Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 dicembre 2020, n. 29012
Trasferimento ad altra filiale, Risarcimento dei danni da
lucro cessante, Demansionamento, Automatismo di carriera non dimostrato
Fatti di causa
1. Con sentenza del 29.1.2019, la Corte d’appello di
Napoli rigettava l’appello principale di R.S. con il quale il predetto
– sul rilievo dell’illegittimità dell’ulteriore
trasferimento disposto dal Banco di Napoli ad altra filiale della banca in
Giugliano, dopo la declaratoria di illegittimità del primo trasferimento dalla
filiale di Giugliano in Campania Ag 1 alla Filiale di Napoli Ag. 97, in via
Nuova Poggioreale, con mansioni di Small Business – aveva chiesto la condanna
del Banco di Napoli (dante causa dell’attuale controricorrente) alla immediata
reintegra nel ruolo di direttore della filiale di Giugliano in Campania Ag 1 o
in altro equivalente e la condanna della società al risarcimento dei danni da
lucro cessante diretti ed indiretti, dei danni morali e di una penale pari ad
almeno € 200,00 per ogni giorno di ritardo nell’attuazione del provvedimento
del Tribunale.
2. La sentenza di reintegra nelle mansioni
equivalenti a quelle di Direttore di filiale “piccola” nella piazza
di Giugliano era collegata a quella n. 15894/2012 (riformata in appello nel
senso del rigetto della domanda) di accertamento dell’illegittimità del
trasferimento per violazione dell’art. 33 I. 104/92 e dell’art. 2103 c.c. e, rispetto all’indicata decisione,
doveva essere considerata, secondo la Corte distrettuale, quale ottemperanza al
comando giudiziale anche in considerazione della contiguità temporale tra il
deposito della pronuncia e la data dell’avvenuto spostamento, non potendo il
dato dell’adibizione presso la filiale di Giugliano a mansioni di gestore Small
Business dimostrare di per sé solo che si fosse trattato di un trasferimento.
3. Ciò, d’altronde, emergeva dalla motivazione della
sentenza del Tribunale di Napoli n. 15894/2012, secondo cui l’illegittimità del
trasferimento era stata ritenuta conseguenza della violazione dell’art. 33 I. 104/92 e dell’art. 2103 c.c., pur non essendo stata esaminata,
in tale contesto, la questione di un eventuale demansionamento. Risolvendosi
nella valutazione della illegittimità dello spostamento in considerazione del
solo profilo spaziale, quest’ultimo doveva considerarsi integrare ottemperanza
a tale comando e non vero e proprio trasferimento.
4. La Corte distrettuale respingeva anche l’appello
incidentale della Banca, rilevando che le funzioni caratterizzanti la figura
professionale di direttore di filiale erano indicative di poteri e
responsabilità maggiori di quelle caratterizzanti la figura di “gestore
small business”, sicché doveva ritenersi integrato il demansionamento già
riconosciuto dal primo giudice, con le conseguenze in tema di riconoscimento
dell’indennità di direzione quale danno patrimoniale cagionato dall’illegittima
condotta del Banco. Veniva confermata la mancanza dei presupposti per
riconoscere gli ulteriori danni connessi all’automatismo di carriera, non
dimostrato, e veniva negato il riconoscimento dell’indennità di pendolarismo per
non tempestiva comunicazione alla società del cambio di residenza, nonché
dell’indennità di diaria, per genericità nella relativa indicazione.
5. Di tale decisione domanda la cassazione il R.,
affidando l’impugnazione a cinque motivi, cui resiste, con controricorso, la
s.p.a. I.S., che deposita memoria ai sensi dell’art.
378 c.p.c.
Il R. ha depositato memoria illustrativa contenente
istanza di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, il R. denunzia violazione e
falsa applicazione degli artt. 115 e 431 c.p.c., 12 delle
Preleggi e degli artt. 1175, 1375, 1460, 2103 e 2697 c.c.,
adducendo l’illegittimità della pronuncia impugnata nella parte in cui non ha
riconosciuto l’inottemperanza della società al comando giudiziale espresso
nella sentenza 15894/2012, sul rilievo che doveva essere esaminato il
dispositivo di tale pronunzia che ordinava la reintegra nelle mansioni precedenti
o in altre equivalenti, e sottolineando come, in ipotesi diversa, doveva
ritenersi che si fosse realizzato un trasferimento rispetto al quale dovevano
essere obiettivate le ragioni tecniche organizzative e produttive giustificanti
l’assegnazione del lavoratore ad unità produttiva diversa da quella originaria.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta
violazione e falsa applicazione degli artt. 12
Preleggi, 2103 c.c. e 33 I. 104/92, assumendo che
nel giudizio di gravame era stato impugnato espressamente il capo della
sentenza di primo grado in cui era affermato che non poteva considerarsi
trasferimento quello che avvenisse tra unità produttive situate nel medesimo
comune. Osserva che nel settore del credito si è in presenza di una nozione
convenzionale di unità produttiva secondo la quale ciascuna filiale è da
considerare entità autonoma e si fa riferimento a norme del c.c.n.I. (artt. 18 e 82) che avallerebbero la
configurabilità di un trasferimento.
2.1. Insiste, poi, nel sottolineare che
l’inottemperanza al comando del giudice avrebbe dovuto condurre a ritenere non
dimostrata da parte del datore di lavoro, su cui incombeva il relativo onere,
la sussistenza delle ragioni giustificative del trasferimento.
3. Con il terzo motivo, il R. si duole della
violazione e falsa applicazione degli artt. 12
delle Preleggi, 115 e 116 c.p.c., 1226, 2087, 2697, 2729 c. c., evidenziando l’erroneità della
sentenza nella parte in cui non ha riconosciuto i danni patrimoniali e non
patrimoniali qualificati come danni alla professionalità e perdita di chance.
Assume che i criteri di calcolo offerti al giudice
del merito integravano una valida base per una valutazione equitativa e che
anche il premio di produttività era stato immotivatamente ed in modo
discriminatorio escluso.
4. Con il quarto motivo, il ricorrente ascrive alla
sentenza impugnata violazione e falsa applicazione degli artt. 12 delle Preleggi, 115 e 116 c.p.c., 2103, 2697 c.c.,
dell’art. 82 c.c.n.I.
quanto al mancato riconoscimento delle indennità previste per diaria e
pendolarismo, ugualmente richieste.
5. Con il quinto motivo, è dedotto omesso esame
circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti,
per avere asseritamente la sentenza omesso di considerare il fatto che il
dipendente avesse autocertificato la propria residenza.
6. Con riguardo alla censura formulata nel primo
motivo, a prescindere dal rilievo che il comando giudiziale di cui è causa è
seguito al contestato mutamento spaziale della sede originariamente assegnata
al R. e che la contestuale disposta variazione delle mansioni è stata
adeguatamente valutata dalla Corte distrettuale quale integrante il dedotto
demansionamento, è sufficiente osservare che non poteva il giudice del gravame
prescindere dall’operare una valutazione di compatibilità del dispositivo
rispetto alle motivazioni, in coerenza con un’ impostazione del giudizio
riferita alla violazione della legge 104/92.
6.1. Il riferimento alla motivazione della sentenza
è necessario proprio per chiarire i termini del comando giudiziale e non vi è
contrasto tra dispositivo e motivazione quando la motivazione sia coerente con
il dispositivo limitandosi a ridurne o ad ampliarne il contenuto senza tuttavia
inficiarne il contenuto decisorio, e se ne possa escludere, peraltro, qualsiasi
ripensamento sopravvenuto, essendo la motivazione saldamente ancorata ad
elementi acquisiti al processo (cfr. Cass. 16.11.2018 n. 29639, cui fa seguito Cass. 22.8.2019 n. 21618, e, tra le altre,
precedentemente, Cass. 21.11.2014 n. 24841, Cass. 10305/2011, Cass. 18202/2008).
Il contrasto è, dunque, solo apparente, potendo essere agevolmente risolto
attraverso l’interpretazione del dispositivo ed alla luce del contesto
motivazionale.
7. In ordine al secondo motivo, deve rilevarsi che
non si indica dove eventualmente risulta depositato il c.c.n.I. di riferimento,
né si forniscono elementi utili alla reperibilità dello stesso nei fascicoli di
parte delle fasi di merito e, prima ancora, ed in maniera dirimente, a fronte
della mancanza di ogni accenno in sentenza alla specifica questione, non si
riportano i termini dell’impugnativa proposta in sede di gravame in ordine alla
nozione di unità produttiva, contravvenendosi in tal modo all’onere di
specificità dei motivi di ricorso.
7.1. La sentenza ha argomentato sull’avvenuto spostamento
nell’ambito dello stesso Comune e sulla rilevanza attribuita nella precedente
sentenza al mero spostamento spaziale, a prescindere da ogni considerazione
sulla posizione inquadramentale, essendo stata dedotta solo la sussistenza di
un demansionamento, ritenuto realizzatosi nella specie, come chiarito nella
motivazione della Corte distrettuale, confermativa sul punto delle osservazioni
già svolte dal primo giudice.
7.2. Tali osservazioni precludono ogni esame,
nell’ambito di quanto costituisce lo specifico devolutum nel presente giudizio,
dello stretto profilo di diritto sulla portata della norma di cui all’art. 33 I. 104/92 in
relazione alla corrispondenza o meno della nozione di unità produttiva a quella
di cui all’art. 2103 c.c.
8. Quanto al premio di produttività di cui si tratta
nel terzo motivo, non si specifica dove e come lo stesso sia stato
specificamente richiesto e, per l’ipotesi di ritenuta mancata valutazione dei
presupposti per il suo riconoscimento da parte del primo giudice, in quali
termini sia stata reiterata la richiesta in seconde cure.
8.1. In ordine agli ulteriori profili di censura, è
sufficiente richiamare l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte,
secondo cui deve escludersi che ogni modificazione delle mansioni in senso
riduttivo comporti una automatica perdita di chance ovvero di ulteriori
potenzialità occupazionali o di ulteriori possibilità di guadagno, a ciò
conseguendo che grava sul lavoratore l’onere di fornire la prova, anche
attraverso presunzioni, dell’ulteriore danno risarcibile, mentre resta affidato
al giudice del merito – le cui valutazioni, se sorrette da congrua motivazione,
sono incensurabili in sede di legittimità – il compito di verificare di volta
in volta se, in concreto, il suddetto danno sussista, individuandone la specie
e determinandone l’ammontare, eventualmente con liquidazione in via equitativa
(cfr. Cass. 8.11.2003 n. 16792). Ed invero, la
perdita di una “chance”, configura un danno attuale e risarcibile
sempre che ne sia provata la sussistenza anche secondo un calcolo di
probabilità o per presunzioni ed alla mancanza di una tale prova non è
possibile sopperire con una valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., atteso che l’applicazione di
tale norma richiede che risulti provata o comunque incontestata l’esistenza di
un danno risarcibile ed è diretta a fare fronte all’impossibilità di provare
l’ammontare preciso del danno (cfr. Cass. 21.6.2000 n. 8468, Cass. 11.7.2007 n.
15585; Cass. 20.6.2008 n. 15585).
8.2. La Corte distrettuale ha motivato in conformità
a tali principi, ribaditi anche in pronunce successive, laddove ha evidenziato
che tale danno presupporrebbe un automatismo della carriera e quindi di
raggiungimento del massimo livello, che non sussisteva nella specie,
considerata l’assoluta discrezionalità degli avanzamenti di carriera nel
settore oggetto di giudizio e, rispetto a tale affermazione, la censura pecca
di genericità.
8.3. Né si pone, per il resto, un’autonoma questione
di malgoverno degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., atteso che la stessa può
porsi solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito: – abbia
posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte
d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla
legge;
– abbia fatto ricorso alla propria scienza privata
ovvero ritenuto necessitanti di prova fatti dati per pacifici; – abbia
disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove
legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza
apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a
valutazione. E poiché, in realtà, nessuna di tali situazioni è rappresentata
nel motivo anzidetto, la relativa doglianza è mal posta in quanto la violazione
delle norme denunciate è tratta, in maniera incongrua e apodittica, dal mero
confronto con le conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito. Di tal che
la stessa – ad onta dei richiami normativi in essi contenuti – si risolve nel
sollecitare una generale rivisitazione del materiale di causa e nel chiederne
un nuovo apprezzamento nel merito, operazione non consentita in sede di
legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione (cfr., ex
aliis, Cass. 27000/2016).
9. Il quarto motivo sconta profili
d’inammissibilità, in quanto in primo luogo valgono le considerazioni in ordine
alla mancata indicazione dei dati di reperimento del ccnl invocato e poi si
fornisce un’interpretazione meramente contrappositiva rispetto a quella
effettuata dalla Corte del merito e nella sostanza la censura non si confronta
con il contenuto della decisione, basata su un’assunta genericità degli
elementi idonei a fondare il riconoscimento della diaria, omettendo di
precisare dove le eventuali ritenute indispensabili precisazioni fossero state
fornite nelle fasi di merito.
9.1. Anche per l’indennità di pendolarismo la
censura non si confronta con il contenuto della decisione della Corte d’appello
che, peraltro, per il periodo successivo al 12.7.2012, esclude il
trasferimento, in relazione alla natura del provvedimento di ottemperanza alla
sentenza del Tribunale 15894/12, per il resto confermando quanto affermato dal
giudice di primo grado sulla inammissibilità della documentazione fiscale
depositata tardivamente.
9.2. Le affermazioni del ricorrente circa l’avvenuto
riferimento già in primo grado al modulo relativo alla autodichiarazione
sostitutiva di ogni altro adempimento ed al richiamo alla relativa normativa
non sono corredate da adeguata trascrizione del ricorso sia di primo grado che
di secondo grado, idonea ad avallare l’assunto.
10. Infine, in ordine all’ultimo motivo, non risulta
riprodotto il contenuto del documento di cui si assume il mancato esame e,
comunque, non si confuta idoneamente l’affermazione che l’indennità era dovuta
solo in caso di mutamento di residenza che fosse conseguenza di trasferimento
disposto dell’azienda e non invece quando esso dipendesse dal cambio di
residenza del lavoratore, essendo peraltro dirimente la esclusione della
configurabilità quale trasferimento dello spostamento conseguente alla
necessità di ottemperare alla sentenza del tribunale di Napoli 15894/2012.
11. Non trovano spazio le deduzioni svolte in
memoria dal ricorrente, che mirano ad ottenere ai sensi dell’art. 267 TFUE la rimessione
alla CGUE di pregiudiziale comunitaria in relazione a questioni che in parte
riguardano il ricorso proposto avverso il primo provvedimento di trasferimento
da Giugliano a Napoli Poggioreale, oggetto di distinto giudizio, e per altro
verso attengono a profili quali le convinzioni personali tra cui quelle
espressione delle libertà sindacali, che risultano estranei all’ambito del
presente procedimento, non essendo stato mai prospettato un trasferimento di
rappresentante sindacale senza consenso dell’O.S di appartenenza, quale invece
per la prima volta è adombrato nella memoria.
11.1. Non è sufficiente, invero, che una parte
sostenga che la controversia verte su una questione d’interpretazione del
diritto UE perché l’organo giurisdizionale interessato – anche se di ultima
istanza – sia tenuto a considerare che sussiste una questione da sollevare ai
sensi dell’art. 267 TFUE
(Corte giust., 10 gennaio 2006, causa C-344/04, IATA e ELFAA, punto 28; 1 marzo
2012, causa C484/10, Ascafor e Asidac, punto 33; ord. 18 aprile 13, causa C-
368/12, Adiamix, punto 17; ord. 14 novembre 2013, causa C-257/13, Mlamali,
punto 23).
11.2. Come chiarito dalla stessa consolidata
giurisprudenza della Corte di giustizia UE (a partire dalla sentenza 6 ottobre
1982, causa C-283/81, 5 Cilfit), il giudice di ultima istanza, in presenza di
una questione interpretativa del diritto della UE, deve adempiere l’obbligo del
rinvio, soltanto dopo aver constatato “alternativamente” che:
1) la suddetta questione esegetica è rilevante ai
fini della decisione del caso concreto;
2) la disposizione di diritto UE di cui è causa non
ha già costituito oggetto di interpretazione da parte della CGUE;
3) la soluzione della questione non è ricavabile
“da una costante giurisprudenza della Corte che, indipendentemente, dalla
natura dei procedimenti da cui sia stata prodotta, risolva il punto di diritto
litigioso, anche in mancanza di stretta identità fra le materie del
contendere”;
4) la corretta applicazione del diritto europeo non
è tale da imporsi “con tale evidenza da non lasciar adito ad alcun
ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata”, con
l’avvertenza che la configurabilità di tale ultima eventualità deve essere
valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione,
delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta e del rischio
di divergenze di giurisprudenza (vedi Corte giust., 17 maggio de 2001, causa
C340/99, TNT Traco, punto 35; 30 settembre 2003, causa C224/01, Kiibler, punto
118; 4 giugno 2002, causa C-99/00, Kenny Roland Lyckeskog).
11.3. Non ricorre nella specie alcuna questione
interpretativa che imponga le valutazioni alternative previste e le
osservazioni del ricorrente si rivelano apodittiche e prive di riferibilità
alle questioni oggetto di causa.
12. Alla stregua di quanto osservato, il ricorso va
complessivamente respinto.
13. Le spese del presente giudizio seguono la
soccombenza del ricorrente e sono liquidate nella misura indicata in
dispositivo.
14. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d. P.R. 115
del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro
200,00 per esborsi, euro 5250,00 per compensi professionali, oltre accessori
come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13,
comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma 1 bis, del citato D.P.R.,
ove dovuto.