La lavoratrice part time che, a causa di un reiterato ricorso alla clausola di variazione oraria del lavoro a tempo parziale, non possa utilizzare il proprio tempo libero, ha diritto al risarcimento del danno.

Nota a Trib. Messina 6 ottobre 2020, n. 1261

Valerio Di Bello

È risarcibile il danno subito dalla lavoratrice part-time, consistito nell’impossibilità di poter fare affidamento sul proprio tempo libero, a causa del sistematico ricorso alla clausola di flessibilità.

È quanto afferma il Tribunale di Messina (6 ottobre 2020, n. 1261) relativamente ad un caso in cui una lavoratrice a tempo parziale aveva subito una variazione continua della collocazione temporale e della durata della sua giornata lavorativa mediante il ricorso sistematico alle c.d. clausole elastiche o di flessibilità.

Come noto, ai sensi dell’art. 10, co.2 e 3, D.LGS. n. 81/2015: “2. Qualora nel contratto scritto non sia determinata la durata della prestazione lavorativa, su domanda del lavoratore è dichiarata la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla pronuncia. Qualora l’omissione riguardi la sola collocazione temporale dell’orario, il giudice determina le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale, tenendo conto delle responsabilità familiari del lavoratore interessato e della sua necessità di integrazione del reddito mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché delle esigenze del datore di lavoro. Per il periodo antecedente alla pronuncia, il lavoratore ha in entrambi i casi diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta per le prestazioni effettivamente rese, a un’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno. 3. Lo svolgimento di prestazioni in esecuzione di clausole elastiche senza il rispetto delle condizioni, delle modalità e dei limiti previsti dalla legge o dai contratti collettivi comporta il diritto del lavoratore, in aggiunta alla retribuzione dovuta, a un’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno” (v. Cass. 3 gennaio 2009, n. 1721, pur se con riferimento alla passata regolamentazione del part time).

Il risarcimento previsto da tale disposizione (al pari di quello disposto dall’art. 8, co.2 bis della passata regolamentazione – D.LGS. n. 61/2000), secondo un indirizzo giurisprudenziale, cui si è uniformato il Tribunale, “è legato all’impossibilità del lavoratore di poter fare affidamento sul proprio tempo libero. L’elasticità della clausola in questione risulta cioè pregiudizievole per il lavoratore laddove sia “in grado di incidere in concreto sulla autonoma disponibilità dei tempi di lavoro da parte dei dipendenti, comprimendo, in misura non poco significativa, il discrimine, che non può restare rigoroso, fra tempi di vita e tempi di lavoro, fra condizione di autonomia e situazione di soggezione ad un altrui potere di intervento e di organizzazione” (così, Cass. n. 12467/2011).

Nello specifico, il Tribunale ha accolto anche la pretesa risarcitoria della lavoratrice, legata al danno subito: a) alla propria integrità psicofisica, così come certificato dall’U.O.C. di medicina del lavoro del Policlinico di Messina che le aveva riscontrato un “disturbo dell’adattamento con ansia e umore depresso misti. Il quadro è compatibile con situazione occupazionale caratterizzato da disfunzioni organizzative, marginalizzazione del lavoro e isolamento”; b) nonché alla condizione patologica (accertata con relazione peritale da uno specialista in medicina legale) “identificabile quale disturbo d’ansia generalizzato e dell’adattamento cronico valutabile con un tasso d’incidenza invalidante nella misura del 5%, causalmente riconducibile ad una situazione occupazionale anamnesticamente avversativa”.

Clausola elastica nel part time e fruizione del tempo libero
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