Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 dicembre 2020, n. 29438

Sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato,
Differenza retributive, Accertatamento della nullità della clausola limitativa
della durata del contratto di arruolamento

Rilevato che

1. La Corte di appello di Napoli ha confermato la
sentenza del Tribunale che aveva accolto il ricorso proposto da S. F.,
direttore di macchina, nei confronti della V. s.r.l. ed aveva accertato e
dichiarato l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo
indeterminato a decorrere dal 1.12.1988 condannando la società a ripristinarlo
ed a pagare le differenze retributive maturate dal 6 febbraio 2008, con
esclusione dei periodi di malattia e detratto quanto percepito in forza di
altri rapporti lavorativi.

1.1. Il giudice di secondo grado ha ritenuto che
nonostante tra un contratto di arruolamento e l’altro fossero trascorsi ogni
volta più di sessanta giorni tuttavia era già intervenuta la conversione del
rapporto a tempo indeterminato in quanto il rapporto di lavoro si era protratto
per più di un anno nell’arco temporale complessivo in cui si era svolto.

1.2. La Corte territoriale ha escluso, poi, che la
richiesta di sbarco del 17.10.2007 esprimesse la volontà del F. di sciogliere
il rapporto. Ha osservato che in tal senso non deponeva la mancata
presentazione all’imbarco a seguito di convocazione del 25 marzo 2008 in
assenza di prova della avvenuta ricezione della convocazione (peraltro
successiva

alla costituzione in mora della società da parte del
lavoratore del 6.2.2008). Ha ritenuto ininfluente, inoltre, la circostanza che
il lavoratore era stato imbarcato presso altra compagnia di navigazione.

1.3. Ha quindi confermato la conversione del
rapporto per effetto dell’accertata nullità della clausola limitativa della
durata ed ha ritenuto che fosse passato in giudicato il capo della decisione
con il quale era stata esclusa l’applicazione del collegato lavoro ed applicato
il risarcimento del danno ordinario stante la genericità della doglianza
formulata nel ricorso.

2. Per la cassazione della sentenza ha proposto
tempestivo ricorso la V. s.r.l. affidato a cinque motivi, ulteriormente
illustrati da memoria, ai quali ha resistito con controricorso S. F..

 

Considerato che

 

3. Il primo motivo di ricorso con il quale è
denunciata la violazione degli artt. 325 e 326 cod. nav. e degli artt. 1 e 3 del c.c.n.l.
per l’imbarco sugli aliscafi nella parte in cui la sentenza ha riconosciuto
l’unicità del rapporto di lavoro e la sua persistenza non può essere accolto.

4. La ricorrente sostiene che in base ad una
corretta lettura delle disposizioni del codice della navigazione che
disciplinano i contratti di arruolamento e la loro cessazione (gli artt. 325, 326, 342 e 348 cod. nav.)
con le disposizioni del contratto collettivo applicabile alla fattispecie la Corte
territoriale avrebbe dovuto accertare che, nell’arco di diciannove anni, tra le
parti erano intercorsi cinque distinti contratti di arruolamento a tempo
indeterminato, intervallati tra loro da periodi superiori a sessanta giorni.

5. Sottolinea al riguardo che il c.c.n.l. di
categoria non prevede i c.d. contratti a viaggio ma solo contratti a tempo
determinato e a tempo indeterminato.

6. Aggiunge che, ai sensi dell’art. 326 comma 2 cod. nav., il rapporto di lavoro
tra le parti era stato interrotto a causa di un imbarco con altro armatore, e
dunque erroneamente è stato ritenuto sussistente un unico rapporto dal
1.12.1988 senza tenere conto del fatto che dopo lo sbarco del 10.7.1990 era
stato imbarcato con altro armatore e che lo stesso era poi accaduto anche
successivamente per il contratto iniziato il 2.12.2002 e cessato con lo sbarco
del 21.10.2007.

7. Ritiene il Collegio che l’assunto che nell’arco
temporale complessivo siano intercorsi tra le parti una serie di contratti a
tempo indeterminato contrasta con la ricostruzione in fatto del rapporto
effettuata sia dal Tribunale che dalla Corte di appello. Entrambe le sentenze
hanno accertato che si era trattato di diversi contratti a tempo determinato
per più viaggi e ritenuto illegittimo il primo dei contratti che si era
protratto per più di un anno. La circostanza che tra il primo imbarco,  del 1.12.1988 terminato il 10.7.1990,
convertito per effetto del superamento dell’anno, ed il successivo, del
3.10.1994, vi siano stati arruolamenti presso altri armatori non risulta essere
stata esaminata dalla Corte di appello e nel ricorso non è precisato come dove
quando tale fatto sia stato allegato in giudizio.

8. Anche il secondo motivo di ricorso, con il quale
è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 44/C punto 1 del
c.c.n.l. per l’imbarco sugli aliscafi e degli artt.
342 e 348 cod. nav. con riguardo alla
conversione del rapporto di lavoro ed alla sua persistenza è infondato.

8.1. La censura con la quale si invoca la disciplina
collettiva della risoluzione del contratto a tempo indeterminato che prevede la
risoluzione per giusta causa in relazione allo “sbarco del marittimo per
avvicendamento” – in relazione alla richiesta avanzata dal F. il
17.10.2007 di sbarco, avvenuto poi il 21.10.2007, dalla quale è desunta la
volontà di risolvere il rapporto che si sarebbe conseguentemente estinto – non
attinge tuttavia il nucleo della decisione.

8.2. La conversione del rapporto è stata pronunciata
avuto riguardo alla durata del primo contratto intercorso tra le parti ( quello
del 1988). La questione dello sbarco per avvicendamento attiene invece
all’ultimo dei contratti ed è stata esaminata al solo fine di verificare se il
rapporto di cui in giudizio è stata accertata l’esistenza, per effetto di un
comportamento concludente, si era risolto. Non vi è questione perciò di
violazione delle disposizioni che disciplinano lo sbarco per avvicendamento ma
piuttosto una valutazione del comportamento concludente tenuto dalla parte. La
Corte di appello, con accertamento di fatto a lei riservato, ha ritenuto
insufficiente la sola circostanza dello sbarco per giustificare una volontà
abdicativa con riguardo al rapporto di lavoro intercorso con la società oggi
ricorrente. Si tratta in ogni caso di una ricostruzione di fatto che intanto è
censurabile davanti a questa Corte in quanto nella sentenza sia ravvisabile un
vizio di motivazione, nella specie denunciabile nei limiti dell’art. 360 primo comma n. 5 cod.proc.civ. novellato,
vizio che tuttavia non viene neppure prospettato (cfr. Cass. n. 29781 del
2017).

9. Neppure può essere accolto il terzo motivo di
ricorso con il quale è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 373 cod. nav. e degli artt. 1 e 3 c.c.n.l.
di categoria con riguardo alla pretesa nullità parziale del contratto ed alla
mancata applicazione del termine biennale di prescrizione con riguardo ai primi
quattro dei cinque contratti intercorsi tra le parti.

9.1. Non si tratta infatti di diritti nascenti in
via immediata dal contratto di arruolamento ma piuttosto conseguenti
all’accertata nullità parziale del contratto . Diversamente dal caso in cui i
diritti azionati conseguano a più contratti di lavoro a termine, ciascuno dei
quali legittimo ed efficace, ed il termine prescrizionale inizia a decorrere,
per i crediti che sorgono nel corso del rapporto lavorativo, dal giorno della
loro insorgenza e, per quelli che maturano alla cessazione del rapporto ed a
partire da tale momento (Cass. 8/06/2005 n. 11939,
Cass. Sez. U. 16/01/2003 n. 575 e Cass. 20/10/2014 n. 22146), ove il credito
scaturisca, come nel caso in esame, dall’azione di nullità si applica il regime
della prescrizione suo proprio.

10. Il quarto motivo con il quale è denunciata la
violazione e falsa applicazione dell’art. 1419
cod.civ., con riferimento alla nullità di clausola appositiva di termine ai
contratti di arruolamento n. 103 del 
2005 e n. 15 del 2005, pone questioni che non sono state esaminate dalla
sentenza che le ha, correttamente, ritenute assorbite dall’accoglimento delle
censure che investivano il primo dei contratti intercorsi tra le parti, al cui
annullamento è conseguito l’accertamento dell’esistenza del rapporto a tempo
indeterminato.

11. Il quinto motivo denuncia la violazione e falsa
applicazione dell’art. 343 n. 10 cod. nav. e
l’omesso esame di fatto decisivo ai sensi dell’art.
360 primo comma nn. 3 e 5 cod. proc.civ..

11.1. Sostiene la ricorrente che erroneamente la
Corte di appello ha ritenuto non rilevante la mancata presentazione del F. per
il nuovo imbarco il 31.3.2008 senza considerare che per effetto della scelta di
non presentarsi (non essendo chiaro al lavoratore se si trattava di rapporto a
termine o a tempo indeterminato) il rapporto si era definitivamente risolto ex art. 343 cod.nav.. La dicitura apposta sulla
raccomandata, portata al destinatario il 29 marzo con avviso che non era stato
reperito fa si che era imputabile al destinatario il non averla ritirata in
tempo utile per l’imbarco e, pertanto, validamente si era risolto il contratto.

 12. Anche
tale censura è destituita di fondamento poiché non considera che la Corte di
appello ha, in fatto, accertato che non era certa la data di ricezione della
convocazione per l’imbarco.

A ciò si aggiunga che, come ritenuto da questa Corte
(cfr. Cass. n. 6979 del 23/03/2009) l’art. 343
cod. nav. contempla (in genere nell’interesse del datore di lavoro) cause
di risoluzione del rapporto di lavoro incompatibili con i regimi di stabilità e
di controllo giudiziale della adeguatezza delle causali di risoluzione,
introdotti dalle leggi 15 luglio 1966, n. 604 e
20 maggio 1970, n. 300, sicché, in linea di
massima, deve ritenersi l’abrogazione tacita della norma in questione,
potendosi ritenere escluse da tale incidenza abrogativa solo quelle causali per
le quali l’automaticità della risoluzione non sia in contrasto con le esigenze,
anche di tutela formale, poste dalle leggi suddette.

In tale previsione rientra il caso in cui il mancato
imbarco sia determinato, come accertato nel caso in esame, da ragioni
indipendenti dalla consapevole volontà dell’arruolato.

13. Quanto alla circostanza che il Tribunale di
Napoli avrebbe definito altra causa tra le parti con ordinanza del 22.4.2013
resa all’esito della fase sommaria del rito Fornero con la quale è stata
qualificata quella condotta del lavoratore, che non aveva risposto all’invito
datoriale di presentarsi per ripristinare il rapporto in esecuzione della
sentenza dello stesso Tribunale che aveva accertato la nullità del termine
apposto al contratto, come intenzione di non volerlo ripristinare si tratta di
questione nuova che avrebbe dovuto essere allegata già in sede di gravame.

13.1. Va qui ribadito che nel giudizio per
cassazione è ammissibile la produzione di documenti non prodotti in precedenza
solo ove attengano alla nullità della sentenza impugnata o all’ammissibilità
processuale del ricorso o del controricorso, ovvero al maturare di un
successivo giudicato, mentre non è consentita la produzione di documenti nuovi
relativi alla fondatezza nel merito della pretesa, per far valere i quali, se rinvenuti
dopo la scadenza dei termini, la parte che ne assuma la decisività può esperire
esclusivamente il rimedio della revocazione straordinaria ex art. 395, n. 3, c.p.c. (cfr. Cass. 12/07/2018 n.
18464 ed anche n.4415 del 2020).

14. In conclusione il ricorso deve essere rigettato
e le spese, liquidate in dispositivo, vanno poste a carico della soccombente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater
del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma
dell’art.13 comma 1 bis del
citato d.P.R., se dovuto.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità liquidate in € 4.000,00 per compensi professionali, €
200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per
legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato
d.P.R., se dovuto.

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