Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 dicembre 2020, n. 28695

Provvedimento INPS di cancellazione dall’elenco dei braccianti
agricoli, Ripetizione delle indennità corrisposte dall’INPS, Giudizio di
rinvio in seguito a Cassazione, Dotato di autonomia, ma non dà luogo ad un
nuovo procedimento, Frazionamento della tutela processuale

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’appello di Napoli, con sentenza n.
1191 pubblicata il 26.2.2019, giudicando in sede di rinvio dalla Corte di
Cassazione (ordinanza n. 132 del 2018), ha
dichiarato l’illegittimità del provvedimento dell’INPS di cancellazione di M.R.
dall’elenco dei braccianti agricoli per l’anno 2004 ed ha compensato le spese
di lite di tutti i gradi di giudizio;

2. la Corte territoriale ha riportato stralci della ordinanza n. 132 del 2018 che ha stabilito:
“risulta dal ricorso per cassazione che tra le parti era intervenuta altra
sentenza del Tribunale di Salerno, la n. 2986 resa in data 12/6/2013 con la
quale era stato accertato, in via definitiva ed irrevocabile, il dedotto
rapporto di lavoro agricolo per l’annata 2004, ai fini della ripetizione delle
indennità corrisposte dall’I.N.P.S….; che tale sentenza era stata allegata
dalla M. tra gli atti del proprio fascicolo nel giudizio di appello nel corso
del quale era stata specificamente posta in rilievo l’esistenza di un giudizio
definitivo sul presupposto giuridico a base della pretesa; che nella
fattispecie in esame non vi è dubbio che l’accertamento del diritto della M.
alla reiscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli in relazione allo
svolgimento di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’azienda I.M. e per
l’anno 2004 avesse formato oggetto di positivo accertamento da parte del
Tribunale di Salerno nella sentenza n. 2986 resa in data 12/6/2013 e passata in
giudicato; e che il giudice del gravame, ai fini della valutazione della
domanda proposta da R.M., non poteva non tener conto di tale definitivo
accertamento” ;

3. ha motivato la compensazione delle spese di tutti
i gradi (e fasi) di giudizio sul rilievo che “la sentenza passata in
giudicato (ndr. sentenza del Tribunale di Salerno n. 2986 del 12.6.2013), con
la quale era già stata accertata l’illegittimità del disconoscimento del
rapporto di lavoro agricolo e conseguentemente l’insussistenza dell’indebita
percezione dell’indennità di disoccupazione, era già intervenuta all’epoca
della decisione in questa sede impugnata, la quale non aveva rigettato la
domanda della M., proposta coevamente e separatamente dall’altra, benché
strettamente connesse, ma aveva omesso di pronunciarsi sulla stessa”; ha
ritenuto che “il frazionamento delle domande, unito alla circostanza che
la seconda sentenza non era in contrasto con la prima, sicché risulta del tutto
sovrabbondante l’iter processuale percorso rispetto al risultato che si
intendeva ottenere (tanto è vero che l’INPS aveva già provveduto a
riaccreditare i contributi previdenziali dell’anno 2004), giustifica (sse)
l’integrale compensazione delle spese di tutti i gradi di giudizio”;

4. avverso tale sentenza M.R. ha proposto ricorso
per cassazione affidato a due motivi, illustrati da successiva memoria; l’INPS
non ha svolto difese;

5. la proposta del relatore è stata comunicata alle
parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non
partecipata, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc.
civ..

 

Considerato che

 

6. col primo motivo di ricorso è dedotta violazione
e falsa applicazione degli artt. 394 e ss. cod.
proc. civ. sul rilievo che la sentenza emessa in sede di rinvio, pur avendo
accolto la domanda della M. e quindi riconosciuto la stessa come parte
vittoriosa, aveva poi, violando il dictum della Suprema Corte, omesso di
riconoscere il diritto della predetta alla rifusione delle spese sostenute e
anticipate nel corso dell’intero procedimento;

7. col secondo motivo è denunciata violazione e
falsa applicazione degli artt. 91, 92, 132 cod. proc.
civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. e 111 Cost. nonché difetto di motivazione sulle
ragioni di compensazione delle spese processuali, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5 cod. proc. civ.;

8. si censura la motivazione come apparente e
contraddittoria e si contesta l’esistenza di qualsiasi abuso del diritto
mediante frazionamento delle domande atteso che l’INPS aveva, con un
provvedimento, avanzato richiesta di ripetizione di indebito oggettivo (pari ad
euro 2.627,26) e contro tale provvedimento la parte era stata costretta ad
agire in giudizio; con separato provvedimento l’Istituto aveva poi disposto la
cancellazione della lavoratrice dall’elenco dei braccianti agricoli,
costringendo la stessa ad un’altra iniziativa giudiziaria;

9. si ribadisce il contrasto tra la sentenza del
Tribunale n. 3044/14, riformata in sede di rinvio, e la sentenza di primo grado
n. 2986/13 che aveva accertato l’esistenza del rapporto di lavoro agricolo
della predetta nell’anno 2004;

10. si sostiene che l’affermazione contenuta nella
sentenza emessa in sede di rinvio, concernente l’avvenuto riaccredito dei
contributi previdenziali per l’anno 2004, è sfornita di prova ed anche di un
principio di prova;

11. si precisa che la sentenza n. 3044/14 non aveva
non respinto la domanda della M. bensì omesso di pronunciarsi sulla stessa, e
la parte aveva quindi esigenza di far dichiarare illegittimo il provvedimento
di cancellazione dagli elenchi emesso dall’INPS;

12. il primo motivo di ricorso è infondato;

13. è pacifico che il giudizio di rinvio in seguito
a cassazione, pur dotato di autonomia, non dà luogo ad un nuovo procedimento,
ma rappresenta una fase ulteriore di quello originario da ritenersi unico e
unitario (Cass. n. 29125 del 2019; n. 1301 del 2017);

14. in tema di spese processuali, il giudice del
rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del
giudizio di legittimità, si deve attenere al principio della soccombenza
applicato all’esito globale del processo; deve quindi liquidare le spese in
base all’esito finale della lite (Cass. n. 20289 del 2015; n. 4909 del 2004), applicando,
se non diversamente stabilito, la legge processuale vigente al momento di
introduzione del procedimento in primo grado (Cass. n. 29125 del 2019; n. 1301
del 2017);

15. in quanto fase ulteriore di un procedimento che
resta unico, il giudizio di rinvio è soggetto a tutte le disposizioni dettate
in tema di regolazione delle spese e la sentenza di cassazione con rinvio non
preclude di per sé la compensazione delle spese, totale o parziale, in
relazione all’esito complessivo della lite e purché correttamente motivata in
conformità ai criteri dettati dalla disciplina ratione temporis applicabile;
fermo il limite per cui, nel giudizio di cassazione, il sindacato della Corte è
limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo cui le spese
non possono essere poste interamente a carico della parte vittoriosa (cfr.
Cass. n. 19613 del 2017; n. 8421 del 2017;
Sez. 6 n. 24502 del 2017);

16. è invece fondato il secondo motivo di ricorso;

17. occorre premettere che il giudizio di primo
grado risulta introdotto nel 2012 (ricorso depositato il 12.3.2012, come
scritto a pag. 2 del ricorso in cassazione), sicché deve trovare applicazione
l’art. 92, comma 2, cod. proc. civ. nel testo
modificato dalla legge n. 69 del 2009, secondo
cui «Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali
ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare,
parzialmente o per intero, le spese tra le parti»;

18. la Corte d’appello ha giustificato la decisione
di compensazione totale delle spese di tutti i gradi e fasi del giudizio in
base ad un duplice assunto: l’avvenuto frazionamento delle domande,
strettamente connesse ma proposte in due separati e coevi giudizi; inoltre, il
carattere sovrabbondante dell’iter processuale rispetto al risultato che si
intendeva ottenere;

19. sul primo profilo, deve rilevarsi che la attuale
ricorrente è stata destinataria di un primo provvedimento dell’INPS, di
ripetizione di indebito per la somma di euro 2.627,26, corrispondente
all’indennità di disoccupazione erogata e di un successivo provvedimento di
disconoscimento del rapporto di lavoro agricolo per l’anno 2004 e cancellazione
dall’elenco dei braccianti agricoli; ha quindi instaurato un primo giudizio per
contestare la pretesa dell’Istituto di restituzione della citata somma ed un
successivo giudizio per far accertare l’illegittimità della cancellazione dagli
elenchi citati;

20. è vero che lo svolgimento del rapporto di lavoro
agricolo nell’anno 2004 è elemento costitutivo di entrambe le domande azionate,
ma queste sono state proposte a fronte di distinte iniziative dell’INPS e non
si tratta di “domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di
credito …relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti”, in
relazione alle quali è astrattamente configurabile il frazionamento della
tutela processuale (cfr. Cass., S.U. n. 4090 del
2017);

21. la M. non ha frazionato in più azioni
giudiziarie diritti di credito relativi ad un unico rapporto ma ha agito per
opporsi a due distinti provvedimenti dell’INPS, logicamente concatenati ma
autonomi, al fine di far dichiarare l’illegittimità di ciascuno di essi;

22. il secondo profilo posto a base della decisione
di compensare integralmente le spese di lite attiene ad un supposto iter
processuale sovrabbondante, quindi non necessario, argomentato sul rilievo che
la sentenza di primo grado (n. 3044/2014) aveva omesso di pronunciarsi sulla
domanda di accertamento del diritto all’iscrizione nel registro dei braccianti
agricoli per l’anno 2004, ma non l’aveva respinta, quindi non si poneva in
contrasto con la statuizione contenuta nella sentenza n. 2986/2013, all’epoca
già pubblicata;

23. in realtà, proprio a causa della omessa
pronuncia da parte del Tribunale, la M. era stata indotta a proporre ricorso in
appello e, come osservato anche da questa Corte nell’ordinanza di cassazione
con rinvio, aveva allegato la sentenza pronunciata (n. 2986/13) nel separato
procedimento e passata in giudicato, che aveva accertato il suo diritto alla
reiscrizione negli elenchi, ma di tale pronuncia definitiva i giudici di
appello non avevano tenuto conto; in ragione di ciò era stato proposto ricorso
in cassazione, risoltosi in senso positivo per la M.;

24. invocando un iter processuale sovrabbondante, la
Corte d’appello ha addebitato alla attuale ricorrente di non aver rinunciato,
dopo il primo grado, a far accertare in giudizio l’illegittimità del
provvedimento di cancellazione dagli elenchi agricoli, data l’esistenza del
giudicato formatosi nel separato procedimento;

25. ma una simile argomentazione è errata in
diritto;

26. come ribadito dalla Corte
Cost. nella sentenza n. 77 del 2018, la “regolamentazione delle spese
di lite … è funzionalmente servente rispetto alla realizzazione della tutela
giurisdizionale come diritto costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.). Il «normale complemento»
dell’accoglimento della domanda – ha affermato questa Corte (sentenza n. 303
del 1986) – è costituito proprio dalla liquidazione delle spese e delle
competenze in favore della parte vittoriosa”;

27. è vero che questa regola non ha carattere assoluto
e che difatti il legislatore, intervenendo più volte sull’art. 92 c.p.c., ha previsto alcune deroghe,
ricorrendo alle clausole generali, per adeguare le deroghe al contesto
storico-sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente
determinabili a priori;

28. come più volte affermato da questa Corte,
compete al giudice di merito riempire di contenuto tali clausole, cioè
specificare in via interpretativa il parametro normativo con un giudizio che è
censurabile in sede di legittimità sotto il profilo della correttezza del
metodo seguito nell’applicazione della clausola generale, poiché l’operatività
in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi desumibili
dall’ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali, e dalla
disciplina particolare in cui la concreta fattispecie si colloca (cfr. Cass. n. 9266 del 2005; Cass. n. 5299 del 2000);

29. in relazione al caso di specie, la Corte
d’appello, definendo sovrabbondante l’iter processuale seguito dalla M. (con la
proposizione dell’appello avverso la sentenza di primo grado, viziata da omessa
pronuncia, allo scopo di far valere il giudicato esterno che aveva accertato lo
svolgimento del rapporto di lavoro agricolo nell’anno 2004) ha considerato
elemento giustificativo della deroga al principio di soccombenza (“gravi
ed eccezionali ragioni”, secondo la formula dell’art. 92 cod. proc. civ. applicabile ratione temporis)
l’esercizio del diritto di agire in giudizio, nel caso concreto praticato in
assenza di forme di abuso del processo, quindi in modo legittimo; in tal modo
la sentenza impugnata ha interpretato e applicato la clausola si cui all’art. 92 cit. in maniera contrastante con i
principi costituzionali e, in particolare, con quelli enunciati dall’art. 24 Cost.;

30. deve quindi ritenersi integrata la dedotta
violazione dell’art. 92 cod. proc. civ., da cui
consegue la cassazione della sentenza impugnata in relazione al secondo motivo
di ricorso, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione,
anche per la regolazione delle spese di questo giudizio di legittimità;

 

P.Q.M.

 

Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il
primo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e
rinvia alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, anche per la
regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 dicembre 2020, n. 28695
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