Giurisprudenza – CORTE COSTITUZIONALE – Sentenza 09 dicembre 2020, n. 267

Spese di giustizia, Giudici di pace, Giudizi promossi per
fatti inerenti alla funzione, Accertamento negativo di responsabilità,
Diritto al rimborso delle spese legali sostenute, Omessa previsione,
Irragionevolezza, Illegittimità costituzionale in parte qua., Decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito,
con modificazioni, nella legge 23 maggio 1997,
n. 135, art. 18, comma 1., Costituzione, artt.
3, 97, 104,
primo comma, 107 e 108,
secondo comma.

 

Ritenuto in fatto

 

1. – Con ordinanza del 29 ottobre 2019, il Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 18
(recte: comma 1) del decreto-legge 25 marzo 1997,
n. 67 (Disposizioni urgenti per favorire l’occupazione), convertito, con
modificazioni, nella legge 23 maggio 1997, n. 135,
in riferimento agli artt. 3, 97, 104, primo
comma, 107 e 108,
secondo comma, della Costituzione.

La norma censurata violerebbe gli evocati parametri
in quanto, nel prescrivere che le amministrazioni statali rimborsino ai propri
dipendenti nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato le spese
legali relative ai giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa
promossi nei loro confronti in conseguenza di fatti e atti connessi con
l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e
conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, non
prevede che tale rimborso «spetti anche ai funzionari onorari chiamati a
svolgere funzioni sostitutive o integrative, e comunque equivalenti, a quelle
svolte da funzionari di ruolo», o, quantomeno, ai magistrati onorari nominati
ai sensi della legge 21 novembre 1991, n. 374
(Istituzione del giudice di pace).

1.1. – Il giudice a quo riferisce che la ricorrente
nel giudizio principale, assolta con sentenza definitiva da un’imputazione di
corruzione in atti giudiziari per fatti commessi nell’esercizio delle funzioni
di giudice di pace, ha presentato istanza di rimborso delle spese legali
sostenute nel corso del procedimento penale, istanza respinta dal Ministero
della giustizia con l’argomento che il rimborso non è previsto per i giudici
onorari.

Investito dell’impugnazione dell’atto di rigetto, il
TAR Lazio sospetta che il “diritto vivente” formatosi
nell’interpretazione dell’art.
18, comma 1, del d.l. n. 67 del 1997, come convertito, escludendo il
rimborso in favore dei funzionari onorari, e segnatamente del giudice di pace,
violi gli artt. 3, 97,
104, primo comma, 107
e 108, secondo comma, Cost.

L’art. 3 Cost.
sarebbe violato in quanto l’esclusione del rimborso determinerebbe
un’irragionevole disparità di trattamento con riferimento «quantomeno a quei
funzionari onorari che svolgano funzioni sostitutive/integrative, ed in ogni
caso di valore equivalente, rispetto a quelle svolte da funzionari “di
ruolo”»; con specifico riguardo ai magistrati onorari, l’omesso
riconoscimento del diritto al rimborso ne lederebbe l’indipendenza, tutelata
dagli artt. 104, primo comma, 107 e 108, secondo
comma, Cost., potendo inoltre «incidere sulla qualità del servizio e,
quindi, sul buon andamento della amministrazione della giustizia», con
violazione anche dell’art. 97 Cost.

1.2. – Il rimettente esclude di poter operare
un’interpretazione costituzionalmente orientata, poiché l’estensione del
rimborso ai funzionari onorari è inequivocabilmente impedita dalla lettera
della norma, che, indicando come beneficiari i «dipendenti di amministrazioni
statali» e come obbligate al rimborso le «amministrazioni di appartenenza»,
testualmente riserva il beneficio ai soggetti legati allo Stato da un rapporto
di impiego.

Secondo il giudice a quo, le questioni sono
rilevanti ai fini del decidere, poiché l’esclusione dei magistrati onorari dal
novero di coloro che hanno diritto al rimborso di cui all’art. 18, comma 1, del d.l. n. 67
del 1997, come convertito, «costituisce l’unica ragione posta a fondamento
dell’atto impugnato nel presente giudizio».

Non potrebbe ritenersi invaso lo spazio di
discrezionalità appartenente al legislatore, in quanto l’estensione del diritto
al rimborso ai magistrati onorari sarebbe una necessaria conseguenza
dell’equivalenza tra le loro funzioni e quelle del magistrato professionale.

2. – Si è costituita in giudizio la parte privata,
chiedendo accogliersi le questioni sollevate e dichiararsi illegittima la norma
censurata, «limitatamente alla parte in cui tale norma non prevede il rimborso
delle spese legali anche a favore dei magistrati onorari».

3. – E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha
chiesto dichiararsi le questioni inammissibili o, in subordine, infondate.

3.1. – Le questioni sarebbero inammissibili per
insufficiente motivazione sulla rilevanza, derivante dall’inadeguata
descrizione della fattispecie, in quanto l’ordinanza di rimessione non
evidenzia in modo specifico il nesso tra l’attività giudiziaria
dell’interessata e i fatti dedotti nell’imputazione a suo carico, nesso che
invece dovrebbe emergere in termini di stretta inerenza funzionale e non di
mera occasionalità.

Il TAR Lazio avrebbe inoltre omesso di verificare la
propria giurisdizione, che l’Avvocatura generale reputa carente «nella pacifica
insussistenza di un rapporto di pubblico impiego».

3.2. – Le questioni sarebbero comunque infondate nel
merito, poiché la norma censurata ha carattere eccezionale ed esprime una
scelta discrezionale del legislatore, non potendosi la tutela estendere
dall’una categoria all’altra, considerata «[l]a diversità di status giuridico
ed economico fra pubblici impiegati e funzionari onorari».

3.3. – In prossimità dell’udienza, l’Avvocatura ha
depositato memoria illustrativa.

 

Considerato in diritto

 

1. – Il Tribunale amministrativo regionale per il
Lazio ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 18 (recte: comma 1) del
decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67 (Disposizioni urgenti per favorire
l’occupazione), convertito, con modificazioni, nella legge
23 maggio 1997, n. 135, in riferimento agli artt.
3, 97, 104,
primo comma, 107 e 108,
secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non riconosce ai
funzionari onorari con funzioni equivalenti a quelle dei funzionari di ruolo –
e specificamente al giudice di pace – il diritto al rimborso viceversa
riconosciuto ai dipendenti statali per le spese legali sostenute nei giudizi di
responsabilità, quando questi siano stati promossi per fatti di servizio e si
siano conclusi con accertamento negativo della responsabilità.

Ad avviso del rimettente, la mancata previsione del
rimborso determinerebbe un’irragionevole disparità di trattamento in danno dei
funzionari onorari e ciò si tradurrebbe, riguardo ai magistrati onorari, in una
lesione dell’indipendenza, oltre che in un ostacolo al buon andamento
dell’amministrazione della giustizia.

2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri,
intervenuto tramite l’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato due
eccezioni di inammissibilità, l’una per carenza di giurisdizione del rimettente
e l’altra per insufficiente descrizione della fattispecie.

2.1. – L’eccezione relativa al difetto di
giurisdizione è priva di fondamento.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte,
per determinare l’inammissibilità della questione incidentale di legittimità
costituzionale il difetto di giurisdizione del giudice a quo deve essere
macroscopico, quindi rilevabile ictu oculi (ex plurimis, sentenze n. 99 e n. 24 del 2020, n. 189 del 2018,
n. 269 del 2016, n. 106 del 2013 e n. 179 del
1999; ordinanze n. 318 del 2013, n. 291 del
2011 e n. 167 del 1997).

Nella specie, in base a quanto risulta
dall’ordinanza di rimessione, la parte privata ha adito il TAR Lazio per
ottenere l’annullamento del diniego di rimborso emesso dal Ministero della
giustizia e la pertinente pronuncia di condanna, petitum il cui titolo la
ricorrente ha indicato nella natura subordinata del suo rapporto di servizio
quale giudice di pace, o comunque nell’equiparazione funzionale tra il
magistrato onorario e il magistrato professionale, entrambi appartenenti
all’ordine giudiziario.

In costanza di questi assunti, la sussistenza della
giurisdizione amministrativa non può essere esclusa ictu oculi, atteso peraltro
che l’Avvocatura generale non ha dedotto nei propri scritti difensivi di aver
sollevato l’eccezione di difetto di giurisdizione innanzi al giudice a quo.

2.2. – Priva di fondamento è anche l’eccezione di
insufficiente descrizione della fattispecie.

L’inadeguata descrizione della fattispecie oggetto
del giudizio a quo da parte dell’ordinanza di rimessione determina
l’inammissibilità della questione incidentale di legittimità costituzionale se
e in quanto impedisce il controllo di rilevanza della questione medesima (ex
plurimis, sentenze n. 199 e n. 105 del 2019, n. 22 del 2018; ordinanze n. 147 e n. 92 del 2020, n. 103 e n. 64 del 2019, n. 242 del 2018, n. 187 e n. 12 del 2017).

Peraltro, in virtù dell’autonomia tra il giudizio
incidentale di legittimità costituzionale e il giudizio principale, questa
Corte, nel delibare l’ammissibilità della questione, effettua in ordine alla
rilevanza solo un controllo “esterno”, applicando un parametro di non
implausibilità della relativa motivazione (ex plurimis, sentenze n. 224 e n. 32
del 2020, n. 85 del 2017 e n. 228 del 2016; ordinanze n. 117 del 2017 e n. 47
del 2016).

Nell’ordinanza di rimessione, il TAR Lazio ha
motivato sulla rilevanza delle questioni nei seguenti termini: posto che
l’esclusione dei magistrati onorari dal novero dei soggetti che possono fruire
del diritto al rimborso delle spese legali «costituisce l’unica ragione posta a
fondamento dell’atto impugnato nel presente giudizio», la declaratoria di
illegittimità costituzionale di tale esclusione comporterebbe l’annullamento
dell’atto medesimo, «con conseguente obbligo della Amministrazione di
rideterminarsi tenendo conto della astratta ammissibilità della ricorrente al beneficio,
e procedendo quindi a valutare se sussistano, in concreto, i requisiti indicati
dalla norma per concederle il rimborso delle spese legali».

Tale motivazione supera il vaglio di non
implausibilità, mentre l’eccezione dell’Avvocatura, appuntandosi
sull’inadeguata descrizione del nesso funzionale che integra il presupposto
oggettivo del diritto al rimborso, si colloca “a valle” delle
questioni, viceversa limitate alla astratta titolarità soggettiva di quel
diritto.

3. – Occorre procedere quindi all’esame di merito
delle sollevate questioni, che tuttavia vanno preliminarmente dimensionate,
onde garantirne l’aderenza alla fattispecie soggettiva del giudizio a quo.

Questo riguarda invero – non genericamente i
funzionari onorari con «funzioni sostitutive o integrative, e comunque
equivalenti», di cui fa menzione l’ordinanza di rimessione, bensì – quel
particolare funzionario onorario che è il giudice di pace, con riferimento al
quale, pertanto, il petitum additivo deve essere circoscritto.

3.1. – Sempre al fine di individuare esattamente il
petitum del giudizio incidentale, occorre altresì precisare che, benché nel
dispositivo il giudice a quo abbia fatto riferimento all’intero art. 18 del d.l. n. 67 del 1997,
come convertito, il sospetto di illegittimità costituzionale ha ad oggetto,
come chiaramente si evince dalla complessiva motivazione dell’ordinanza di
rimessione, il solo comma 1 della norma, concernente appunto la titolarità del
diritto al rimborso delle spese di patrocinio.

Si rammenta che, per costante giurisprudenza di
questa Corte, è possibile circoscrivere l’oggetto del giudizio di legittimità
costituzionale ad una parte della disposizione censurata, se ciò è suggerito
dalla motivazione complessiva dell’ordinanza di rimessione (ex plurimis,
sentenze n. 223 del 2020, n. 97 del 2019, n. 35 del 2017 e n. 203 del 2016).

4. – La questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost. è fondata.

5. – Nel prevedere il rimborso delle spese di
patrocinio legale sostenute nei giudizi promossi per fatti inerenti alla
funzione e conclusisi con accertamento negativo di responsabilità, l’art. 18, comma 1, del d.l. n. 67
del 1997, come convertito, testualmente individua i beneficiari del
rimborso nei «dipendenti di amministrazioni statali» e le «amministrazioni di
appartenenza» quali obbligate, sicché è corretta la premessa da cui muove il
rimettente, vale a dire l’impossibilità di estendere per via interpretativa il
diritto al rimborso a soggetti che operano nell’interesse dell’amministrazione
al di fuori da un rapporto di impiego.

D’altronde, per univoca giurisprudenza della Corte
di cassazione (tra le tante, sezione prima civile, sentenza
10 dicembre 2004, n. 23138) e del Consiglio di Stato (da ultimo, sezione
quarta, sentenza 13 gennaio 2020, n. 281), la norma censurata ha carattere
eccezionale, è di stretta interpretazione, e quindi non è suscettibile di
estensione per analogia.

5.1. – L’estensione è stata talora operata dal
legislatore per specifiche categorie di funzionari onorari, segnatamente per
gli amministratori degli enti locali, ai quali ultimi il beneficio del rimborso
è stato invero riconosciuto, sia pure a determinate condizioni (assenza di
conflitto di interessi con l’ente amministrato, presenza di nesso causale tra
funzioni esercitate e fatti rilevanti, insussistenza di dolo o colpa grave),
dall’art. 86, comma 5, del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali), sostituito dall’art. 7-bis, comma 1, del
decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di
enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di
sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del
Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni
industriali), convertito, con modificazioni, nella legge
6 agosto 2015, n. 125.

Anteriormente, la tutela legale di fonte collettiva
riconosciuta ai dipendenti degli enti locali dall’art. 67 del d.P.R. 13 maggio 1987,
n. 268 (Norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo sindacale,
per il triennio 1985-1987, relativo al comparto del personale degli enti
locali), era stata dichiarata non estensibile agli amministratori degli enti
medesimi, appunto in difetto di un rapporto di impiego (tra le molte, Corte di
cassazione, sezione terza civile, sentenza 25 settembre 2014, n. 20193, e
sezione lavoro, sentenza 1° dicembre 2011, n. 25690).

5.2. – Il rimborso ha tratti peculiari nei giudizi
di responsabilità amministrativa, per i quali l’art. 31, comma 2, del decreto
legislativo 26 agosto 2016, n. 174 (Codice di giustizia contabile, adottato ai
sensi dell’articolo 20 della
legge 7 agosto 2015, n. 124), dispone: «[c]on la sentenza che esclude
definitivamente la responsabilità amministrativa per accertata insussistenza
del danno, ovvero, della violazione di obblighi di servizio, del nesso di causalità,
del dolo o della colpa grave, il giudice non può disporre la compensazione
delle spese del giudizio e liquida, a carico dell’amministrazione di
appartenenza, l’ammontare degli onorari e dei diritti spettanti alla difesa».

Per questa tipologia di giudizi vige quindi un
regime particolare, nel quale – come da questa Corte osservato con la sentenza
n. 41 del 2020 – il diritto al rimborso, di immediata attuazione giudiziale,
non è esposto al rischio di compensazione in caso di proscioglimento nel merito.

5.3. – E’ opportuno altresì rammentare quanto
rilevato in occasione della declaratoria di non fondatezza delle questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, della legge della Provincia
autonoma di Trento 27 agosto 1999, n. 3 (Misure collegate con l’assestamento
del bilancio per l’anno 1999), che, in sede di interpretazione autentica
dell’art. 92, comma 1, della legge della Provincia autonoma di Trento 29 aprile
1983, n. 12 (Nuovo ordinamento dei servizi e del personale della Provincia
autonoma di Trento), ha riconosciuto «il rimborso anche delle spese legali,
peritali e di giustizia sostenute per la difesa nelle fasi preliminari di
giudizi civili, penali e contabili […] anche nei casi in cui è stata disposta
l’archiviazione del procedimento penale o del procedimento volto
all’accertamento della responsabilità amministrativa o contabile».

Questa Corte ha evidenziato che tale disposizione,
insieme all’art. 18, comma 1,
del d.l. n. 67 del 1997, come convertito, e all’art. 31, comma 2, cod.
giust. contabile, «si inserisce nel quadro di un complessivo apparato normativo
volto a evitare che il pubblico dipendente possa subire condizionamenti in
ragione delle conseguenze economiche di un procedimento giudiziario, anche
laddove esso si concluda senza l’accertamento di responsabilità» (sentenza n.
189 del 2020).

Ai fini del riparto della competenza tra lo Stato e
la Provincia autonoma, la medesima sentenza ha affermato che la citata norma,
prevedendo il rimborso anche per le fasi preliminari dei giudizi e per quelli
conclusi con l’archiviazione, «attiene non al rapporto di impiego – e quindi
alla competenza statale in materia di “ordinamento civile” – bensì al
rapporto di servizio», appunto perché «volta a soddisfare esigenze, di sicuro
rilievo pubblicistico, attinenti all’organizzazione dell’amministrazione
provinciale, secondo criteri di efficienza e qualità dei servizi».

6. – Ai sensi dell’art. 1, comma 2, della legge 21
novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace), «[l]’ufficio del
giudice di pace è ricoperto da un magistrato onorario appartenente all’ordine
giudiziario».

L’art.
1 del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116 (Riforma organica della
magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché
disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma
della legge 28 aprile 2016, n. 57), dopo aver
ribadito che «[i]l “giudice onorario di pace” è il magistrato
onorario addetto all’ufficio del giudice di pace» (comma 1), aggiunge che
«[l]’incarico di magistrato onorario ha natura inderogabilmente temporanea, si
svolge in modo da assicurare la compatibilità con lo svolgimento di attività
lavorative o professionali e non determina in nessun caso un rapporto di
pubblico impiego» (comma 3).

6.1. – Questa Corte ha più volte affermato che la
posizione giuridico-economica dei magistrati professionali non si presta a
un’estensione automatica nei confronti dei magistrati onorari tramite
evocazione del principio di eguaglianza, in quanto gli uni esercitano le
funzioni giurisdizionali in via esclusiva e gli altri solo in via concorrente.

Enunciata a proposito del trattamento economico dei
componenti delle commissioni tributarie (ordinanza n. 272 del 1999) e per
quello dei vice pretori onorari (ordinanza n. 479 del 2000), l’affermazione è
stata ripetuta anche per i giudici di pace, sia in tema di cause di
incompatibilità professionale (sentenza n. 60 del
2006), sia in ordine alla competenza per il contenzioso sulle spettanze
economiche (ordinanza n. 174 del 2012).

7. – In sede di rinvio pregiudiziale, la Corte di
giustizia dell’Unione europea ha stabilito che l’art. 267 del Trattato sul
funzionamento dell’Unione europea, come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13
dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2
agosto 2008, n. 130, deve essere interpretato nel senso che il giudice di
pace italiano rientra nella nozione di «giurisdizione di uno degli Stati
membri», in quanto organismo di origine legale, a carattere permanente,
deputato all’applicazione di norme giuridiche in condizioni di indipendenza
(Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 16 luglio 2020, in causa
C-658/18, UX).

Nella medesima sentenza, considerate le modalità di
organizzazione del lavoro dei giudici di pace, la Corte di giustizia ha
affermato che essi «svolgono le loro funzioni nell’ambito di un rapporto
giuridico di subordinazione sul piano amministrativo, che non incide sulla loro
indipendenza nella funzione giudicante, circostanza che spetta al giudice del
rinvio verificare».

Quindi, interpretando gli artt. 1, paragrafo 3, e 7 della direttiva 2003/88/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni
aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, nonché le clausole 2 e 4
dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999,
allegato alla direttiva 1999/70/CE del
Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP
sul lavoro a tempo determinato, la Corte di Lussemburgo, riportata la figura
del giudice di pace alla nozione di «lavoratore a tempo determinato», ha
stabilito, con riferimento al tema specifico delle ferie annuali retribuite,
che differenze di trattamento rispetto al magistrato professionale non possono
essere giustificate dalla sola temporaneità dell’incarico, ma unicamente «dalle
diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni di cui detti
magistrati devono assumere la responsabilità».

Nell’ambito di tale valutazione comparativa assume
rilievo – osserva ancora la Corte di giustizia – la circostanza che per i soli
magistrati ordinari la nomina debba avvenire per concorso, a norma dell’art. 106, primo comma, Cost., e che a questi
l’ordinamento riservi le controversie di maggiore complessità o da trattare
negli organi di grado superiore.

8. – La differente modalità di nomina, radicata
nella previsione dell’art. 106, secondo comma,
Cost., il carattere non esclusivo dell’attività giurisdizionale svolta e il
livello di complessità degli affari trattati rendono conto dell’eterogeneità
dello status del giudice di pace, dando fondamento alla qualifica
“onoraria” del suo rapporto di servizio, affermata dal legislatore
fin dall’istituzione della figura e ribadita in occasione della riforma del
2017.

Questi tratti peculiari non incidono tuttavia
sull’identità funzionale dei singoli atti che il giudice di pace compie
nell’esercizio della funzione giurisdizionale, per quanto appunto rileva agli
effetti del rimborso di cui alla norma censurata.

La ratio di tale istituto – individuata da questa
Corte, come già visto, nella sentenza n. 189 del 2020, con richiamo al fine di
«evitare che il pubblico dipendente possa subire condizionamenti in ragione
delle conseguenze economiche di un procedimento giudiziario, anche laddove esso
si concluda senza l’accertamento di responsabilità» – sussiste per l’attività
giurisdizionale nel suo complesso, quale funzione essenziale dell’ordinamento
giuridico, con pari intensità per il giudice professionale e per il giudice
onorario.

In questo senso, come pure rilevato dalla medesima
sentenza, il beneficio del rimborso delle spese di patrocinio «attiene non al
rapporto di impiego […] bensì al rapporto di servizio», trattandosi di un
presidio della funzione, rispetto alla quale il profilo organico appare
recessivo.

9. – Deve rammentarsi quanto questa Corte ha avuto
modo di osservare all’indomani dell’emanazione della legge
n. 374 del 1991, istitutiva del giudice di pace, cioè che «mentre il
giudice conciliatore era per più ragioni un giudice minore, il giudice di pace
si affianca – limitatamente al giudizio di primo grado – alla magistratura
ordinaria nell’auspicata prospettiva che questo più elevato livello, così
realizzato, consenta una risposta più adeguata, da parte dell’ordine
giudiziario nel suo complesso, alla sempre crescente domanda di giustizia»
(sentenza n. 150 del 1993).

Particolarmente significativa agli effetti
dell’odierna questione – che involge le spese di patrocinio nei giudizi di
responsabilità – appare la posizione del giudice di pace nei giudizi di rivalsa
dello Stato a titolo di responsabilità civile, in quanto l’art. 7, comma 3, della legge 13
aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle
funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), mentre nel testo
originario limitava la responsabilità del giudice conciliatore al solo caso di
dolo, nel testo modificato dall’art.
4, comma 1, della legge 27 febbraio 2015, n. 18 (Disciplina della
responsabilità civile dei magistrati), non distingue il giudice di pace da
quello professionale, entrambi chiamati a rispondere anche per negligenza
inescusabile.

10. – Attesa l’identità della funzione del
giudicare, e la sua primaria importanza nel quadro costituzionale, è
irragionevole che il rimborso delle spese di patrocinio sia dalla legge
riconosciuto al solo giudice “togato” e non anche al giudice di pace,
mentre per entrambi ricorre, con eguale pregnanza, l’esigenza di garantire
un’attività serena e imparziale, non condizionata dai rischi economici connessi
ad eventuali e pur infondate azioni di responsabilità.

Ciò rilevato sul piano della titolarità soggettiva,
resta fermo che l’insorgenza del diritto al rimborso richiede sempre – anche
per il giudice di pace – gli estremi oggettivi indicati dall’art. 18, comma 1, del d.l. n. 67
del 1997, come convertito, e quindi, per giurisprudenza costante,
l’esistenza di un nesso causale e non meramente occasionale tra la funzione
esercitata e il fatto contestato (ex multis, Corte
di cassazione, sezione lavoro, sentenza 8 novembre 2018, n. 28597, e, da
ultimo, Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 28 settembre 2020, n.
5655).

11. – Per tutte le argomentazioni che precedono,
deve essere dichiarata, con riferimento all’art. 3
Cost., l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, del d.l. n. 67
del 1997, come convertito, nella parte in cui non prevede che il Ministero
della giustizia rimborsi le spese di patrocinio legale al giudice di pace nelle
ipotesi e alle condizioni stabilite dalla norma stessa.

12. – Restano assorbite le questioni riferite agli
ulteriori parametri.

 

P.Q.M.

 

Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, del decreto-legge
25 marzo 1997, n. 67 (Disposizioni urgenti per favorire l’occupazione),
convertito, con modificazioni, nella legge 23
maggio 1997, n. 135, nella parte in cui non prevede che il Ministero della
giustizia rimborsi le spese di patrocinio legale al giudice di pace nelle
ipotesi e alle condizioni stabilite dalla norma stessa.

 

Provvedimento pubblicato nella G.U. 16 dicembre 2020, n. 51

Giurisprudenza – CORTE COSTITUZIONALE – Sentenza 09 dicembre 2020, n. 267
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