Flavia Durval
Con riferimento al lavoro intermittente o a chiamata ed alla corretta interpretazione dell’art. 14, co.1, lett. c), D.LGS. n. 81/2015, il documento di valutazione dei rischi (DVR) deve contenere, di norma, specifiche indicazioni in ordine alle tipologie contrattuali diverse da quella del lavoro subordinato “comune” (ex art. 1, D.LGS. n. 81/2015), come, appunto, il lavoro intermittente. Pena, la conversione del rapporto di lavoro intermittente in rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato (v. Min. lav. circ. n. 20/2012 e INL nota n. 49/2018; in giurisprudenza, v. Trib. Vicenza n. 343/2017; e Trib. Milano. nn. 1806/2017 e 1810/2017).
Tali indicazioni, come sottolinea l’INL (nota 21 dicembre 2020, n. 1148), devono essere finalizzate: a) “quanto meno” ad escludere i rischi pertinenti alle prestazioni “non comuni”; b) nonché a prevedere le correlate modalità per l’effettuazione dell’attività di formazione e informazione; c) e ad una “più intensa protezione dei rapporti dì lavoro sorti mediante l’utilizzo di contratti atipici, flessibili e a termine, ove incidono aspetti peculiari quali la minor familiarità del lavoratore e della lavoratrice sia con l’ambiente di lavoro sia con gli strumenti di lavoro a cagione della minore esperienza e della minore formazione, unite alla minore professionalità e ad un’attenuata motivazione, come con dovizia emerge dal rapporto OIL, del 28 aprile 2010, Rischi emergenti e nuove forme dì prevenzione in un mondo del lavoro che cambia” (così Cass. n. 21683/2019 e n. 5241/2012).
In questo quadro, i parametri fondamentali cui deve uniformarsi la valutazione dei rischi sono:
– La connessione. Essa deve riguardare anche i rischi “connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro” (art. 28, D.LGS. n. 81/2008).
– Il dinamismo. Ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori intermittenti, per i quali, in ragione della discontinuità ed atipicità del rapporto, si pongono specifiche problematiche in materia di sicurezza, anche attinenti all’adempimento degli obblighi di formazione e informazione, la valutazione dei rischi (ex art. 29, co. 3, D.LGS. n. 81/2008), va intesa come un processo “dinamico”, nel senso che “deve essere immediatamente rielaborata, …… in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative…, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione o della protezione o a seguito di infortuni significativi o quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità…” (v. Min. lav. circ. n. 20/2012).
– L’effettività. Con particolare riguardo alla questione se la conversione del rapporto di lavoro intermittente in rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato ricorra non solo nei casi di totale assenza del DVR ma anche qualora lo stesso, pur presente, risulti carente di una apposita sezione dedicata ai lavoratori a chiamata, l’INL (d’intesa con il Min. Lav., nota n. 13037/2020), ha formulato una risposta basata su un principio non formale ma di effettività, osservando che il DVR “privo di un dato formale quale la specifica sezione dedicata ai lavoratori intermittenti” non è incompleto quando ricorrano due condizioni garantite da evidenza e concretezza, idonee a garantire una tutela effettiva dei lavoratori, e cioè quando: 1) “i rischi connessi alle specifiche mansioni a cui tali lavoratori sono adibiti risultano individuati, valutati e classificati, unitamente alle relative misure di prevenzione e protezione”; 2) “l’esposizione a fattori potenzialmente dannosi non risulta essere in alcun modo correlata alla peculiare tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro a chiamata, neanche sotto il profilo formativo”.
In tema, v. anche in q. sito, M.N. BETTINI, Lavoro intermittente: la disciplina del rapporto di lavoro, Monotema n. 16/2017; F. DURVAL, Lavoro intermittente: la disciplina previdenziale; A. TAGLIAMONTE, Lavoro intermittente per imprese artigiane rientranti nei “pubblici esercizi in genere”.