La sospensione cautelare di un rappresentante sindacale disposta da un noto istituto sanitario e residenza per anziani, nei confronti di un sindacalista particolarmente impegnato nella segnalazione e denuncia delle condizioni di gestione dell’emergenza pandemica, è antisindacale.

Nota a Trib. Milano 9 dicembre 2020, n. 9637

Maria Novella Bettini

La sospensione cautelare disposta nei confronti di un sindacalista particolarmente impegnato nel segnalare profili critici di gestione dell’emergenza pandemica, con modalità scorrette, ritorsive ed intimidatorie nei confronti degli altri lavoratori che intendessero mettere in discussione l’operato della dirigenza, configura una condotta antisindacale sanzionabile con l’art. 28 Stat. Lav. (v. Legenda, in fine nota).

Lo afferma il Tribunale di Milano (9 dicembre 2020, n. 9637), in relazione al ricorso di un sindacato avverso la sospensione cautelare dal servizio disposta nei confronti di un dirigente di RSU, coordinatore dell’OOSS presso l’azienda e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, sul presupposto che la misura adottata dall’azienda aveva valenza antisindacale, mirando ad intimidire il sindacalista nello svolgimento della sua attività.

Il Tribunale ha puntualmente esaminato ed illustrato il quadro normativo e fattuale della fattispecie sottoposta al suo giudizio, specificando anzitutto le differenze fra sospensione cautelare e sanzione disciplinare anche alla luce dell’art. 67 (v. Legenda in fine nota) del vigente ccnl del Comparto Sanità pubblica (21 maggio 2018) e del Regolamento interno (v. Legenda, in fine nota).

Nello specifico, il giudice chiarisce che la sospensione cautelare esprime un potere di autotutela dell’imprenditore ed è una misura temporanea a carattere discrezionale, la quale trova il proprio fondamento giuridico negli artt. 1206 c.c. (rifiuto della prestazione in presenza di un motivo legittimo) e 2104 c.c. (potere direttivo del datore di lavoro).

L’istituto non è un provvedimento disciplinare ma uno strumento a disposizione del datore di lavoro tramite il quale, in alcune situazioni di particolare rilevanza o gravità, egli può esperire indagini sui fatti contestati al dipendente, escludendolo dalla struttura aziendale ma garantendogli la corresponsione della retribuzione. La durata della misura in questione è circoscritta al tempo occorrente per lo svolgimento degli accertamenti e la sua efficacia si risolve con l’esaurimento degli stessi: infatti se il lavoratore, all’esito di un parallelo o successivo procedimento disciplinare, non viene licenziato il rapporto riprende il suo corso dal momento in cui è stato sospeso (mentre se egli lascia il servizio, la perdita del posto ed i diritti connessi risalgono alla data della sospensione).

In particolare, non costituendo esercizio del potere disciplinare, la sospensione non
costituisce esercizio del potere disciplinare stesso e, quindi, non è sottoposta alle procedure tipiche previste dall’art. 7 Stat. Lav. (v. Cass. n. 1104/1981).

Si tratta, invece, di un provvedimento cautelare e interinale, caratterizzato da provvisorietà e suscettibile di revisione, il quale esprime il potere direttivo ed organizzativo del datore di lavoro “in pendenza dell’accertamento di possibili responsabilità disciplinari o penali del dipendente, per il tempo necessario all’esaurimento del procedimento stesso, destinato ad essere superato dalla conclusione della procedure e non priva il lavoratore della retribuzione a meno che ciò non sia espressamente previsto dalla legge o dal contratto”.

Quanto alle modalità del procedimento di sospensione cautelare, il Tribunale sottolinea che l’istituto “implica una valutazione discrezionale della Amministrazione che deve tener conto, non solo della gravità dei fatti per i quali si procede in sede penale e/o disciplinare, ma anche dell’opportunità di affrontare l’alea insita nella misura cautelare, posto che quest’ultima potrebbe rivelarsi non giustificata all’esito del procedimento disciplinare”.

La valutazione del datore di lavoro non coincide, quindi, con quella che si esprime al momento dell’irrogazione della sanzione, poiché, da un lato, essa persegue una diversa finalità rispetto al provvedimento disciplinare e, dall’altro, interviene nel corso del processo penale o disciplinare, vale a dire “in un momento anticipato rispetto all’accertamento della condotta nei suoi profili oggettivi e soggettivi” (v. Cass. n. 15640/2018).

Nel procedimento cautelare, relativamente ai presupposti ed alle caratteristiche del provvedimento, assume rilevanza decisiva il contratto collettivo del Comparto Sanità (art. 67), nonché il Regolamento disciplinare personale area di comparto e area dirigenziale (per entrambi, v. Legenda), dalla lettura dei quali emerge come la sospensione facoltativa (al di fuori della ipotesi della pendenza di un procedimento penale):

–  può essere disposta discrezionalmente dal datore di lavoro qualora sia necessario espletare accertamenti su fatti addebitati al dipendente a titolo di infrazione disciplinare;

– “assume una caratterizzazione squisitamente probatoria”;

– è un provvedimento cautelare e interinale, caratterizzato da provvisorietà e suscettibile di revisione;

– è una misura non disciplinare “interinale, ontologicamente correlata alla necessità di svolgere in tempi rapidi gli accertamenti necessari per verificare la fondatezza degli addebiti”;

– può essere attuata unitamente alla contestazione disciplinare;

– stante la sua natura discrezionale, è priva delle garanzie tipiche del procedimento disciplinare (il datore di lavoro, infatti, non ha l’obbligo di assicurare il diritto di difesa al lavoratore come nella ipotesi della sanzione disciplinare);

– sembra “necessario”, a salvaguardia del diritto di difesa dell’interessato, che il provvedimento sospensivo, in quanto incide pesantemente sulla sfera giuridica del lavoratore, “contenga, sia pure in modo sintetico, una motivazione puntuale, al fine di dare la possibilità all’interessato di esercitare eventualmente in modo appropriato il diritto di difesa”.

Nel caso esaminato, il Tribunale ha rilevato che la motivazione dell’Amministrazione era apparente e generica e che il presupposto giustificativo del provvedimento sospensivo mancava e che non si verteva nelle ipotesi classiche solitamente invocate per motivare la sospensione cautelare, come, ad es., condotte clandestine, ricerca di frodi e situazioni in cui la presenza del dipendente in azienda possa frapporre seri ostacoli all’accertamento dei fatti. La sospensione, inoltre, è stata disposta al di fuori delle prescrizioni imposte dal contratto collettivo applicato e non è stata seguita in concreto da alcun atto istruttorio idoneo a verificare la fondatezza o meno degli addebiti contestati; elementi questi ultimi sintomatici di un comportamento “finalizzato unicamente a limitare l’operato di un sindacalista particolarmente attivo”.

La mancanza del presupposto giustificativo insieme alla stretta correlazione fra i rilievi manifestati dal sindacalista e l’attivazione delle segnalazioni disciplinari (succedutesi in stretta contiguità temporale con i rilievi del sindacalista), nonché la coincidenza temporale fra un articolo di critica all’Amministrazione (circa la gestione organizzativa) pubblicato su un quotidiano e l’avvio della procedura disciplinare (senza alcuna notificazione preventiva al sindacalista e contenente contestazioni parziali e contraddittorie) insieme all’adozione della sospensione cautelare (qualche ora dopo la pubblicazione dell’articolo sul quotidiano), integrano gli estremi della condotta antisindacale.

Inoltre, precisa il giudice: 1) “non è concepibile una attività sindacale disancorata da una presenza quotidiana del sindacalista nei locali aziendali soprattutto nell’ambito di un settore come quello della assistenza degli anziani in cui operava la convenuta. La sospensione del lavoratore sindacalista comporta la impossibilità per il lavoratore di svolgere l’attività sindacale peraltro in un delicato momento storico durante il quale appare quanto mai opportuno non limitare l’operato di coloro che avanzano proposte e formulano critiche”; 2) ed appare evidente il “carattere ritorsivo della sospensione nei confronti di un sindacalista particolarmente impegnato, provvedimento che spiega una oggettiva efficacia intimidatoria nei confronti di tutti quei lavoratori che hanno intenzione di mettere in discussione l’operato del datore di lavoro e della dirigenza, di segnalare o chiedere chiarimenti su profili critici dell’ organizzazione, con particolare riferimento ai settori della sicurezza e della salute del lavoro, nonché di esprimere opinioni in un contesto pubblico che appartiene al libero esercizio dell’attività sindacale purché avvenga nel rispetto dei principi di continenza e appropriatezza”.
Alla luce di queste considerazioni, la sospensione cautelare disposta nei confronti del sindacalista è stata considerata antisindacale ed il giudice ha ordinato all’Amministrazione di revocare immediatamente la sospensione cautelare, disporre il ripristino immediato del rapporto di lavoro del sindacalista, affiggere nelle bacheche aziendali copia del provvedimento per almeno trenta giorni a far tempo dalla comunicazione e pubblicare il provvedimento stesso nella sua integralità per almeno trenta giorni sul sito aziendale.

Legenda

L’art. 28 Stat. Lav. (Repressione della condotta antisindacale) (L. n. 300/1970), recita: “Qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e della attività sindacale nonché del diritto di sciopero, su ricorso degli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, il pretore del luogo (ora Tribunale in composizione monocratica) ove è posto in essere il comportamento denunziato, nei due giorni successivi, convocate le parti ed assunte sommarie informazioni, qualora ritenga sussistente la violazione di cui al presente comma, ordina al datore di lavoro, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti.

L’efficacia esecutiva del decreto non può essere revocata fino alla sentenza con cui il pretore in funzione di giudice del lavoro definisce il giudizio instaurato a norma del comma successivo.

Contro il decreto che decide sul ricorso è ammessa, entro 15 giorni dalla comunicazione del decreto alle parti, opposizione davanti al pretore in funzione di giudice del lavoro che decide con sentenza immediatamente esecutiva. Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del Codice di procedura civile.

Il datore di lavoro che non ottempera al decreto, di cui al primo comma, o alla sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione è punito ai sensi dell’articolo 650 del codice penale.

L’autorità giudiziaria ordina la pubblicazione della sentenza penale di condanna nei modi stabiliti dall’articolo 36 del codice penale”.

L’art. 67 (Sospensione cautelare in corso di procedimento disciplinare) del ccnl Comparto Sanità pubblica stabilisce che: “1. Fatta salva la sospensione cautelare disposta ai sensi dell’art. 55 quater comma 3 bis del D.LGS. 165/2001, l’Azienda o Ente, laddove riscontri la necessità di espletare accertamenti su fatti addebitati al dipendente a titolo di infrazione disciplinare punibili con la sanzione non inferiore alla sospensione dal servizio e dalla retribuzione, può disporre, nel corso del procedimento disciplinare, l’allontanamento dal lavoro per un periodo di tempo non superiore a trenta giorni, con conservazione della retribuzione. 2. Quando il procedimento disciplinare si conclude con la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, il periodo della sospensione cautelare deve essere computato nella sanzione, ferma restando la privazione della retribuzione relativa ai giorni complessivi di sospensione irrogati. 3. Il periodo trascorso in sospensione cautelare, escluso quello computato come sospensione dal servizio, è valutabile agli effetti dell’anzianità di servizio”.

Il Regolamento disciplinare personale area di comparto e area dirigenziale (art. 40 – Sospensione cautelare in corso di procedimento disciplinare) prevede che: ” 1. Nei confronti del personale del comparto, laddove l’Amministrazione, su proposta del Dirigente Responsabile della Struttura o dell’ Ufficio Procedimenti Disciplinari, sentito il Dirigente della struttura cui è stato assegnato il dipendente, riscontri la necessità di espletare accertamenti su fatti addebitati al dipendente a titolo di infrazione disciplinare punibili con la sanzione non inferiore a quella della sospensione dal servizio e dalla retribuzione, può disporre, nel corso del procedimento disciplinare, l’allontanamento dal lavoro per un periodo di tempo non superiore a trenta giorni, con conservazione della retribuzione. 2. Nei confronti del personale dirigenziale, l’Amministrazione, qualora ritenga necessario espletare ulteriori accertamenti su fatti addebitati al dirigente, in concomitanza con la contestazione e previa puntuale informazione al dirigente, può disporre la sospensione dal lavoro dello stesso dirigente, per un periodo non superiore a trenta giorni, con la corresponsione del trattamento economico complessivo in godimento. Tale periodo potrà essere prorogato a sessanta giorni nei casi di particolare gravità e complessità. 3. Quando il procedimento disciplinare si concluda con la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, il periodo dell’allontanamento cautelativo deve essere computato nella sanzione, ferma restando la privazione della retribuzione limitata agli effettivi giorni di sospensione irrogati. 4. Il periodo trascorso in allontanamento cautelativo, escluso quello computato come sospensione dal servizio, è valutabile agli effetti dell’anzianità di servizio”.

 

Sospensione cautelare nel comparto sanità pubblica e condotta antisindacale (Trib. Milano 9 dicembre 2020, n. 9637)
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