Il datore può verificare che gli strumenti assegnati non siano usati per ledere l’immagine aziendale.
Nota a Cass. 16 novembre 2020, n. 25977
Fabrizio Girolami
I controlli “difensivi” sul lavoro diretti ad accertare la sussistenza di comportamenti illeciti e lesivi dell’immagine aziendale e costituenti, astrattamente, reato, sono legittimi (e sottratti all’applicazione delle garanzie procedurali previste dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori).
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25977 del 16 novembre 2020, in relazione a un licenziamento per giusta causa intimato, nel 2015, da una società di servizi informatici bancari nei confronti di un dipendente (con qualifica impiegatizia e mansioni di programmatore junior) che aveva pronunciato epiteti ingiuriosi e commesso molestie sessuali a una collega d’ufficio nonché aveva effettuato un accesso non autorizzato sul conto corrente del marito di quest’ultima, comunicandole il relativo saldo (utilizzando, pertanto, in modo indebito gli strumenti che erano stati messi a sua disposizione per fini esclusivamente professionali).
La società – a seguito di un controllo difensivo disposto ex post (ossia dopo l’attuazione del comportamento in addebito) e, come tale, svincolato da ogni finalità di sorveglianza sull’esecuzione della prestazione lavorativa – aveva raccolto indizi di prova in merito alla commissione, da parte del dipendente, di un illecito penale sanzionato dal D.LGS. n. 196/2003, c.d. “Codice della privacy” (ossia l’indebito accesso a un conto corrente di un terzo e la comunicazione del relativo saldo a persona estranea al conto medesimo). Ravvisati gli estremi di una condotta, potenzialmente censurabile sotto il profilo penale, il datore aveva licenziato in tronco il dipendente per grave lesione del rapporto fiduciario.
Nel giudizio di merito, la Corte di Appello di Bologna, in sede di reclamo e in riforma della sentenza del Tribunale, con sentenza n. 690/2018, aveva accertato la legittimità del licenziamento per giusta causa in quanto proporzionato, ex art. 2106 c.c., alla gravità dei fatti contestati.
Con specifico riferimento ai controlli difensivi datoriali, la Corte territoriale ne aveva affermato la piena legittimità in quanto l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (nel testo risultante all’epoca dei fatti di causa) consente al datore di lavoro di “verificare se i propri dipendenti utilizzino indebitamente gli strumenti messi a loro disposizione per fini esclusivamente professionali”.
Nel giudizio di legittimità incardinato dal dipendente, la Cassazione ha confermato la correttezza, sotto il profilo giuridico, della decisione di secondo grado, affermando quanto segue:
– i fatti addebitati al lavoratore configurano “un inadempimento ai suoi obblighi contrattuali” così elevato da impedire la prosecuzione del rapporto, non potendo “il datore di lavoro continuare a riporre fiducia in un dipendente” che ha “tenuto condotte così gravi ed offensive nei confronti di una collega di lavoro”;
– le verifiche informatiche operate ex post dal datore di lavoro sugli strumenti messi a disposizione del prestatore sono legittime e non violano l’art. 4, co. 2, Stat. Lav., rientrando nella categoria dei controlli difensivi che esulano dall’ambito applicativo della norma stessa (trattandosi di verifiche “dirette ad accertare comportamenti illeciti e lesivi dell’immagine aziendale e costituenti, astrattamente, reato”);
– nel caso di specie, si è trattato, inoltre, di controlli disposti ex post, ossia “dopo l’attuazione del comportamento in addebito, così da prescindere dalla mera sorveglianza sull’esecuzione della prestazione lavorativa”. Pertanto, “non può ritenersi in alcun modo compromessa la dignità e la riservatezza dei lavoratori, atteso che non corrisponde ad alcun criterio logico-sistematico garantire al lavoratore, in presenza di condotte illecite sanzionabili penalmente o con sanzione espulsiva, una tutela maggiore di quella riconosciuta a terzi estranei all’impresa”;
– il comportamento del datore rientra nella nozione di controllo difensivo, anche nella disciplina antecedente a quella introdotta dall’art. 5, co. 2, del D.LGS. n. 185/2016 (“disposizioni integrative e correttive del D.LGS. n. 151/2015”, che ha modificato l’art. 4, co. 1, Stat. Lav.), in quanto è “diretto ad accertare un illecito lesivo dell’immagine aziendale, effettuato ex post rispetto alla commissione dell’illecito” e, in ogni caso, era previsto da “un accordo sindacale del 29 settembre 2014, volto a disciplinare le modalità di svolgimento dei controlli ex art. 4 St. lav., in cui era prevista la utilizzazione da parte della società delle informazioni estratte nell’ipotesi di sussistenza di indizi di reati”.
Alla luce delle suesposte considerazioni, la Cassazione ha rigettato il ricorso del dipendente, condannandolo altresì al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.