Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 dicembre 2020, n. 28630

Licenziamento disciplinare, Frasi minacciose proferite
all’indirizzo di un componente della RSU aziendale nel corso di una assemblea,
Nessun grave nocumento morale o materiale subito dall’azienda per effetto della
condotta, Intemperanze verbali, ricompresa nella fattispecie suscettibile di
una sanzione meramente conservativa

Fatti di causa

Con sentenza del 15 febbraio 2018, la Corte
d’Appello di Trento, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Rovereto,
accoglieva la domanda proposta da V. D. nei confronti della Meccanica C.
S.r.l., avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento
intimato al D. dalla Società datrice, ai sensi dell’art. 10, lett. B, del CCNL
per le imprese metalmeccaniche del 15.10.2009, per aver proferito frasi
minacciose all’indirizzo di un componente della RSU aziendale nel corso di una
assemblea.

La decisione della Corte territoriale discende
dall’aver questa ritenuto di dover dare rilievo al contesto in cui si era
verificato l’accaduto ed in particolare alla circostanza che, nel corso
dell’assemblea sindacale, era in discussione una problematica, sollevata dallo
stesso D., sulla quale il componente della RSU era in aperto dissenso, tanto
che i due già avevano avuto una discussione all’esito della quale il D. aveva
chiesto la sostituzione del rappresentante sindacale, non riconducibile, in
relazione a ciò, la condotta del D. alla ipotesi contemplata dal codice
disciplinare in base alla quale era stata mossa la contestazione, non
ravvisandosi né il grave nocumento morale o materiale subito dall’azienda per
effetto della condotta né gli estremi del reato nel comportamento del D.,
atteso che le sue intemperanze verbali, per essere egli aduso alle stesse, non
potevano riflettere un serio proposito, ma semmai tale da risultare ricompresa
nella fattispecie di cui all’art. 9 del CCNL applicabile, suscettibile tuttavia
di una sanzione meramente conservativa.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la
Società, affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con
controricorso, il D..

 

Ragioni della decisione

 

Con il primo motivo, la Società ricorrente, nel
denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt.18, comma 4, I. n. 300/1970,
come novellato dalla I. n. 92/2012 e 10, lett.
B), CCNL per le imprese metal meccaniche del 15.10.2009, lamenta la non
conformità a diritto della pronunzia resa dalla Corte territoriale per aver
applicato il regime sanzionatorio della tutela reale del posto di lavoro pur a
fronte della ricorrenza del fatto nella sua materialità.

Con il secondo motivo, posto sotto la medesima
rubrica, la Società ricorrente lamenta l’incongruità dell’iter
logicoargomentativo dalla Corte territoriale posto a base della pronunzia resa,
inficiato dall’omessa considerazione della rilevanza agli effetti dell’ipotesi
di cui al codice disciplinare posta a base della contestazione di qualsiasi condotta
che sia in “connessione” con il rapporto di lavoro.

Nel terzo motivo la violazione e falsa applicazione
dell’art. 2119 c.c. e delle norme di legge e di
contratto di cui ai precedenti motivi è prospettata in relazione all’asserita
erroneità del convincimento in base al quale la Corte territoriale esclude la
ravvisabilità nella specie di un nocumento morale o materiale in danno della
Società ricorrente.

Con il quarto motivo, rubricato in termini identici
al primo ed al secondo motivo, la Società ricorrente censura il convincimento
espresso dalla Corte territoriale circa la riconducibilità della condotta
all’ipotesi qualificata come disciplinarmente rilevante dall’art. 9 del CCNL
applicabile ma suscettibile di una sanzione meramente conservativa.

I quattro motivi, che, in quanto strettamente
connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, si rivelano infondati,
dovendosi ritenere, contrariamente a quanto prospettato dalla Società
ricorrente nella propria impugnazione, la piena coerenza con l’accertamento
istruttorio eseguito della ricostruzione in fatto accolta dalla Corte
territoriale, incentrata sulla non serietà della minaccia di morte proferita
dal lavoratore nei confronti del rappresentante sindacale, da inquadrare
piuttosto nell’abitudine del lavoratore medesimo ad atteggiamenti inurbani e ad
un linguaggio scurrile, la conseguente plausibilità logica e giuridica del
giudizio inteso ad escludere, stante l’inidoneità del comportamento ad
integrare gli estremi del reato e così ad arrecare nocumento morale e materiale
alla Società datrice, la riconducibilità del fatto medesimo alla fattispecie
astratta contemplata dal codice disciplinare di cui al CCNL applicato ed
invocata dalla Società, la sussumibilità del fatto medesimo in altra
fattispecie, peraltro non fatta oggetto di contestazione disciplinare da parte
della Società, intesa a punire comportamenti contrari alla correttezza delle
relazioni personali  in ambito aziendale,
per la quale il medesimo CCNL prevede l’irrogazione di una sanzione
conservativa, la conformità a diritto della valutazione, resa dalla Corte
territoriale ed incidente sul regime sanzionatorio applicabile alla Società in
ragione dell’illegittimità del recesso intimato, in termini di “insussistenza
del fatto materiale”, da intendersi, in coerenza con l’orientamento
invalso nella giurisprudenza di questa Corte, come fatto disciplinarmente
rilevante e così da risolversi nel comportamento astrattamente inadempiente
corrispondente a  quello considerato nella
disposizione del codice disciplinare su cui si fonda la contestazione
disciplinare elevata;

Il ricorso va, dunque, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate
come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro
200,00 per esborsi ed euro 5.250,00 per compensi, oltre spese generali al 15%
ed altri accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, se
dovuto.

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