Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 dicembre 2020, n. 28816

Licenziamento collettivo, Procedura di mobilità ex I. n. 223/1991, Indicazione delle generalità dei
lavoratori licenziati e delle modalità di applicazione ai criteri legali di
scelta

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di appello di Firenze, con sentenza n.
769/2018, accoglieva il reclamo proposto da S.P. e, in riforma della sentenza
del locale Tribunale, annullava il licenziamento intimato al ricorrente da R. s.p.a.
all’esito di una procedura di mobilità ex I. n.
223/91; ordinava la reintegra del P. nel posto di lavoro con risarcimento
del danno nella misura di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di
fatto, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali (calcolati gli
interessi sul capitale mensilmente rivalutato) dalle singole scadenze al saldo,
con condanna della società alla regolarizzazione delle posizione previdenziale
del reclamante.

2. La Corte di appello premetteva che:

– S.P., dipendente della società reclamata dal 2000,
impiegato nello stabilimento di Scarperia della R. al reparto verniciatura con
mansioni di operaio addetto allo stacco dei pezzi di linea, era stato
licenziato il 28 settembre 2016 al termine di una procedura di licenziamento
collettivo iniziata il 18 maggio 2015 e conclusa con accordo sindacale dell’11
giugno 2015;

– l’accordo sindacale aveva previsto il previo
ricorso agli ammortizzatori sociali e in esito, ove ancora necessario, il licenziamento
fino a 9 unità entro settembre 2016, selezionati i lavoratori prioritariamente
con il criterio dell’accettazione del licenziamento, quindi con i criteri
legali;

– nel documento di apertura della procedura, tra i
profili professionali eccedentari erano stati indicati, quanto al “reparto
verniciatura”, tre esuberi tra gli “addetti allo stacco”, su un
totale di quattro lavoratori ivi impiegati; la stessa comunicazione aveva
individuato, tra gli addetti al “reparto verniciatura”, anche due
“addetti allo stacco-mulettisti” e un “addetto alla fase di
attacco catena-mulettista”, nessuno di essi in esubero;

– la comunicazione inviata dall’azienda al termine
della procedura ai competenti uffici pubblici e ai sindacati ex art. 4, comma 9, legge n. 223/91
recava l’indicazione delle generalità dei licenziati e delle modalità di
applicazione ai criteri legali di scelta; in questa comunicazione si dava atto
di medesime mansioni (L.), che gli era stato preferito in quanto avente
maggiore anzianità aziendale e maggiori carichi di famiglia, poiché un secondo
addetto (T.) sarebbe stato pure lui licenziato.

3. Tanto premesso, la Corte territoriale
ripercorreva le censure che il P. aveva posto a fondamento dell’impugnativa del
licenziamento, le difese svolte in prime cure dalla società resistente, la
soluzione accolta dal Tribunale in entrambe le fasi del primo grado di giudizio
(di sostanziale condivisione della tesi di parte convenuta), i motivi posti a
fondamento del reclamo del P., con cui erano stati riproposti gli argomenti già
svolti dinanzi al Tribunale e, in particolare, il difetto della sua
comparazione con tutte le altre posizioni effettivamente fungibili, quali
emerse nel corso dell’istruttoria svolta in primo grado.

4. In sintesi, la sentenza argomentava come segue
l’accoglimento del ricorso: a) nella procedura nulla risultava quanto alla
posizione del lavoratore L.B., il quarto addetto allo stacco, secondo le
allegazioni della convenuta; b) nelle operazioni di “stacco
verniciatura” la società aveva impiegato anche il dipendente I., indicato
nella comunicazione di apertura della procedura come “addetto allo
stacco-mulettista”, il quale era stato adibito sia prima che dopo il
licenziamento del ricorrente con assoluta prevalenza allo stacco, di modo che
egli avrebbe dovuto essere comparato con la posizione del P..

5. Per la cassazione di tale sentenza la soc. R. ha
proposto ricorso affidato a quattro motivi. Ha resistito il P. con
controricorso.

6. La società ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

 

Ragioni della decisione

 

7. Con il primo motivo si denuncia violazione e
falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ.
(art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) per avere la
sentenza violato il principio di non contestazione.

Si argomenta che la convenuta aveva ritualmente
allegato in giudizio che il B. era il quarto “addetto allo stacco”
presso il reparto “verniciatura”; che tale allegazione non era stata
contestata in giudizio dal ricorrente, il quale aveva sempre incentrato le
proprie difese sulla incompletezza comunicazione finale di cui all’art. 4, comma 9, I. 223/91;
che il giudice della fase dell’opposizione aveva dato atto che il quarto
“addetto allo stacco” era appunto il B., il quale aveva aderito
volontariamente al collocamento in mobilità in data 28.12.2015, di modo che il
personale in esubero per tale profilo si era ridotto di una unità (da tre a
due); che in sede di reclamo il P. aveva insistito nell’affermare che nella
comunicazione effettuata ai sensi dell’art. 4, comma 9, legge n. 223/91
non era stata fatta menzione del B.; che dunque non vi era mai stata in
giudizio la contestazione specifica del fatto che il quarto lavoratore con
profilo di “addetto allo stacco” fosse il B..

8. Con il secondo motivo si denuncia violazione
degli artt. 115 cod. proc. civ. e 24 e 111 Cost. (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) sotto un diverso
profilo per avere la sentenza optato per una ricostruzione dei fatti nuova
(mancata prova da parte di R. di chi fosse il quarto “addetto allo
stacco”) rispetto a quella seguita dai giudici di primo grado, senza
considerare le richieste istruttorie formulate dalla stessa R., che fin dalla
fase sommaria aveva chiesto di essere ammessa a provare che i quattro
“addetti allo stacco” considerati nella comunicazione di apertura
delle procedura di mobilità fossero P., T., L. e B..

9. Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 4, comma 9, l. 223/91 (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) per avere la
sentenza errato nel ritenere rilevante la comparazione del ricorrente con il
B., il quale era già uscito dall’organico aziendale sin dal dicembre 2015, in
base all’esodo volontario incentivato, per cui la posizione di costui non
poteva più essere comparata con quella del P., il quale era così stato messo a
confronto con il L., rimasto in azienda in quanto con maggiore punteggio, oltre
che con il T., pure lui licenziato perché in esubero.

10. Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 4 legge n. 223/91 (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) e dell’art. 41 Cost. per avere la sentenza erroneamente
ritenuto che la comparazione avrebbe dovuto riguardare anche la posizione di un
operaio “mulettista”, ossia il dipendente I..

Si deduce che con tale ragionamento la Corte aveva
Interferito sulle scelte economiche aziendali per le quali le posizioni in
esubero non riguardavano il personale “addetto allo
stacco-mulettista”, come reso evidente dalla lettura dell’allegato A alla
comunicazione di avvio della procedura; che la sentenza, invece, era entrata
nel merito degli accordi sindacali sottoscritti nell’ambito della procedura di
mobilità, che avevano stabilito l’esistenza di esuberi riguardo a precisi
profili professionali, riconducibili a certi reparti aziendali; che era
pacifico che alla data dell’avvio della procedura nel reparto verniciatura vi
erano quattro “addetti allo stacco” e due “addetti allo stacco –
mulettista” e che l’esubero riguardava solo gli “addetti allo
stacco” e non anche gli addetti allo stacco che avessero anche la
professionalità di “mulettista”; che pertanto la società non era
tenuta a comparare il P. con il collega I., avente un diverso profilo
professionale.

11. Il ricorso è fondato con riferimento sia alla
prima ratio decidendi, che ha formato oggetto dei primi tre motivi di ricorso,
sia alla seconda ratio, interessata dal quarto motivo.

12. Quanto alla prima ratio decidendi, risulta dalla
stessa sentenza di appello che, a fronte all’originaria censura del P. secondo
cui a fronte di tre esuberi dichiarati all’avvio della procedura su quattro
“addetti allo stacco”, egli era stato comparato solo con il L., la
società aveva addotto in primo grado che il quarto lavoratore, oltre al P., al
L. e al T. (quest’ultimo pure lui licenziato e il L. in posizione poziore rispetto
al P.), era L.B., licenziato nel dicembre 2015 e che aveva concluso con la
società una transazione, accettando il recesso a fronte di un incentivo
all’esodo, così che, al momento del licenziamento del P., nessuna comparazione
sarebbe stata possibile con tale quarto lavoratore. In proposito, la sentenza
di appello ha affermato che “nella specie è un fatto che negli atti della
procedura di cui è causa nulla risulti quanto alla posizione del lavoratore
L.B. (il quarto addetto allo stacco, secondo la prospettazione in giudizio
della società); nella comunicazione di apertura del procedimento infatti le
unità in esubero sono indicate in 3 su 4 addetti allo stacco, mentre nella
comunicazione finale ex art. 4 comma
9 la comparazione è in effetti operata tra tre addetti senza nulla dire
della posizione del quarto”. Su tali basi la Corte di appello ha concluso
che non vi era alcuna “evidenza documentale, negli atti della procedura
(non nella comunicazione di apertura, né in quella finale, né in qualsiasi atto
diverso) che B. fosse effettivamente quarto addetto allo stacco al momento
dell’avvio della mobilità e che, di conseguenza, la sua posizione non potesse
essere obiettivamente essere comparata con quella di P.per avere egli già
cessato il suo rapporto di lavoro alla data del licenziamento qui
impugnato”.

13. Va premesso che tale giudizio è viziato in punto
di diritto. Innanzitutto, giova ribadire che, nella fase di avvio della
procedura, la funzione della comunicazione di cui all’art. 4, comma terzo, della legge
n. 223 del 1991, è quella di consentire alle organizzazioni sindacali una
partecipazione con efficacia adeguata al ruolo che il legislatore assegna loro
nell’ambito di una vicenda dalla quale esce mutata la stessa struttura
dell’azienda (cfr. Cass. n. 13196 del 2003).
Per la regolarità della procedura occorre che la medesima comunicazione,
conformatasi ai requisiti prescritti – l’indicazione dei motivi che determinano
la situazione di eccedenza, nonché il numero, la collocazione aziendale ed i
profili professionali del personale da eliminare – consenta alle organizzazioni
sindacali di verificare il nesso tra le ragioni che determinano l’esubero di
personale e le unità che, in concreto, l’azienda intende espellere, di talché
sia evidenziabile la connessione tra le enunciate esigenze aziendali e
l’individuazione del personale da licenziare (cfr. Cass. n. 24646 del 2007).

14. Pertanto, è erronea l’affermazione secondo cui
nella comunicazione di avvio la società avrebbe dovuto indicare, quale elemento
di regolarità formale della procedura, anche i nominativi dei quattro
lavoratori “addetti allo stacco catena verniciatura”, e segnatamente
il nominativo del B. quale quarto addetto.

15. Quanto alle censure che vertono sulla violazione
del principio di non contestazione, va rilevato che la sentenza impugnata
presenta profili di contraddittorietà intrinseca. Per un verso, essa ha dato
atto che i motivi di reclamo vertevano sulle stesse questioni giuridiche
prospettate dal P. nella originaria impugnazione del licenziamento: in tale
sede egli aveva pag. 2 della sentenza impugnata) l’incompletezza della
comunicazione ex art. 4, comma
9, I. n. 223/91 in ordine alle indicazioni dei carichi familiari e
dell’anzianità lavorativa dei lavoratori non licenziati e comunque la
violazione dei criteri di scelta, in quanto, a fronte dei tre esuberi
dichiarati nell’avvio della procedura su quattro addetti allo stacco, egli
sarebbe stato in effetti comparato con il solo L. e certamente non con il
collega I. (“addetto allo stacco-mulettista”) e nemmeno con altri
“addetti all’attacco”, che tutti avrebbero svolto mansioni
comparabili e fungibili. Non risulta dalla sentenza che il reclamo avesse
interessato la questione di chi fosse il quarto “addetto allo
stacco”, pur avendo il giudice di primo grado, tanto nella fase sommaria
che in quella dell’opposizione – come pure dà atto la sentenza impugnata –
accolto la tesi di parte convenuta per cui il quarto addetto era appunto il B.,
il quale aveva transatto nelle more della procedura accettando il licenziamento
(criterio primario adottato in sede di accordo sindacale).

16. Per altro verso, la sentenza non ha neppure
dimostrato la decisività della circostanza della originaria esistenza di un
quarto addetto, sia esso il B. o altro lavoratore, atteso che nel momento in
cui è stata operata la selezione con applicazione dei criteri legali di scelta
di cui all’art. 5 I. n. 223/91
le unita in esubero erano scese da tre a due su tre addetti ancora in servizio:
non risulta, infatti, che tra le questioni trattate dalla sentenza impugnata vi
fosse quella della perdurante esistenza di un quarto addetto rimasto in
servizio, risultando invece che i tre lavoratori ancora in servizio con il
profilo di “addetto allo stacco” furono effettivamente e
correttamente comparati, essendo i carichi di famiglia e l’anzianità di
servizio del L. superiori a quelli del P. ed essendo stato licenziato pure il
terzo lavoratore (T.).

17. Anche il quarto motivo, che riguarda la seconda
ratio decidendi, è fondato.

18. La sentenza impugnata ha argomentato che
l’operazione di comparazione era inficiata dalla mancata considerazione del
lavoratore I., avente un diverso profilo professionale e inquadrato con la
qualifica di “addetto allo stacco-mulettista”, poiché costui aveva
svolto nei fatti attività omogenea e fungibile a quella del P.. La sentenza
impugnata ha altresì argomentato che non poteva rilevare la circostanza che i
profili professionali dei lavoratori “addetti allo stacco” e quelli
di “addetti allo stacco-mulettista” risultassero separatamente
individuati nella comunicazione di apertura della procedura.

19. Tale giudizio è in diritto errato. Come questa
Corte ha costantemente affermato, la L. n. 223 del
1991, nel prevedere agli artt.
4 e 5 la puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del
provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha introdotto un significativo
elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale,
esercitato ex post nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo
dell’iniziativa imprenditoriale, concernente il ridimensionamento dell’impresa,
dovuto ex ante alle organizzazioni sindacali, destinatane di incisivi poteri di
informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di
trasferimenti di azienda. I residui spazi di controllo devoluti al giudice in
sede contenziosa non riguardano più, quindi, gli specifici motivi della
riduzione del personale (a differenza di quanto accade in relazione ai
licenziamenti per giustificato motivo obiettivo) ma la correttezza procedurale
dell’operazione, con la conseguenza che non possono trovare ingresso in sede
giudiziaria tutte quelle censure con le quali, senza contestare specifiche
violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5 e senza fornire la
prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni
sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra
i lavoratori, si finisce per investire l’autorità giudiziaria di una indagine
sulla presenza di “effettive” esigenze di riduzione o trasformazione
dell’attività produttiva (v. Cass. n. 11455 del 1999, Cass. nn. 13450, 13727, 14434,
13839 e 14553 del 2000, n. 11194 del 2001, Cass. n. 11651 del 2003, Cass. n.
9134 del 2004, Cass. n. 21300 del 2006, Cass.
19347 del 2007, n. 5089 del 2009; da ultimo
Cass. 30250 del 2018).

20. Più nello specifico, per quanto rileva nella
presente sede, questa Corte ha affermato che, ove la ristrutturazione della
azienda interessi una specifica unità produttiva o un settore, la comparazione
dei lavoratori per l’individuazione di coloro da avviare a mobilità può essere
limitata al personale addetto a quella unità o a quel settore, salvo l’idoneità
dei dipendenti del reparto, per il pregresso impiego in altri reparti della
azienda, ad occupare le posizioni lavorative dei colleghi a questi ultimi addetti,
spettando ai lavoratori l’onere della deduzione e della prova della fungibilità
nelle diverse mansioni (Cass. n. 18190 del 2016).

21. La fungibilità – criterio che la Corte di
appello ha inteso richiamare a sostegno della decisione adottata – opera nel
senso che, ove il lavoratore interessato dal licenziamento abbia dimostrato di
possedere una professionalità fungibile, la sua comparazione può non essere
limitata a quella degli appartenenti allo stesso reparto o settore interessato
dalla riduzione (nella specie, la ristrutturazione dell’azienda aveva
interessato specifici settori e profili professionali), poiché la fungibilità
rivela l’idoneità del lavoratore ad occupare posizioni lavorative di reparti
diversi, in cui lo stesso si è trovato ad operare precedentemente in azienda,
fermo restando che in tali casi spetta pur sempre al lavoratore l’onere di
allegare e dimostrare tale sua fungibilità.

22. Nel caso in esame, la sentenza impugnata non
riferisce che il P. avesse dimostrato di avere una professionalità fungibile
rispetto allo I., avente il diverso profilo professionale di “addetto allo
stacco-mulettista”, profilo per il quale la società non aveva ritenuto
esistenti eccedenze di personale. Piuttosto, applicando erroneamente il
principio di diritto relativo alla rilevanza della professionalità fungibile,
ha spinto la sua indagine sul merito delle scelte aziendali, compiendo
un’indagine preclusa al giudice ai sensi dell’art.
41 Cost.

23. Per tali assorbenti ragioni, la sentenza
impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Firenze in diversa
composizione, per il riesame dei motivi di appello alla luce dei principi di
diritto sopra indicati.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello
di Firenze in diversa composizione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 dicembre 2020, n. 28816
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