Il requisito anagrafico del lavoratore concorre a determinare i casi in cui è possibile ricorrere al lavoro intermittente. In caso di violazione dei limiti di età il contratto è affetto da nullità che può essere rilevata anche d’ufficio.
Nota a Cass. ord. 11 dicembre 2020, n. 28345
Valerio Di Bello e Gennaro Ilias Vigliotti
La violazione del requisito anagrafico nella stipulazione di un contratto di lavoro intermittente o a chiamata determina la nullità del contratto, rilevabile anche d’ufficio.
Questa la precisazione della Corte di Cassazione (ord. 11 dicembre 2020, n. 28345, conforme ad App. Milano n. 1131/2017) che, con riferimento ad una struttura alberghiera, aveva dichiarato nullo il contratto a chiamata, poiché il dipendente non rientrava nella fascia di età prevista dalla legge, nonché la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e full time, con condanna della società al risarcimento del danno (ex art. 32, co. 5, L. n. 183/2010) nella misura di 4 mensilità della retribuzione globale di fatto.
La Corte precisa che l’art. 34 del D.LGS. n. 276 del 2003, nella versione modificata dalla legge n. 92 del 2012 e vigente ratione temporis, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale (nell’intento di favorire l’accesso dei giovani al mercato del lavoro, ai sensi dell’art. 6, par. 1, della Direttiva 2000/78, prevedeva che il contratto di lavoro intermittente poteva essere concluso con soggetti con più di 55 anni di età e con soggetti con meno di 25 anni di età, fermo restando in tale caso che le prestazioni contrattuali dovevano essere svolte entro il 25° anno di età. Tale disposizione è stata ritenuta conforme all’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea nonché all’art. 2, par. 1 e par. 2, lett. a) e all’art. 6, par. 1, Direttiva 2000/78/CE, che regolano la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, perché, “perseguendo una finalità legittima di politica del lavoro e del mercato del lavoro, non determina una discriminazione in ragione dell’età” (v. CGUE 19 luglio 2017, C-143/2016; e Cass n. 4223/2018, annotata in questo sito da M. SORRENTINO e A. TAGLIAMONTE, Contratto intermittente e limiti di età).
Anche il regime vigente (art. 13, co 2, D.LGS. n. 81/2015) prevede limiti di età, seppur parzialmente differenti. Il contratto di lavoro intermittente può infatti “in ogni caso essere concluso con soggetti con meno di 24 anni di età, purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il 25° anno, e con più di 55 anni”.
Come si vede, il requisito anagrafico concorre, unitamente agli altri di natura oggettiva, ad individuare il campo di applicazione della disciplina del lavoro intermittente, costituendo un presupposto per la stipulazione del contratto. Più specificamente, esso è un requisito di liceità del contratto di tipo soggettivo che si accompagna a quelli di tipo oggettivo riguardanti il carattere discontinuo o intermittente della prestazione lavorativa ovvero allo svolgimento dell’attività in predeterminati periodi nell’arco della settimana, del mese o dell’anno.
“La mancanza di tale requisito, stante la sua rilevanza in relazione alla struttura del contratto e agli interessi pubblici sottesi, come sopra evidenziati, determina la nullità del negozio per contrasto con norme imperative di legge, ai sensi dell’art. 1418 co. 1, cod. civ. (cd. nullità virtuale) e, dall’altro, la possibilità di una conversione ex art. 1424 cod. civ. ove il negozio sia idoneo a produrre gli effetti di un’altra fattispecie e previo accertamento, riservato in via esclusiva al giudice di merito, della volontà delle parti”.