Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 dicembre 2020, n. 28814

Contratti a tempo determinato, Illegittimità del termine,
Prescrizione decennale, Necessità di sopperire alle esigenze del servizio,
Ferie del personale addetto all’esazione dei pedaggi, Numero dei lavoratori da
sostituire, non identificati nominativamente, Funzioni produttive
occasionalmente scoperte

 

Rilevato che

 

Con sentenza n. 2729/09 il Tribunale di Nola
rigettava la domanda proposta dalla D.M. nei confronti di A.I. s.p.a. avente ad
oggetto l’accertamento della illegittimità del termine apposto ai contratti a
tempo determinato succedutisi tra le parti dal 4.5.92 e di sentir dichiarare la
sussistenza tra le stesse di un rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato con decorrenza dalla data indicata, con ogni conseguenza in
ordine al risarcimento dei danni.

Il primo giudice disattendeva l’eccezione di
prescrizione decennale, quindi rilevava che l’esame dei contratti stipulati tra
le parti consentiva di ravvisare, per quelli stipulati prima dell’entrata in
vigore del d.lgs. n. 368/01, tipologie
contrattuali a termine legittimamente utilizzabili: a) necessità di sopperire
alle esigenze del servizio di esazione pedaggi ex art. 8 bis della L. n. 79/83
e del c.c.n.l. (art. 2, co.
3) autorizzato dalla l. 56/87; b) dalla
necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie del
personale addetto all’esazione dei pedaggi; riteneva infine che era stata
adeguatamente provata la sussistenza delle autorizzazioni dell’Ispettorato del
Lavoro ex art. 8 bis L. n.
79/83.

Avverso tale sentenza proponeva appello la
lavoratrice; resistevano le società.

Con sentenza depositata il 10.1.17, la Corte
d’appello di Napoli rigettava il gravame.

Per la cassazione di quest’ultima propone ricorso la
D.M., affidato a cinque motivi, cui resistono le società con distinti
controricorsi.

 

Considerato che

 

1- Con il primo motivo la ricorrente denuncia la
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362
e segg. e 1421 c.c.; 414,
434, 99 e 112 c.p.c.; della L.
n. 230/61; dell’art. 23 L. n.
56/87; dell’art. 2 del c.c.n.l. di categoria; del d.lgs. n. 638/01, dell’art. 4 del d.lgs n. 626/94.

La ricorrente si limita sostanzialmente a riportare
le censure da essa mosse alla sentenza di primo grado ed a riportare le
motivazioni assunte dalla Corte partenopea al riguardo senza chiarire per quale
ragione di diritto esse sarebbero erronee, salvo insistere sulla necessità che
i contratti di lavoro a termine de quibus indicassero il nome del lavoratore
sostituito e rispettassero anche le disposizioni di cui alla L. n .230/62.

Il motivo è dunque in larga parte inammissibile,
mentre con riferimento alle due ultime questioni si osserva che i primi
contratti a termine sono stati considerati legittimi in base alla normativa di
settore (art. 8 bis della
L. n. 79/83), di cui al motivo che segue, e che secondo la consolidata
giurisprudenza di questa Corte i contratti a termine stipulati in base ai
c.c.n.l. cd. ‘autorizzati’ ex art.
23 L. n. 56/87 (cfr. per tutte Cass. sez.un. n.
2 marzo 2006 n. 4588) non sono vincolati dalle ipotesi di assunzione di cui
alla L. n. 230/62; inoltre che nella situazioni
aziendali complesse non è necessario indicare il nome del lavoratore sostituito
quanto piuttosto la funzione produttiva scoperta, sicché l’apposizione del
termine deve considerarsi legittima se l’enunciazione dell’esigenza di
sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di
specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’indicazione di
elementi ulteriori (quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della
prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il loro
diritto alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare
il numero dei lavoratori da sostituire, ancorché non identificati
nominativamente, ferma restando, in ogni caso, la verificabilità della
sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità (cfr., in
particolare, Cass. 26 gennaio 2010 n. 1577 e Cass. 26 gennaio 2010 n. 1576, Cass. 25 settembre
2014 n. 20227).

L’art.4
d.lgs n.626/94, infine, risulta solo citato ma non accompagnato da alcuna
specifica censura alla sentenza impugnata.

2-Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la
violazione dell’art. 8 bis
della L. n. 79/83, della L. n. 230/62,
degli artt. 115, 116,
253 e 416 c.p.c.;
2702, 2735 e 2697 c.c.

Anche tale motivo, composto essenzialmente dalla
ripetizione delle censure mosse dalla D.M. alla sentenza di primo grado e delle
risposte fornite dalla Corte d’appello, non chiarisce adeguatamente le
doglianze mosse ora dalla ricorrente alla sentenza impugnata e dunque non si
sottrae ad un giudizio di inammissibilità.

Di contenuto più specifico solo un accenno alla
circostanza che la ricorrente sarebbe stata assunta non per le maggiori
esigenze dell’esazione dei pedaggi, smentendo però l’assunto sulla base della
considerazione che essa era addetta alla vendita dei contratti telepass e
simula, esigenze già ritenute dal giudice di merito connesse, in base alle
prove assunte, alle maggiori esigenze di cui sopra.

Parimenti infondata risulta la doglianza inerente il
superamento delle quote percentuali di assunti a termine di cui ai c.c.n.I
stipulati ex art. 23 L. n. 56/87,
avendo la stessa ricorrente rilevato che, in base ad essi, non poteva essere
superato, per il personale impiegatizio, la percentuale del 5% e che tale
circostanza non poteva essere provata dalla società mediante la produzione di
propri tabulati, ammettendo tuttavia che tali tabulati erano stati confermati dai
testi escussi, limitandosi in questa sede a contestare inammissibilmente, ex
novellato n. 5 dell’art. 360, co.1, c.p.c.,
l’apprezzamento della Corte di merito in ordine alla prova orale.

3- Con terzo motivo la lavoratrice denuncia la
violazione degli artt. 1362 e segg. c.c., 414, 434, 99, 112, 115, 116, 316 e 253 c.pc.,
oltre che della L. n. 230/62, dell’art. 23 I. n. 56/87 e degli
artt. 2 dei c.c.n.l. di categoria succedutisi dal 1990 al 1995.

Anche tale motivo non sfugge, per la maggior parte,
ad un giudizio di inammissibilità per le ragioni sopra e più volte esposte.

L’unica censura specifica riguarda la causale
assuntiva (“necessità del servizio in concomitanza delle assenze per ferie
del restante personale”), su cui tuttavia questa Corte si è espressa in
senso sfavorevole ai lavoratori numerose volte (ex plurímis, Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678; Cass. 10 gennaio 2006 n.167; Cass. 20 gennaio 2006
n.1074; Cass. 25 gennaio 2006 n.1381; Cass. 7 marzo 2008 n. 6204; Cass. 12 luglio 2010 n. 16302; Cass. 24 febbraio
2011 n. 4513), rilevando che l’unico presupposto per l’operatività della
particolare autorizzazione conferita allo scopo ai contratti collettivi è la
stipulazione del contratto a termine nel periodo giugno-settembre in cui, di
norma, i dipendenti fruiscono di ferie.

Ovviamente sono poi inammissibili le censure mosse
in ordine ad una diversa ricostruzione delle testimonianze escusse.

4- Con quarto motivo la ricorrente denuncia la
violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e
segg. c.c., 253, 414,
434, 99, 112 c.p.c., oltre che del d.lgs n. 3681 e degli artt. 2 dei c.c.n.l. di
categoria succedutisi dal 1990 al 1995.

Anche tale censura, criticando peraltro quanto
osservato da questa Corte plurime volte in tema di onere di specificità nelle
situazioni aziendali complesse (cfr. Cass. 26
gennaio 2010 n. 1577 e Cass. 26 gennaio 2010
n. 1576, Cass. 25 settembre 2014 n. 20227), si limita a riportare le
censure contenute nell’atto di appello e la soluzione adottata dalla Corte
partenopea senza muovervi specifiche critiche, insistendo infine sul mancato
rispetto delle quote assuntive percentuali e in ordine alle assunzioni per la
causale connessa al godimento delle ferie del restante personale, di cui si è sopra
detto.

5. Con quinto motivo la ricorrente denuncia la
violazione degli artt. 115, 116, 99 e 112 c.p.c., della L.
n. 230/62, del d.lgs n. 38/01 e del d.lgs n.
626/94.

La censura si limita ancora a riportare alcuni passi
dell’atto di appello, concludendo semplicemente con l’osservazione che la Corte
di merito non aveva fornito una risposta adeguata alle censure, rimarcando in
particolare l’erroneo riferimento alla giurisprudenza di legittimità sulle
funzioni produttive occasionalmente scoperte (di cui si è detto al punto 4);
sulla necessità di indicare il nome del lavoratore assente nei contratti a
termine per ragioni sostitutive, e l’illegittimità delle assunzioni per la
causale connessa al godimento delle ferie del restante personale, di cui si è
già detto e di cui al consolidato contrario orientamento di legittimità.
Nessuna altra specifica censura è mossa alla sentenza impugnata.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si
liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in
€.200,00 per esborsi, €.4.500,00 per compensi professionali, oltre spese
generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.
115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12
n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1 bis dello stesso art.13, se
dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 dicembre 2020, n. 28814
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: