Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 dicembre 2020, n. 29011

Verbale ispettivo dell’INPS, Cartella di pagamento, Credito
previdenziale, Errato computo delle maggiorazioni per il lavoro notturno e in
squadra, nonché dell’indennità di mensa ai fini della determinazione degli
elementi retributivi indiretti

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 11847 del
15.5.2018, rigettava il ricorso proposto dalla s.p.a. S.R. avverso la decisione
della Corte d’appello di Venezia che, in riforma della decisione del Tribunale
di Vicenza, aveva rigettato le opposizioni proposte dalla società avverso il
verbale ispettivo dell’INPS e la conseguente cartella di pagamento, accertativa
di un credito previdenziale fondato sull’errato computo delle maggiorazioni per
il lavoro notturno e in squadra, nonché della indennità di mensa ai fini della
determinazione degli elementi retributivi indiretti.

2. La Corte di legittimità, per quel che rileva
nella presente sede, osservava che in premessa l’art. 3 D L 318/1996 conv. in legge 402/1996, nello stabilire la retribuzione
base da considerare anche a fini delle prestazioni previdenziali, richiamava
quanto disposto negli Accordi collettivi ed imponeva, a tal fine, l’obbligo di
depositare predetti Accordi e contratti presso l’ufficio provinciale del lavoro
e della massima occupazione e presso le competenti sedi degli enti
previdenziali interessati competenti territorialmente; che la norma stabiliva
altresì che il deposito degli accordi dovesse essere effettuato entro 30 giorni
dalla loro stipulazione e, per quelli già sottoscritti alla data di entrata in
vigore della disposizione, fissava quale termine ultimo per il deposito quello
del 31.12.1996; che la disposizione era diretta a regolare il rapporto tra
datore di lavoro ed ente di previdenza in quanto, introducendo un regime di
pubblicità per gli accordi collettivi, ne garantiva l’opponibilità agli
istituti previdenziali con riguardo ai trattamenti retributivi da considerare
al fine del calcolo dei contributi; evidenziava come la norma si preoccupasse
anche dei contratti collettivi già esistenti e sottoscritti al momento della
sua entrata in vigore, stabilendo anche per questi la possibilità che l’INPS ne
tenesse conto, purché depositati entro il 31.12.1996.

3. La Corte osservava che, se pure non era
sostenibile che il mancato deposito nei termini previsti costituisse motivo di
nullità dei contratti, non poteva, tuttavia, giungersi a sostenere che, una
volta intervenuto tardivamente il richiesto deposito, si determinasse una sorta
di “sanatoria” anche riferita al periodo antecedente alla entrata in
vigore della norma; rilevava che la Corte di legittimità (Cass. n. 2387/2004) aveva già affermato la
irretroattività della disciplina statuendo che, se era vero che il comma 2
dell’art. 3 I. del 1996
prevedeva il deposito “anche” dei contratti ed accordi stipulati alla
data di entrata in vigore del DL 318/96, detti
accordi sarebbero stati passibili di applicazione solo in relazione ai
contributi da versare “dopo” l’entrata in vigore della legge, non
potendosi determinare i contributi sulla base di una disposizione non ancora in
vigore al momento della maturazione dell’obbligo.

4. Alla stregua di tali osservazioni, concludeva nel
senso dell’infondatezza del motivo di impugnazione.

5. Di tale decisione la s.p.a. S.R. domanda la revocazione
ex art. 395, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.
fondando il ricorso su unico motivo, illustrato nella memoria depositato ai
sensi dell’art. 378 c.p.c.

6. L’INPS, in proprio e quale mandatario della
S.C.C.I. s.p.a., resiste con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. La società ricorrente denuncia errore di fatto
risultante dagli atti e documenti della causa, ex art.
395 n. 4 c.p.c. per contrasto con quanto risultante dal verbale ispettivo
impugnato, relativo agli anni dal 1998 al 2003 – doc. n. 1 del fascicolo di
primo grado della ricorrente e dato incontestato nei precedenti gradi del
giudizio – rispetto all’affermata irretroattività di quanto disposto dal comma
2 dell’art. 3 del D.L. 318/1996,
convertito in legge n. 402/1996, su cui si
fonda la motivazione dell’ordinanza impugnata, la quale, su tale base, rigetta
il ricorso per cassazione quanto al primo motivo.

2. Nella sostanza la società adduce che la S. C. ha
erroneamente ritenuto che la società chiedesse di applicare la disposizione del
comma 2 dell’art. 3 del DL 318/1996
a sanzione amministrativa per omesso versamento di contributi riferiti ad epoca
precedente all’entrata in vigore della norma ed osserva che nella specie il
caso è del tutto diverso da quello evocato dalla S. C. nell’ordinanza
impugnata, in quanto si tratta di sanzioni irrogate il 25.6.2003, riferite a
contributi richiesti a seguito di ispezione terminata in tale data, aventi ad
oggetto accertamenti relativi al periodo compreso tra il mese di marzo del 1998
ed il 28 febbraio 2003.

3. Sottolinea come si tratti di contributi
incontestatamente riferiti a periodo successivo all’entrata in vigore della
norma richiamata nell’ordinanza della S. C. e di un accordo che, seppure
riferito ad epoca precedente, una volta depositato, sarebbe stato passibile di
applicazione con riferimento a tali contributi.

4. Aggiunge che il periodo a cui si riferiscono le
contribuzioni prese in considerazione dagli ispettori viene evidenziato nel
verbale di accertamento impugnato e trova riscontro nel prospetto riepilogativo
delle somme aggiuntive, dal quale emerge quale periodo preso in considerazione
quello dal 3/1998 al 2/2003, ciò che era desumibile anche dalla previsione del
termine di prescrizione quinquennale che non avrebbe consentito di considerare
contributi antecedenti.

5. Osserva, quanto all’oggetto del contendere, che
la possibilità di non considerare alcuni importi maggiori rispetto a quelli
previsti dal CCNL ai fini del calcolo degli elementi retributivi indiretti da
parte di accordi tra azienda e rappresentanze sindacali maggiormente
rappresentative era nella specie rimessa ad atto ricognitivo dell’accordo
verbale intervenuto tra le parti ed al deposito dello stesso il 6 giugno 2003,
prima del termine dell’accertamento ispettivo conclusosi il 25 giugno
successivo. Da ciò doveva evincersi che la controversia era incentrata
sull’efficacia o meno dell’accordo depositato tardivamente, ma non anche
sull’applicabilità della normativa con riferimento alle sanzioni irrogate,
rappresentando la contribuzione previdenziale oggetto dell’accertamento fatto
assolutamente incontroverso.

6. Secondo la ricorrente, l’errore doveva
considerarsi poi decisivo in quanto, ove correttamente individuato il periodo
di riferimento della contribuzione, la causa avrebbe avuto esito diverso,
essendo il computo delle maggiorazioni per lavoro a squadra e notturno del 12 e
del 48% rispettivamente cumulato con quella dell’indennità di mensa non
rilevante per il calcolo degli elementi retributivi indiretti, con riflessi
anche sulla contribuzione dovuta.

7. L’ errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a determinare la
revocazione delle sentenze, comprese quelle della Corte di cassazione, secondo
la consolidata giurisprudenza di questa Corte, deve: 1) consistere in una
errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale,
oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a
supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo
incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo
parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse
stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto
controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri
della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere
apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche;
5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto, né in un errore nella
scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo.

8. Detto errore non soltanto deve quindi apparire di
assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua
constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche,
ma non può tradursi, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze
processuali, ovvero di norme giuridiche e principi giurisprudenziali,
vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, inidoneo a
determinare la revocabilità delle sentenze della Cassazione (fra le tante Cass.
sez. un. 7217/2009, nonché 22171/2010; 23856/2008; 10637/2007; 7469/2007;
3652/2006; 13915/2005; 8295/2005).

9. Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez
.Un., 27 dicembre 2017, nn. 30994) hanno, da ultimo, ulteriormente chiarito
come “In sintesi estrema la combinazione dell’art.
391-bis e dell’art. 395, n. 4) non prevede
come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto
sostanziale o processuale e l’errore di giudizio o di valutazione. Né, con
riguardo al sistema delle impugnazioni, la Costituzione impone al legislatore
ordinario altri vincoli oltre a quelli, previsti dall’art. 111 Cost., della ricorribilità in cassazione
per violazione di legge di tutte le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà
personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali”, e
che “non appare irrazionale la scelta del legislatore di riconoscere ai
motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendone gli errori
giuridici e quelli di giudizio o valutazione, proponibili solo contro le
decisioni di merito nei limiti dell’appello e del ricorso per cassazione (Cass., 16/09/2011, n. 18897)”.

10. E’ stato anche precisato, con riferimento
all’effettività della tutela giudiziaria, come anche la Corte di giustizia
dell’UE riconosca la necessità che le decisioni giurisdizionali, divenute
definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili (o dopo la
scadenza dei termini previsti per questi ricorsi), non possano più essere
rimesse in discussione e ciò al fine di garantire sia la stabilità del diritto
e dei rapporti giuridici, sia l’ordinata amministrazione della giustizia (Cass.
Sez.U., 28/05/2013, n. 13181; cfr. Corte giust.,
03/09/2009, in causa C-2/08, Olimpiclub; Corte giust., 30/09/2003, in causa
C- 224/01, Kobler; Corte giust., 16/03/2006, in causa C-234/04, Kapferer).

11. Tali approdi nomofilattici sopra ricostruiti
trovano riscontro univoco nella giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n.
17/1986, n. 36/1991, n. 207/2009), laddove
essa segue il percorso evolutivo del contenimento del rimedio revocatorio per
le decisioni di legittimità ai soli casi di “sviste” o di “puri
equivoci” e nega rilievo a pretesi errori di valutazione, così recependo
il ristretto ambito dell’errore di fatto previsto dell’art. 395 c.p.c., n. 4), anche rispetto alla svolta
normativa in direzione di un più ampio controllo (L.
26 novembre 1990, n. 353; D.Lgs. 2 febbraio
2006, n. 40).

12. In definitiva, è stato chiarito come
“l’interpretazione non solo letterale e sistematica, ma pure quella
costituzionalmente e convenzionalmente orientata, dell’art. 391-bis e art.
395, n. 4) portano a non ammettere la revocazione delle decisioni di
legittimità della Corte di cassazione per pretesi errori giuridici (sostanziali
o processuali) oppure circostanziali, diversi dalla mera svista su fatti non
resi oggetto di precedente controversia (cfr. Cass., sez. u., 27 dicembre 2017,
nn. 30994 ed altre coeve) rispondendo la “non ulteriore impugnabilità in
generale” all’esigenza, tutelata come primaria dalle stesse norme della
Carta fondamentale e della CEDU, di conseguire l’immutabilità e definitività
della pronuncia all’esito di un sistema variamente strutturato (Cass.,
29/04/2016, n. 8472). Il carattere d’impugnazione eccezionale della
revocazione, prevista per i soli motivi tassativamente indicati dalla legge,
comporta l’inammissibilità di ogni censura non compresa (Cass., 07/05/2014,
n.9865), ivi compresa ogni ipotetica actio nullitatis.

13. Resta, quindi, esclusa, dall’area del vizio
revocatorio la sindacabilità di errori formatisi sulla base di una pretesa
errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze
processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano
logico-giuridico, perché siffatto tipo di errore, se fondato, costituirebbe un
errore di giudizio, e non un errore di fatto (Cass., 14/04/2017, n. 9673, p.
4-5). Così, ad esempio, è stato escluso l’errore revocatorio per: l’inesatta
considerazione degli effetti di una specifica riforma normativa (Cass.,
03/06/2002, n. 8023);

l’inapplicabilità dello jus superveniens (Cass.,
Sez.U., 23/01/2009, n. 1666); l’applicazione di una normativa piuttosto che di
un’altra (Cass., 29/03/2006, n. 7127); la violazione del diritto comunitario
(Cass., 10/11/2005, n. 21830).

14. Nel caso in esame, ciò che viene lamentato è
l’errore in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nel ritenere inapplicabile
la fattispecie ai contributi di cui alla cartella di pagamento, laddove questi
non potevano che rientrare – per l’incontestata riferibilità ad omissioni
relative al periodo 1998-2003 (come da verbale richiamato e prospetto
riepilogativo) – nel raggio di applicabilità della disposizione normativa per
come interpretata dalla stessa Corte. Questa aveva, invero, ritenuto
l’incidenza degli accordi anche stipulati antecedentemente, purché depositati
nei termini di legge e riferiti a contributi successivi alla entrata in vigore
della normativa, per mera svista nella specie indicati invece come antecedenti
alla stessa, ciò che denota come sussistessero le caratteristiche proprie
dell’errore revocatorio così come sopra delineate.

15. Il giudice, verificato l’errore di fatto
(sostanziale o processuale) esposto ai sensi del n. 4 dell’art. 395 c.p.c., deve valutarne la decisività alla
stregua del solo contenuto della sentenza impugnata, operando un ragionamento
di tipo controfattuale in ragione del quale, sostituita mentalmente
l’affermazione errata con quella esatta, provi la resistenza della decisione
stessa; ove tale accertamento dia esito negativo, nel senso che la sentenza
impugnata risulti, in tal modo, priva della sua base logico-giuridica, il
giudice deve procedere alla fase rescissoria attraverso un rinnovato esame del
merito della controversia, che tenga conto del l’effettuato emendamento (cfr.
Cass. 23.4.2020 n. 8051).

16. Ne discende altresì che la diversa valutazione
degli elementi di fatto come richiesta per la decisione in fase rescissoria non
costituisce una critica all’attività valutativa compiuta dal giudice, ma
rappresenta piuttosto la prospettazione delle conseguenze in termini di
correttezza della decisione, quali scaturenti dalla diversa valutazione della
realtà fattuale e giuridica, emendata dall’errore di fatto denunciato con la
revocazione.

17. La sentenza impugnata deve pertanto essere
revocata ed in sede rescissoria deve pertanto essere accolto il primo motivo
del ricorso per cassazione in ragione di quanto evidenziato, laddove il secondo
motivo (che deduce insufficiente motivazione su un punto decisivo della
controversia ex art. 360 n. 5 c.p.c. con
riguardo alla valutazione fatta dalla Corte distrettuale sulla fruizione delle
pause lavorative e sulla conseguente sussistenza di lavoro straordinario non
dichiarato) va dichiarato inammissibile in quanto inconferente rispetto alla
doglianza e comunque non proponibile in sede di legittimità in quanto non
evidenzia l’eventuale errore nel procedimento inerente il giudizio, limitandosi
a richiamare valutazioni del materiale testimoniale oggetto del giudizio di
merito.

18. All’accoglimento del primo motivo consegue la
cassazione della sentenza impugnata in parte qua e la causa va rinviata alla
Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione per l’esame di questioni
rimaste assorbite.

19. alla Corte d’appello è demandato di provvedere
alla liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, revoca la sentenza n. 11847/18,
resa dalla Corte di Cassazione il 15.5.2018 e, in sede rescissoria, accoglie il
primo motivo, dichiara inammissibile il secondo, cassa la decisione impugnata
in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Venezia in
diversa composizione, cui demanda la determinazione anche delle spese del
presente giudizio di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 dicembre 2020, n. 29011
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