Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 dicembre 2020, n. 27548

Lavoro, Insegnante di scuola primaria, Riconoscimento del
diritto alla corresponsione del trattamento pensionistico anticipato a seguito
delle dimissioni

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d’appello di Bari, in riforma della
sentenza del Tribunale di Foggia, ha rigettato la domanda di M.R., insegnante
di scuola primaria, volta ad ottenere il riconoscimento del suo diritto alla
corresponsione del trattamento pensionistico anticipato, a seguito delle
dimissioni ,a far data dal settembre 1998 ed a percepire tutti gli arretrati
maturatisi fino al 10/8/2005.

La Corte ha rilevato, in primo luogo, l’infondatezza
dell’eccezione di inammissibilità dell’appello ritenendo che l’erronea
indicazione delle generalità della resistente e di identificazione del
procuratore della stessa ,contenuti nel ricorso in appello dell’Inps, non
avevano impedito alla M. di difendersi ampiamente nel merito.

Ha riferito, inoltre, che l’art 1, comma 27, L n 335/1995
consentiva, nella fase transitoria, a chi avesse compiuto 53 anni a tutto il
31/12/1998, di conseguire la pensione anticipata di anzianità a quell’epoca già
maturata secondo gli ordinamenti previdenziali di appartenenza.

La Corte ha esposto, quanto alla disciplina
previgente degli ordinamenti previdenziali di appartenenza, che l’art 42 DPR 1092/1973, invocato
dalla ricorrente prevedeva un abbuono di 5 anni di contribuzione per la
dimissionaria coniugata o con prole a carico, utilizzabile solo dalla
dipendente dimissionaria alla quale occorrevano fino a 5 anni per il
conseguimento del ventennio di servizio necessario per accedere alla pensione
anticipata , in difetto di tali requisiti erano necessari 15 anni di servizio
effettivo.

La Corte ha riferito, altresì, che tale normativa
era stata fatta salva dal Dlgs n 503/1992 il
quale prevedeva all’art 2 ,
comma 3, lett. a) che continuavano a trovare applicazione i requisiti di
assicurazione e contribuzione previsti dalla previgente normativa nei confronti
dei soggetti che li avevano maturati alla data del 31/12/1992.

Secondo la Corte la ricorrente alla data del
31/1/92, non essendo ancora intervenute le dimissioni, avrebbe potuto andare in
pensione solo con almeno 15 anni di servizio effettivo e senza alcun abbuono e,
comunque, a tale data pur con l’abbuono di 5 anni, raggiungeva al più come da
lei stessa ammesso 16 anni di contribuzione e non i 20 necessari.

La Corte ha quindi concluso che la ricorrente non
poteva beneficiare del regime previgente e a maggior ragione non poteva
rivendicare alcun diritto in seguito all’entrata in vigore della disciplina
transitoria di cui al sopravvenuto art
1, comma 27, L. n. 335/1995.

2. Avverso la sentenza ricorrente la M.R. con
quattro motivi ulteriormente illustrati con memoria ex art 378 c.p.c. . Resiste l’Inps.

 

Ragioni della decisione

 

3. Con il primo motivo la ricorrente denuncia
violazione dell’art 436 c.p.c., dell’art
24 Cost, dell’art
112 c.p.c.e la L n 449/1997. Lamenta che l’Inps aveva notificato
un atto di appello nullo e non sanabile ; che per tale ragione non aveva potuto
partecipare alla fase della sospensiva, che si era costituita nel giudizio solo
per eccepire la nullità dell’appello e che l’effetto sanante aveva determinato
una violazione del diritto di difesa non avendo potuto proporre l’appello
incidentale. Con il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 433, 414 e 342 c.p.c. ribadendo l’insanabilità della nullità.

4. I due motivi, congiuntamente esaminati stante la
loro connessione, sono infondati.

Il ricorso in appello dell’Inps contiene un’errata
indicazione delle generalità della M. ,nonché un’errata identificazione del
procuratore costituito in primo grado , correttamente indicato, invece, nella
relata di notifica. La Corte ha, a riguardo, rilevato che il ricorso consentiva,
comunque, di ben identificare sia la resistente sia il procuratore, considerati
i vari richiami alla sentenza di primo grado, tanto che l’appellata si era
costituita e si era difesa. Tali argomenti sono del tutto corretti dovendosi
sottolineare che la costituzione della M. ha sanato gli errori materiali
sussistenti nel ricorso , né risulta che l’appellata abbia mai richiesto
un’eventuale rimessione in termine in base all’art.
164 c.p.c., applicabile anche in appello (cfr Cass. n. 23667/2018, n.
11549/2019), per integrare la propria difesa, qualora avesse subito delle
limitazioni derivanti dalla presenza degli errori materiali denunciati.

5. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia
violazione dell’art. 1 comma 27
L. n. 335/1995 in combinato disposto con la circolare ministeriale 36 del
28/11/1998 e n 282 del 25/6/1998.

Con il quarto motivo denuncia violazione della L. n. 1092/1973.

Deduce che la Corte non aveva considerato che la
circolare n 36 dava diritto, a chi avesse maturato i requisiti di cui alla L. 335/1995 entro 1/9/1998, al pensionamento
anticipato sempre fossero in esubero, avessero 53 anni ed una anzianità di 20
anni e che tutte tali caratteristiche erano possedute dalla M. Osserva che la
disciplina transitoria di cui alla L. n. 335/1995
faceva salvi i diritti acquisiti dai soggetti in possesso dei requisiti per l’ottenimento
del pensionamento anticipato : la normativa previgente alla L. n. 335/1995 era costituita dal DPR n 1092/1973 ed in particolare dall’art 42 che prevedeva l’abbuono di
5 anni per la dimissionaria con prole.

Rileva che tale disciplina era stata fatta salva dal
d.lgs n. 503/1992 in base al quale (art 8 comma 1) per i soggetti
che avevano maturato i requisiti restavano ferme le norme previste dai
rispettivi ordinamenti.

Infine, osserva che dovevano esserle riconosciuti
ulteriori 5 anni avendo riscattato un periodo di servizio anche ai fini
pensionistici.

6. I motivi sono infondati.

7. L’art.
1 comma 27 L. n. 335/1995 prevede che “il diritto alla pensione
anticipata di anzianità per le forme esclusive dell’assicurazione generale
obbligatoria per l’invalidità,la vecchiaia ed i superstiti è conseguibile,
nella fase transitoria, oltre che nei casi previsti dal comma 26, anche: a)
ferma restando l’età anagrafica prevista dalla citata tabella B, in base alla
previgente disciplina degli ordinamenti previdenziali di appartenenza).

La citata tabella permetteva di ottenere la pensione
anticipata di vecchiaia in base ai requisiti dell’ordinamento previdenziale di
appartenenza al conseguimento entro il 31/12/1998 di 53 anni.

7. La questione esaminata nella sentenza impugnata è
se, in base alla citata disciplina transitoria, alla data dell’1/9/98, oltre
l’età anagrafica prevista secondo la tabella di 53 anni, si ha diritto a
percepire la pensione anticipata se già maturata in base all’ordinamento di
appartenenza e dunque nella fattispecie se alla data del 31/12/92, come afferma
la Corte, la ricorrente aveva 20 anni di contribuzione compreso l’abbuono di 5
anni per la prole in caso di dimissioni oppure, senza dimissioni, 15 anni di
servizio effettivo senza alcun abbuono.

L’art.
42 del DPR n. 1092/1973, costituente l’ordinamento previdenziale di
appartenenza, stabiliva infatti che “il dipendente civile che cessa dal
servizio per raggiungimento del limite di età o per infermità non dipendente da
causa di servizio ha diritto alla pensione normale se ha compiuto quindici anni
di servizio effettivo (33/a). Nei casi di dimissioni, di decadenza, di
destituzione e in ogni altro caso di cessazione dal servizio, il dipendente
civile ha diritto alla pensione normale se ha compiuto venti anni di servizio
effettivo. Al la dipendente dimissionaria coniugata o con prole a carico
spetta, ai fini del compimento dell’anzianità stabilita nel secondo comma, un
aumento del servizio effettivo sino al massimo di cinque anni.

In base a tale interpretazione, accolta dalla Corte
territoriale, alla ricorrente non spettava la pensione anticipata in quanto
alla data del 31/12/92, in base all’ordinamento di appartenenza, aveva 16 anni
di contribuzione , anche a voler considerare l’abbuono per la prole, e non i 20
anni richiesti e comunque, la Corte ha sottolineato che le dimissioni erano
intervenute solo nel 1998 e dunque la ricorrente al 31/12/1992 non aveva
maturato alcunché, neppure i 15 anni di contribuzione necessari senza le
dimissioni, e pertanto aveva perso il diritto a mantenere il regime precedente,
fatto salvo dalla L. n. 335/1995.

Secondo la ricorrente invece, i requisiti
dell’ordinamento previgente dovevano essere posseduti alla data dell’1/9/1998 e
dunque le spettava la pensione di anzianità anticipata compreso l’abbuono di 5
anni per i figli.

7. L’interpretazione delle norme accolta dalla Corte
territoriale risulta del tutto corretta non potendo invece essere condivisa la
tesi di parte ricorrente che pretende di affermare una sorta di ultrattività
della normativa preesistente sebbene le regole fossero da tempo cambiate.

Il dettato normativo è, invece, chiaro
nell’attribuire, a coloro che pur possedendo i requisiti per il pensionamento
in base all’ordinamento di appartenenza hanno proseguito l’attività lavorativa,
il beneficio di poter conservare le più favorevoli regole anche se
successivamente modificate.

8. Quanto, infine, alla censura circa la mancata
valutazione del riscatto di un periodo di servizio ai fini pensionistici va
rilevato che la Corte ne ha affermato la tardiva deduzione e, comunque, ha
osservato che dalla documentazione risultava il rilievo del riscatto solo ai
fini della liquidazione dell’indennità di buonuscita INPDAP e non già della
pensione. L’affermazione della ricorrente secondo cui il riscatto degli anni di
servizio aveva valore anche ai fini pensionistici non è accompagnato nel
ricorso, ai fini della specificità del motivo, dalla riproduzione delle parti
rilevanti del documento che secondo la ricorrente provava l’incidenza del
riscatto anche ai fini pensionistici.

9. Per le considerazioni che precedono il ricorso
deve essere rigettato .Le spese processuali seguono la soccombenza.

Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data
di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, dpr n.
115/2002.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare
le spese di lite liquidate in Euro 2500,00 per compensi professionali, oltre
15% per spese generali e accessori di legge nonché Euro 200,00 per esborsi.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 dicembre 2020, n. 27548
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: