Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 dicembre 2020, n. 28698

Rapporto di lavoro, Mobbing, Riconoscimento di danni,
Verifica della compatibilità delle condizioni fisiche con le mansioni
contrattualmente richiedibili al lavoratore

 

Rilevato che

 

La Corte d’appello di Roma, a conferma della
sentenza del Tribunale di Frosinone, ha rigettato il ricorso di D.B. dipendente
della Società A.P. s.r.l. (poi divenuta P.C.A. s.r.l.) con qualifica di
operaio, il quale aveva chiesto il riconoscimento di danni per condotta da
mobbing subita durante il periodo lavorativo 1994 – 2000;

la Corte territoriale, sulla base degli esiti del
l’istruttoria e delle consulenze mediche, ha affermato la legittimità del
comportamento della società datrice, escludendo l’esistenza di qual si voglia
attività vessatoria posta in essere dalla stessa in danno dell’appellante;

quanto alle plurime sanzioni disciplinari inflitte
all’appellante, culminate nel licenziamento disciplinare, la sentenza ha
confermato la legittimità delle stesse;

la cassazione della sentenza è domandata da D.B.
sulla base di due motivi;

la società ha opposto difese;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente
comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in
camera di consiglio.

 

Considerato che

 

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4 cod. proc. civ., parte
ricorrente deduce “Nullità della sentenza per violazione dell’art. 99 e 112 c.p.c.
– error in procedendo omessa pronuncia ammissione mezzi istruttori”; la
Corte d’appello avrebbe errato nel mancare di pronunciarsi in merito all’omessa
pronuncia del Tribunale circa la richiesta di ammissione della prova
testimoniale formulata dall’appellante in primo grado; qualora avesse accolto
la richiesta, riformando così la precedente statuizione, sarebbe certamente
giunto a una diversa conclusione;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5 cod. proc. civ., lamenta
“Omesso esame di un fatto decisivo della controversia”, consistente
nella mancata considerazione, da parte del secondo giudice, degli esiti del
giudizio contro l’Inail con cui, in un’altra sentenza, lo stesso Tribunale di
Frosinone aveva riconosciuto in capo al B. un’invalidità permanente dell’ll per
cento in seguito ad incidente sul lavoro, a riprova della non esigibilità dei
ritmi produttivi imposti dalla Società ed oggetto del provvedimento di
licenziamento per motivi disciplinari;

il primo motivo è infondato;

la Corte d’appello ha affermato (p. 4) che poiché i
fatti vagliati dal Tribunale di Frosinone sono i medesimi allegati dall’appellante
e poiché il loro accertamento è intervenuto nel contraddittorio delle parti,
non vi erano preclusioni di sorta a che quell’istruttoria rilevasse ex art. 115 anche nel giudizio di appello, e, dunque,
non sussiste il vizio di omessa pronuncia;

inoltre, il consolidato orientamento di questa Corte
(cfr. ex multis, Cass. n.7406 del 2014)
ritiene che il mancato esame da parte del giudice, sollecitatone dalla parte,
di una questione puramente processuale non possa dar luogo al vizio di omessa
pronunzia; quest’ultimo si configura soltanto in relazione alle domande di
merito, e non assurge, quindi a causa autonoma di nullità della sentenza; al
riguardo potrebbe profilarsi al più una nullità (propria o derivata) della
decisione, sebbene per violazione di norme diverse dall’art. 112 cod. proc. civ., in quanto risulti errata
la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla
parte in base al principio di diritto affermato da questa Corte;

in altri termini, il vizio di omessa pronuncia non
ricorre, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la
decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo
(ex multis cfr. Cass. n. 20191 del 2017);

quanto alla doglianza relativa alla mancata
predisposizione di una nuova c.t.u. d’ufficio (di cui la sentenza fornisce,
comunque, adeguata motivazione a p.5 ), si richiama la giurisprudenza di questa
Corte secondo cui “In tema di consulenza tecnica d’ufficio, il giudice del
merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a
disporne la rinnovazione, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra
tra i suoi poteri istituzionali, sicché non è neppure necessaria una espressa
pronunzia sul punto; (cfr. ex multis, Cass. n. 22799 del 2017, nonché Cass.
n.2103 del 2019);

quanto al secondo motivo esso va dichiarato
inammissibile perché risulta proposto per la prima volta in sede di
legittimità;

qualora con il ricorso per cassazione siano
prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, la
parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione d’inammissibilità per
novità della censura, ha l’onere non solo di allegarne l’avvenuta deduzione
innanzi al giudice del merito, ma altresì – in ossequio al principio di
specificità del ricorso – di indicare in quale specifico atto del giudizio
precedente la questione oggetto della doglianza è stata posta, in modo da
consentire a questa Corte di valutare ex actis la veridicità di quanto
sostenuto (in tal senso cfr., ex multis, Cass. n. 6945 del 2018);

nel caso in esame l’infortunio sul lavoro è
menzionato dalla Corte territoriale (p. 5 sent.), ma in senso opposto a quello
voluto dall’odierno ricorrente, al fine cioè di ribadire la correttezza della
condotta della società, la quale, avviando a visita medica aziendale il B.,
intendeva proprio verificarne la compatibilità delle condizioni fisiche con le
mansioni contrattualmente richiedibili al lavoratore;

il ricorso va in definitiva dichiarato
inammissibile; le spese, come liquidate in dispositivo, vanno poste a carico
della parte soccombente;

in considerazione dell’inammissibilità del ricorso,
sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello, ove dovuto, per il ricorso.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del
giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in Euro
200 per esborsi, Euro 3.500 a titolo di compensi professionali, oltre spese
generali nella misura forfetaria del 15 per cento ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17 della I. n.228 del
2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1 -bis dello stesso art. 13.

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