Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 dicembre 2020, n. 28176

Avvocati, Giudizi disciplinari, Procedimento giudizi dinanzi
al Consiglio Nazionale Forense, Integrazione d’ufficio della motivazione di
prime cure, Ammissibilità, Condizioni, Fattispecie

 

Fatti di causa

 

In data 1° dicembre 2015, l’avv. G.B. venne iscritto
nel registro delle notizie di illecito disciplinare tenuto dal CDD di Torino, a
seguito della segnalazione pervenuta dalla Procura della Repubblica presso il
Tribunale di Torino relativa alla perquisizione disposta, nei suoi confronti,
nell’ambito di un procedimento aperto per i reati appresso indicati:

«a) Reato di cui agli artt.
81 cpv 476-482
c.p. perché, con più azioni esecutive dei medesimo disegno criminoso,
formava n. 2 comunicazioni della Cancelleria del Tribunale civile di Torino
sezione lavoro false, in quanto relative al ricorso in realtà mai presentato
nell’interesse di A.F. nei confronti delle P.I. recanti l’informazione relativa
all’esito del medesimo. In Torino in data anteriore e prossima al 17.6.2013 e
in data anteriore e prossima al 26.09.2013.

b) Reato di cui all’art.
476-482 c.p. perché formava il falso
decreto n. 3699/E/2011 apparentemente rilasciato dal Tribunale per Minorenni di
Milano. In Torino in data anteriore e prossima al marzo 2013.

c) Reato di cui artt. 485-491, 61 n. 2 c.p.perché, al fine di commettere il reato
di cui ai capo che segue, alterava l’assegno portante la somma di euro 1.239,50
modificando il nome dell’intestatario da G.M.L. a B.G.

In Torino in data anteriore e prossima al marzo
2013.

d) Reato di cui all’art.
646 c.p. perché al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto,
si appropriava della somma di euro 1.239,50, incassando l’assegno di cui al
capo che precede di cui aveva il possesso in quanto a lui consegnato da S.G. e
affinché il B. lo consegnasse a G.M.L. a titolo di canone annuale per l’affitto
di un box.

In Torino in data anteriore e prossima al marzo
2013».

Reso edotto della segnalazione in parola, l’avv. B.
inoltrò al CDD le sue deduzioni difensive, evidenziando che la perquisizione
aveva avuto esito negativo perché non era stato rinvenuto alcun documento,
cartaceo o digitale, contraffatto.

Con delibera del 3 marzo 2017 venne, quindi, aperto
il procedimento disciplinare per i seguenti capi d’incolpazione:

«a) Violazione degli artt. 9, 12, 26 comma 3 e 27 comma 6 del CDF vigente per
avere l’avv. G.B. omesso di informare correttamente sullo svolgimento del
mandato e di adempiere il mandato stesso ricevuto dal sig. A.F. e, nel contempo,
formato due comunicazioni della cancelleria del Tribunale civile di Torino
sezione lavoro false in quanto relative al ricorso in realtà mai presentato
nell’interesse di A.F. nei confronti delle P.I. recanti l’informazione relativa
all’esito del medesimo;

b) Violazione degli artt. 9, 11, 12, 26 comma 3 e 27 comma 6 del CDF
vigente per avere l’avv. G.B. omesso di informare correttamente sullo
svolgimento del mandato e di adempiere il mandato stesso ricevuto dalla sig.ra
P. e nel contempo formato il falso decreto n. 3699/E/2011 apparentemente
rilasciato dal Tribunale per i Minorenni di Milano relativamente al minore
S.F.R..

c) Violazione degli artt. 9, 11, 12, 26 comma 3, 27 comma 6 e 30 commi 1, 2 e 4 del CDF
vigente per avere l’avv. G.B. omesso di informare correttamente sullo
svolgimento del mandato e di adempiere il mandato stesso ricevuto dal sig. S.G.
ed alterato l’assegno portante la somma di euro 1.239,50 modificando il nome
dell’intestatario da G.M.L. a B.G., appropriandosi così della somm[a] di euro
1.239,50 incassando l’assegno sopra descritto e di cui aveva il possesso in
quanto a lui consegnato da S.G. affinché l’avv. B. lo consegnasse alla sig.ra
G.M.L. a titolo di canone annuale per l’affitto di un box».

Il procedimento disciplinare venne sospeso per la
pendenza del procedimento penale – conclusosi con la sentenza, emessa dal
Tribunale di Torino, di condanna dell’avv. B. a un anno e un mese di reclusione
nonché al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite (euro
2.000,00, in favore della P.; euro 2.000,00 in favore dell’A. ed euro 3.239,50
in favore dello S.), essendone stata accertata la responsabilità per i reati
ascritti – e venne successivamente riavviato.

All’esito dell’udienza dibattimentale del 29
settembre 2017, il CDD dichiarò l’avv. G.B. responsabile dei fatti indicati nei
capi a), b) e c), rilevando che le incolpazioni elevate in sede disciplinare
discendevano dagli stessi fatti per i quali il Tribunale di Torino aveva
condannato il predetto alla già ricordata pena e ritenendo di condividere
«pienamente le motivazioni rese in sentenza e documentalmente provate dagli
atti nella disponibilità del Giudice Penale e della sezione disciplinare in
relazione ai quali la sezione fa proprie le argomentazioni dei giudici di prime
cure», con la precisazione, a sostegno della decisione, che l’avv. B., sentito
in sede cautelare, aveva confessato di aver incassato la somma di euro 1.239,50
di spettanza della G. e di aver riconosciuto di doverla restituire alla stessa.

Il CDD comminò, quindi, la sanzione della
sospensione dall’esercizio della professione per 2 anni e 6 mesi, ritenendo
che, per i fatti di cui al capo c), dovesse applicarsi l’aggravante prevista
dall’art. 22, comma secondo,
lett. c) del CDF, tenuto conto delle modalità dei fatti e della capacità
delittuosa dimostrata.

Tale decisione vene impugnata dall’avv. B. dinanzi
CNF che, con sentenza n. 137/2019, depositata il 16 novembre 2019, ridusse la
sanzione disciplinare alla misura di 2 anni di sospensione dall’esercizio della
professione.

Avverso la sentenza del CNF l’avv. B. ha proposto
ricorso a queste Sezioni Unite basato su quattro motivi.

Nessuno dei soggetti intimati ha svolto attività
difensiva in questa sede.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo, lamentando «Violazione di
legge in riferimento all’art. R.D.
n. 37 del 1934, art. 64 e di conformità di una copia all’originale» (così
testualmente), il ricorrente sostiene che la copia della sentenza notificatagli
è «una copia fotostatica all’originale, analogica e non digitale e riporta a
margine di ogni pagina la firma del presidente e del segretario, tranne che
all’ultima pagina, dove le firme sono sostituite da un laconico “F.to avv.
…”» e, rilevato che «la pagina 12 dell’impugnata sentenza a differenza
delle precedenti non è una copia fotostatica della stessa, ma una copia
analogica di stampa», assume che «in tale maniera, la parte non è in grado di
verificare se le firme qui ivi mancanti siano in realtà presenti
sull’originale, né può verificare se la loro esistenza e conformità a quelle
delle pagine precedenti. In tale maniera vi è anche una violazione dell’art. 64 del R.D. n. 37 del 1934,
la dove la certificazione attesta che questa copia è conforme a quella
originale e come tale senza espressa firma del presidente e segretario» (così
testualmente).

Sostiene il ricorrente che sussisterebbe, nella
specie, una violazione del diritto della parte alla verifica della conformità
dell’atto, che ne determinerebbe la nullità anche ai fini della notifica e non
potrebbe esplicare effetti né con riferimento all’applicazione della sanzione
né con riferimento ai termini dell’impugnazione.

1.1. Il motivo è infondato alla luce del principio
affermato da queste S.U. con la sentenza 20/05/2014,
n. 11024, secondo cui, «in materia di decisioni disciplinari del Consiglio
Nazionale Forense, qualora la conformità all’originale della copia notificata
della sentenza risulti attestata dal consigliere segretario recando, con la
dicitura “firmato”, l’indicazione a stampa del nome e del cognome del
presidente e del segretario, tale formulazione della copia non è idonea a
dimostrare la mancanza della sottoscrizione dell’originale asseverando, anzi,
il contrario».

Né la circostanza che l’ultima pagina non sia una
fotocopia dell’originale firmato è ostativa a tale conclusione, proprio per
l’esistenza, nella specie, di una siffatta asseverazione.

È pur vero che questa Corte ha pure precisato che
«In materia di decisioni disciplinari del Consiglio Nazionale Forense, qualora,
nella copia allegata al ricorso per cassazione, la conformità della decisione
all’originale sia stata attestata recando, con la dicitura “firmato”,
l’indicazione a stampa del nome e del cognome del presidente e del segretario, tale
formulazione non è idonea a dimostrare la mancanza della sottoscrizione
sull’originale dell’atto, che l’apposizione di detta dicitura lascia presumere,
ma fa parte può dimostrarne la mancanza prendendo visione dell’originale e
facendosi rilasciare specifica attestazione, da depositarsi ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ.» (Cass., sez. un.,
24/07/2009, n. 17357).

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