Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 dicembre 2020, n. 28081

Pagamento di differenze retributive, Corresponsione delle
somme risultanti dalle buste paga prodotte, Sottoscrizione del lavoratore per
ricevuta dei relativi importi, Onere del lavoratore di dimostrare lo
svolgimento del lavoro straordinario, Richiesta di escussione di ulteriori
testimoni, Inammissibilità

 

Rilevato che

 

1. con sentenza n. 354 pubblicata il 22.6.2018 la
Corte d’Appello di Salerno ha respinto l’appello di C.A., confermando la
pronuncia di primo grado di rigetto della domanda del predetto volta alla
condanna della società datoriale F. & C. s.r.l. – Officine Meccaniche di
Precisione al pagamento di differenze retributive;

2. la Corte territoriale ha premesso come fossero
pacifici lo svolgimento del rapporto di lavoro subordinato tra le parti dal
1990 al 5.6.2012, l’inquadramento del dipendente e le mansioni dal medesimo
svolte nonché l’avvenuta corresponsione delle somme risultanti dalle buste paga
prodotte e sottoscritte dal lavoratore per ricevuta dei relativi importi; ha
poi dato atto di come la società avesse versato nelle more del procedimento il
TFR maturato;

3. i giudici di appello hanno ritenuto non assolto
l’onere, gravante sul lavoratore, di dimostrare lo svolgimento del lavoro
straordinario dedotto e quindi il diritto alle differenze retributive
rivendicate, rilevando come dalle buste paga in atti risultassero remunerati il
lavoro straordinario (in base alle ore mensilmente prestate e con maggiorazioni
del 15%, 25% e 50% in riferimento ai turni oppure alle ore rispettivamente
eccedenti la 40° o la 44° ora) e le ulteriori voci a titolo di ferie,
festività, ROL e 13° mensilità; hanno giudicato inammissibile la richiesta di
escussione di ulteriori testimoni, oltre a quelli già assunti in primo grado,
sottolineando come il lavoratore non avesse contestato la riduzione della lista
testi decisa dal Tribunale né insistito nel giudizio di primo grado per
l’escussione degli altri testi indicati;

4. avverso tale sentenza C.A. ha proposto ricorso
per cassazione affidato ad un unico motivo, cui ha resistito con controricorso
la F. & C. s.r.l. – Officine Meccaniche di Precisione;

5. la proposta del relatore è stata comunicata alle
parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

 

Considerato che

 

6. con l’unico motivo di ricorso C.A. ha dedotto
violazione dell’art. 115 c.p.c. nonché dell’art. 8 del CCNL Metalmeccanici del
14.12.1990 e del 5.7.1994 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. per omesso esame
circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra
le parti;

7. ha sostenuto che se la Corte di merito avesse
esaminato le buste paga in atti avrebbe rilevato come le stesse non
contenessero la retribuzione per il lavoro straordinario di sette ore
settimanali riferito dai testimoni; ha aggiunto che la percentuale del 15%
riportata nelle buste paga è riferita alla “maggiorazione per lavoro
notturno a turni” prevista dall’art. 8 del CCNL ed è solo
fittiziamente riconosciuta in quanto oggetto di una illegittima trattenuta da
parte della società; che anche le maggiorazioni del 25% e 50% erano
riconosciute solo nelle buste paga dal 2003 al 2010 e per un ammontare di ore
inferiore allo straordinario di 30,31 ore mensili, rapportato alle 7 ore
settimanali, come da prospetto allegato; che anche i ROL ed i permessi per
festività soppressi erano contabilizzati in busta paga ma vanificati con
l’espediente datoriale di “recupero ore non lavorate”;

8. il ricorso presenta diversi profili di
inammissibilità;

9. la censura che fa leva sulla errata lettura delle
buste paga veicola, nella sostanza, una critica alla valutazione del materiale
istruttorio operata dalla Corte d’appello che ha giudicato le prove fornite dal
lavoratore inidonee a dimostrare lo svolgimento di lavoro straordinario in
misura maggiore rispetto a quanto risultante dalle buste paga; il vizio
denunciato si colloca al di fuori dello schema legale dell’art. 360 n. 5 c.p.c., incentrato sull’omesso esame
di un fatto inteso in senso storico fenomenico (cfr. Cass., S.U. n. 8053 del 2014), e non può trovare
ingresso in questa sede di legittimità anche in ragione della preclusione di
cui all’art. 348 ter, comma 5, c.p.c.;

10. è vero che può essere denunciato per cassazione
anche il mancato esame di un documento ma solo nel caso in cui ciò determini
l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e,
segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze
di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera
probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno
determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio
decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la
denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità,
l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza
dubbio dato luogo a una decisione diversa (cfr. Cass. n. 16812 del 2018; n. 19150 del 2016); requisiti che certamente non
ricorrono nel caso in esame in cui le buste paga sono state esaminate dalla
Corte d’appello, al pari delle prove testimoniali assunte in primo grado, e
valutate con un giudizio non censurabile in questa sede;

11. le deduzioni sul carattere fittizio delle
maggiorazioni per lavoro straordinario sono inammissibili in quanto il
ricorrente non deduce come e in quali atti processuali le relative censure
siano state sollevate;

12. questa Corte ha precisato che, qualora con il
ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno
nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne
una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di
allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di
indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde
dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità
di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass.
n. 23675 del 2013; n. 20703 del 2015; n. 18795 del 2015; n. 11166 del 2018);

13. neppure può trovare accoglimento la censura di
violazione dell’art. 115 c.p.c. che presuppone,
come più volte precisato da questa Corte (cfr. Cass. n. 11892 del 2016; Cass.
n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), il mancato rispetto delle regole
di formazione della prova ed è rinvenibile nelle ipotesi in cui il giudice
utilizzi prove non acquisite in atti;

14. per le ragioni esposte il ricorso risulta
inammissibile;

15. la regolazione delle spese segue il criterio di
soccombenza, con liquidazione come in dispositivo;

16. si dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali di cui all’art. 13,
comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24
dicembre 2012 n. 228.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi
professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella
misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a
norma del comma 1 -bis dello stesso art.
13, se dovuto.

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