Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 dicembre 2020, n. 28810

Demansionamento a seguito di trasferimento, Prova di un danno
derivante dall’inadempimento datoriale, Riconoscimento del diritto del
lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale,
non ricorre automaticamente, Specifica allegazione, nel ricorso introduttivo
del giudizio, dell’esistenza di un pregiudizio di natura non meramente emotiva
ed interiore, ma oggettivamente accertabile

 

Rilevato che

 

1. N.C. convenne in giudizio la Banca Popolare
Italiana Soc. coop. deducendo di aver svolto la sua attività nell’ambito della
gestione del credito e della valutazione delle posizioni di rischio, quale
preposto sino al marzo 1999 all’Area Portafogli e dall’aprile 1999 al servizio
recupero crediti della Direzione Generale.

2. Dedusse di essere stato demansionato a seguito
del trasferimento del servizio da Messina a Palermo e che solo nel febbraio
2001 era stato assegnato al comparto recupero crediti con l’incarico di gestire
le pratiche e curare i rapporti con la società esterna incaricata del
contenzioso.

3. Espose che venuto meno l’incarico alla società
esterna e conseguentemente il suo, soppressa l’area di Messina accentrata a
Catania, era stato quindi formalmente trasferito a Catania, pur restando a
lavorare a Messina, fino a quando il trasferimento fu revocato e venne
assegnato all’istruttoria delle pratiche di fido sempre a Messina ed al
recupero crediti, attività questa svolta dagli impiegati e non dai funzionari.

4. Ritenendo di essere stato demansionato e di
averne ricevuto un danno anche alla salute chiese la condanna della convenuta
al risarcimento del danno sofferto.

5. Il Tribunale di Messina pur accertato il
demansionamento ma escluso il mobbing denunciato, respinse la domanda
risarcitoria per mancanza di prova di un danno derivante dall’inadempimento
datoriale se non con riguardo al danno biologico quantificato nella misura del
6% e liquidato sulla base delle tabelle del Tribunale di Milano in € 8.278,00.

6. La Corte di appello di Messina ha rigettato
l’appello principale della Banca ed ha ritenuto che il comportamento tenuto
dalla Banca non fosse scusabile; che il demansionamento fosse provato e ad esso
riconducibile; che il danno biologico fosse stato correttamente accertato.
Quanto al gravame proposto in via incidentale dal Cassata la Corte di merito lo
ha parzialmente accolto riformando la sentenza nella parte in cui aveva
quantificato il danno non patrimoniale da dequalificazione che ha ritenuto di
quantificare nella misura del 10% della retribuzione dovutagli a decorrere dal
mese di maggio del 2001 e sino alla proposizione del ricorso di primo grado
oltre agli interessi ed alla rivalutazione monetaria condannando la Banca alla
rifusione delle spese del giudizio.

7. Per la cassazione della sentenza propone ricorso
N.C. che articola un unico motivo al quale resiste il B.B. s.p.a. che propone a
sua volta ricorso incidentale affidato anch’esso ad un unico motivo e deposita
memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 bis 1
cod. proc.civ..

 

Considerato che

 

8. Con il ricorso proposto in via principale da N.C.
è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 cod.
proc.civ., degli artt. 2, 32 e 35 Cost e
degli artt. 1226, 2087 e 2103 cod. proc. civ. (ndr artt. 1226, 2087 e
2103 cod. civ.) in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod.proc.civ..

8.1. Deduce il ricorrente che la sentenza della
Corte territoriale sarebbe incorsa nella denunciata violazione di legge poiché
pur avendo riconosciuto l’esistenza anche di un danno alla professionalità,
stante l’accertata situazione di sostanziale inattività nel periodo in esame,
non ne ha tenuto doverosamente conto nello stabilire la misura del danno da
liquidare.

8.2. Sostiene il ricorrente che la Corte di merito
avrebbe confuso la forzata inattività cui era stato costretto il ricorrente con
la fattispecie meno grave del demansionamento, quantificando nella misura del
10% un danno che era ben più importante, stante il riflesso della forzata
inattività su diritti quali l’integrità personale, la salute, il diritto al
lavoro ed alla dignità umana e professionale che, in tal modo, non sono stati
integralmente ristorati sebbene, dalle prove assunte in giudizio e dalle
osservazioni svolte dal CTU, fosse risultata dimostrata la loro esistenza e ne
fosse agevolmente anche presumibile la loro importanza stante il protrarsi
dell’inadempimento datoriale fino alla cessazione del rapporto con il
pensionamento del ricorrente. Rileva poi il ricorrente che la Corte di merito
avrebbe erroneamente limitato il risarcimento del danno alla data di
presentazione del ricorso introduttivo del giudizio senza considerare che, come
era stato allegato nel corso del giudizio, il licenziamento del dipendente
decorrente dal giorno successivo alla data del compimento del sessantesimo
anno, era stato dichiarato illegittimo e posticipato al dicembre 2012 e che
perciò, per aversi un pieno ristoro, il danno andava calcolato fino a tale
data.

9. Con il ricorso incidentale il B.B. s.p.a. ha
dedotto che nell’accogliere il gravame incidentale del Cassata la sentenza
sarebbe incorsa nella violazione degli artt. 115
e 116 cod. proc. civ. e degli artt. 2059 e 2697
cod.civ. in relazione all’art. 360 primo comma
n. 3 cod.proc.civ. in quanto, discostandosi dall’insegnamento della
Cassazione in tema di accertamento e liquidazione del danno non patrimoniale
conseguente ad una condotta illecita datoriale, avrebbe trascurato di
individuare quali erano i singoli diritti lesi dal comportamento della Banca e
non ha tenuto conto del fatto che il lavoratore, che ne era onerato, non I’
aveva provato.

10. Il ricorso principale e quello incidentale che
censurano entrambi, seppur con finalità opposte, la sentenza nella parte in cui
ha accertato il danno ed ha proceduto alla sua quantificazione, possono essere
esaminati unitariamente e sono in parte inammissibili ed in parte infondati.

10.1. Va premesso in via generale che costituisce
orientamento costante di questa Corte quello secondo cui in tema di
risarcimento del danno non patrimoniale derivante da demansionamento e
dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento
del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente
in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una
specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, dell’esistenza di
un pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente
accertabile) provocato sul fare reddituale del soggetto, che alteri le sue
abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita
diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo
esterno. Tale pregiudizio non si pone quale conseguenza automatica di ogni
comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è
sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale,
incombendo sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento ma anche di
fornire la prova ex art. 2697 c.c. del danno
non patrimoniale e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale (cfr.
Cass. 05/12/2017 n. 29407). Si tratta di prova che può essere offerta con tutti
i mezzi consentiti dall’ordinamento ed assume in tal senso rilievo la prova per
presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti
(caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all’interno ed all’esterno del
luogo di lavoro dell’operata dequalificazione, frustrazione di precisate e
ragionevoli aspettative di progressione professionale, effetti negativi
dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) si possa, attraverso un
prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia
all’esistenza del danno (Cass. 19/12/2008 n. 29832).
In definitiva escluso che il pregiudizio sia in re ipsa collegato all’esistenza
della dequalificazione, il prestatore di lavoro che chieda la condanna del
datore di lavoro al risarcimento del danno (anche nella sua eventuale
componente di danno alla vita di relazione o di cosiddetto danno biologico)
subito a causa della lesione del proprio diritto di eseguire la prestazione
lavorativa in base alla qualifica professionale rivestita, lesione idonea a
determinare la dequalificazione del dipendente stesso, deve fornire la prova
dell’esistenza di tale danno e del nesso di causalità con l’inadempimento,
prova che costituisce presupposto indispensabile per procedere ad una
valutazione equitativa (cfr. Cass. 23/01/2011 n. 1248 e comunque già Cass. Sez. U., Sentenza n. 6572 del 24/03/2006).

10.2. Orbene nel caso in esame la sentenza si è
attenuta ai principi sopra enunciati ed ha ricostruito complessivamente i fatti
allegati accertando l’incidenza del demansionamento e quantificando, sulla base
del suo prudente apprezzamento del quadro probatorio sottoposto alla sua valutazione,
la misura del danno da riconoscere. In tale contesto le censure mosse alla
sentenza con il ricorso principale e con quello incidentale, pur costruite ai
sensi dell’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc.civ.
come violazioni di legge, sconfinano invece in una richiesta di diverso
apprezzamento del materiale probatorio esaminato dal giudice di appello,
ricostruzione questa che non è consentita nel giudizio di legittimità.

11. in conclusione, per le ragioni esposte, sia il ricorso
principale che quello incidentale devono essere rigettati e le spese, in
ragione della reciproca soccombenza, possono essere compensate.

11.1. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato
per il ricorso principale e per quello incidentale a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R.,
se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta i ricorsi.

Compensa le spese.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato
per il ricorso principale e per il ricorso incidentale a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R.,
se dovuto.

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