tecnico, organizzativo
o produttivo di cui all’art. 1 d.lgs n. 381; per l’effetto condannava la
società al pagamento dell’indennità risarcitoria ex art. 32 L. n. 18310, nella
misura di 2,5 mensilità; rigettava invece la domanda diretta ad accertare
l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato,
ritenendola preclusa dall’art.
36 del d.lgs n. 1651.
Avverso tale sentenza proponeva appello la L.;
resisteva la società.
Con sentenza depositata il 26.4.17, la Corte
d’appello di Roma, in parziale riforma della pronuncia impugnata, dichiarava sussistente
tra le parti un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far data
dal 31.7.11, condannando la società alla refusione delle spese del doppio
grado.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso
la società T. illustrato con memoria ex art. 380
bis c.p.c.
Considerato che
1 – Con il primo motivo la società ricorrente
denuncia la violazione dell’art. 132 n.4 c.p.c.
per non aver esaminato e motivato la conferma della declaratoria di nullità del
termine apposto al contratto di lavoro de quo.
Il motivo è infondato.
Deve infatti evidenziarsi che la sentenza di prime
cure venne impugnata solo dalla L. mentre la società si limitò a chiedere il
rigetto della domanda, sicché la Corte capitolina non aveva alcun obbligo di
statuire in ordine alla illegittimità del termine apposto al contratto, già
dichiarata dal Tribunale con statuizione sul punto passata in giudicato.
2 – Con secondo motivo la società denuncia la
violazione eo falsa applicazione dell’art. 36 del d.lgs n. 1651
relativamente alla disposta conversione del rapporto, trattandosi di società a
capitale interamente pubblico mentre la sentenza impugnata aveva ritenuto che
le società a capitale pubblico non fossero di per sé escluse dall’applicazione
del regime privatistico in materia di rapporti di lavoro, ed in particolare,
per quanto qui interessa, la società odierna ricorrente (Cons. Stato n.
57013).
Il motivo è fondato.
Deve infatti osservarsi che se, in tema di società
partecipate, il capitale pubblico non muta, in via di principio, la natura di
soggetto privato della società la quale, quindi, resta assoggettata al regime
giuridico proprio dello strumento privatistico adoperato, ciò avviene salve
specifiche disposizioni di segno contrario o ragioni ostative di sistema che
portino ad attribuire rilievo alla natura pubblica del capitale impiegato e del
soggetto che possiede le azioni della persona giuridica (cfr. Cass. S.U. n. 24591/2016 e con riferimento ai
rapporti di lavoro Cass. S.U. n. 7759/2017); nella specie la disposizione di
segno contrario, come posto in evidenza da Cass.
n. 3621/2018 e Cass. n. 366219,
intervenuta in materia di società “in house”, è rappresentata dall’art. 18 del D.L. n. 112/2008,
convertito con modificazioni dalla legge n.
133/2008 che, nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla legge n. 102/2009 di conversione del D.L. n. 78/2009, al comma 1 estende alle società
a totale partecipazione pubblica che gestiscono servizi pubblici locali i
criteri stabiliti in tema di reclutamento del personale dall’art. 35, comma 3, del d.lgs.
n. 165 del 2001, ed al comma 2 prescrive alle «altre società a
partecipazione pubblica totale o di controllo» di adottare «con propri
provvedimenti criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il
conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione
comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità», prevedendo, inoltre,
al comma 2 bis che « le disposizioni che stabiliscono, a carico delle
amministrazioni di cui all’articolo
1, comma 2, del decreto legislativo n. 1651, e successive modificazioni,
divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, si applicano, in relazione
al regime previsto per l’amministrazione controllante, anche alle società a
partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di
affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgano
funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non
industriale ne’ commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica
amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica
inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come
individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5
dell’articolo 1 della legge 30
dicembre 2004, n. 311; la violazione di tali disposizioni, di carattere
imperativo, comporta che l’omesso esperimento delle procedure concorsuali
previste dal c. 1 e di quelle selettive, richiamate nel c. 2, impedisce la
conversione dei rapporti dedotti in giudizio in rapporti di lavoro subordinato
a tempo indeterminato (Cass. n. 3621/2018,
Cass. n. 2137818).
Il secondo motivo di ricorso va pertanto accolto
perché risulta per tabulas che il primo dei contratti di lavoro dedotti in
giudizio fu stipulato successivamente all’operatività delle disposizioni
contenute nell’art. 18 del
richiamato D.L. n. 112 del 2008 (22.10.2008, sessanta giorni successivi
all’entrata in vigore della legge di conversione), convertito con modificazioni
dalla L. n. 133 del 2008.
In definitiva, rigettato il primo motivo, la
sentenza impugnata deve cassarsi in relazione al secondo motivo accolto, con
rinvio ad altro giudice in dispositivo indicato per l’ulteriore esame della
controversia.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il
primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia,
anche per la regolazione delle spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa
composizione.