Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 dicembre 2020, n. 29206

Tributi, IRAP, Avvocato, Diritto al rimborso, Presupposto
autonoma organizzazione, Compenso erogato ad altro avvocato per causa
congiunta, Esclusione

 

Fatto

 

Ritenuto che:

La CTR del Lazio, sezione distaccata di Latina, con
la sentenza indicata in epigrafe, accogliendo l’appello proposto dall’avv M.T.,
riformava la decisione di primo grado che aveva respinto il ricorso della
contribuente esercente la professione di avvocato, contro il diniego di
rimborso di Irap per I’ anno 2009, ritenendo che l’Agenzia delle entrate non
avesse fornito alcuna prova dello svolgimento organizzato di una attività
professionale non potendosi ritenere tale la circostanza che i professionisti
interessati esercitano l’attività nel medesimo Studio nonché la corresponsione
da parte dell’appellata di compensi per € 24.582,00 ad altro professionista
costituendo un quid pluris rilevante ai fini dell’imposta.

L’agenzia delle Entrate, ha proposto ricorso per cassazione,
affidato ad un unico motivo, al quale resiste la contribuente.

 

Diritto

 

Considerato che:

Con l’unico motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2 comma 1
e 3 e 3, e dell’art. 2697 c.c.

La CTR non si sarebbe attenuta ai principi espressi
da questa Corte e non avrebbe dato il giusto rilievo al quadro fattuale emerso
in causa.

Osserva infatti che la contribuente esercitava
l’attività professionale in uno studio condiviso con altri ed aveva corrisposto
ad un collega compensi per € 25.347,0 e che in base agli studi di settore erano
presenti ammortamenti per beni strumentali per € 4269,00 circostanze queste che
,ad avviso della ricorrente,dimostrerebbe l’esistenza di una organizzazione in
grado di accrescere l’apporto del singolo professionista a prescindere dalla
formale costituzione di un organismo associativo.

Il motivo è infondato.

I giudici laziali, hanno ritenuto che non fossero
stati dimostrati dall’agenzia delle entrate che ne era onerata i presupposti
impositivi escludendo che potesse assumere una qualche valenza probatoria
l’utilizzo degli stessi locali da parte dei professionisti operanti nel
medesimo studio e la corresponsione di compensi ad uno di essi.

Senza qui ripercorrere l’evoluzione interpretativa
della giurisprudenza dei giudici delle leggi e di legittimità con riferimento
ai presupposti per il rimborso Irap, e tenuto conto dell’orientamento
inaugurato da Cass. S.U. 12/05/2009 n. 12108, seguito da Cass. S.U. 10/15/2016 n. 9451 e, in senso
conforme, dall’attuale giurisprudenza di questa sezione, si è oramai
abbondantemente chiarito che il requisito dell’autonoma organizzazione, quale
presupposto impositivo dell’Irap – come previsto dal D.Lgs. n. 15 settembre 1997, n. 446,
art. 2, – ed il cui accertamento spetta al giudice di merito, insindacabile
in sede di legittimità, ricorre quando il contribuente: a) sia sotto qualsiasi
forma il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in
strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b)
impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il
minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di
organizzazione, oppure si avvalga, in modo non occasionale, di lavoro altrui
superando la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di
segreteria ovvero meramente esecutive.

Ed invero, giova ricordare che in tema di IRAP nel
caso di attività professionale, questa Corte ha già ritenuto che tale imposta
coinvolge una capacità produttiva “impersonale ed aggiuntiva”
rispetto a quella propria del professionista (determinata dalla sua cultura e
preparazione professionale) e colpisce un reddito che contenga una parte
aggiuntiva di profitto, derivante da una struttura organizzativa
“esterna”, cioè da “un complesso di fattori che, per numero,
importanza e valore economico, siano suscettibili di creare un valore aggiunto
rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti
indispensabili e di corredo al know-how del professionista (dal lavoro dei
collaboratori e dipendenti, dal numero e grado di sofisticazione dei supporti
tecnici e logistici, dalle prestazioni di terzi, da forme di finanziamento
diretto ed indiretto ecc.)”, cosicché è “il surplus di attività
agevolata dalla struttura organizzativa che coadiuva ed integra il
professionista (…) ad essere interessato dall’imposizione che colpisce
l’incremento potenziale, o quid pluris, realizzabile rispetto alla produttività
auto organizzata del solo lavoro personale” (Cfr. Cass 2219/2020).Cass. n. 22969/2018, che richiama
Cass. n. 15754 del 2008; Cass., S.U., n. 12109 del
2009; Cass. n. 23370 del 2010; Cass. n.
16628 del 2011).

Le Sezioni Unite (sent.
n. 9451 del 2016) hanno chiarito che “In tema di imposta regionale
sulle attività produttive, il presupposto dell’ “‘autonoma organizzazione”
richiesto dal D.Lgs. n. 446 del
1997, art. 2 non ricorre quando il contribuente responsabile
dell’organizzazione impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo
indispensabile all’esercizio dell’attività e si avvalga di lavoro altrui non
eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive. (In applicazione
del principio, la S.C. ha respinto il ricorso contro la decisione di merito che
aveva escluso l’autonomia organizzativa di uno studio legale dotato soltanto di
un segretario e di beni strumentali minimi)”.

Si è, poi, precisato che “In tema di IRAP,
l’elevato ammontare dei ricavi, dei compensi e delle spese, anche per beni
strumentali, non integra di per sè il presupposto impositivo dell’autonoma
organizzazione” (Cass. n. 8728 del 2018).
ciò che rileva ai fini della autonoma organizzazione, che determina la
sottoposizione ad IRAP, è l’esistenza di una struttura predisposta dal
professionista con personale da lui dipendente. Questo requisito non si
realizza quando il professionista operi all’interno di uno struttura altrui.

Neppure si può ritenere integrato il presupposto
impositivo dalla mera corresponsione di compensi ad altro professionista come
ha correttamente rilevato la CTR attraverso il richiamo ad un precedente di
questa Corte.

Va comunque rilevato che nel caso in esame il
giudice di appello ha evidenziato con un accertamento in fatto non sindacabile
in questa sede che i compensi nella specie corrisposti dalla contribuente
all’avv G.G. costituivano nulla più di un pagamento correlato ad un mandato
congiunto conferito ad entrambi gli avvocati in relazione ai quali nulla è
stato replicato dall’Agenzia delle entrate non solo con l’atto di gravame ma
neppure nel ricorso proposto in cassazione.

Tali essendo gli elementi di fatto acquisiti al
processo e non smentiti dalla sentenza d’appello e dalle difese erariali,
manifesta è la falsa applicazione delle norme di diritto sostanziali che
regolano la materia nella vincolante interpretazione datane dalle Sezioni Unite
con sentenza n. 9451/2016 (già citata).

Ciò posto, osserva il Collegio che la sentenza
impugnata non ha ravvisato la sussistenza del presupposto impositivo
dell’autonoma organizzazione ritenendo correttamente che l’Agenzia su cui
ricade il relativo onere non lo avesse adeguatamente assolto.

Siffatta motivazione si rivela conforme ai principi
di diritto innanzi richiamati.

Il ricorso va rigettato e le spese seguono la
soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al
pagamento in favore della controricorrente delle spese di legittimità che si
liquidano in complessive € 1000,0 oltre S.P.A.

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