Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 dicembre 2020, n. 28409
Ente di natura associativa senza fini di lucro, Ente
strumentale in house del Ministero, Contratti a termine, Illegittimità,
Rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, Ente pubblico al momento
della soppressione
Fatti di causa
1. la Corte d’appello di Roma, in accoglimento
dell’impugnazione proposta da V.F., A.E., F.P., G.M. e M.L.R. nei confronti del
Ministero dello sviluppo economico (quale successore dell’Istituto per la
programmazione industriale – IPI -) ed in riforma della decisione del locale
Tribunale, affermata l’illegittimità dei contratti a termine e di
collaborazione intercorsi tra le parti, dichiarava che tra i ricorrenti e l’IPI
fosse intercorso un rapporto di lavoro a tempo indeterminato fin dalla prima
assunzione con ordine al Ministero di ripristinare i rapporti e corrispondere
il risarcimento del danno pari ad una indennità diversamente quantificata per
ciascuno degli appellanti.
Riteneva la Corte territoriale che l’IPI, nato come
ente di natura associativa senza fini di lucro e dunque come soggetto di natura
privata, a seguito delle modificazioni statutarie introdotte il 13.11.2008
avesse subito una riorganizzazione che aveva portato alla fuoriuscita dei soci
di natura privata dalla compagine associativa ed alla soppressione del Comitato
d’indirizzo strategico, venendosi così a caratterizzare come ente strumentale
in house del Ministero dello sviluppo economico, sotto la cui vigilanza operava
con sottoposizione al controllo della Corte dei Conti e recependo un modello
organizzativo in cui la P.A. provvede da sé al perseguimento dei propri scopi
pubblici, nell’ambito del suo potere di autorganizzazione e del generale
principio comunitario di autonomia istituzionale.
Ad avviso della Corte territoriale la riprova di
tale emancipazione dalla natura privatistica era data proprio dall’art. 7, comma 20, del D.L. n.
78/2010 di soppressione di taluni enti, tra cui l’IPI, definiti appunto
“pubblicI”.
Esaminate, poi, le posizioni degli appellanti
riteneva che i contratti stipulati dagli stessi fossero illegittimi (per
ragioni differenti a seconda delle tipologie contrattuali) con conseguente
sussistenza, per tutti, di un rapporto di lavoro subordinato sin dal primo di
tali contratti.
Considerato che la disposta trasformazione dei
rapporti andava collocata temporalmente in epoca anteriore alla sopraindicata
emancipazione dell’Istituto dalla natura privata, al momento della soppressione
di tale Istituto e del passaggio del personale presso il Ministero dello
sviluppo economico, i rapporti in questione dovevano considerarsi già in essere
come rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
2. Per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso il MISE con un motivo.
3. Hanno resistito con distinti controricorsi A.E.,
V.F., F.P., M.L.R. e G.M.
4. Tutte le parti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo il Ministero denuncia, ai
sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., la
violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001,
dell’art. 7, comma 20, d.l. n.
78/2010, dell’art. 14, comma
15, del d.l. n. 98/2011 nonché degli artt. 30
cod. civ. e 11 disp. att. cod. civ.
Sostiene, in sintesi, ostativa alla costituzione di
un rapporto fosse la natura pubblica dell’ente a quo nonché dell’ente ad quem.
Evidenzia che l’IPI aveva, già prima della
soppressione, tutte le caratteristiche proprie di un organismo di diritto
pubblico in rapporto di delegazione organica con il Ministero dello sviluppo
economico che svolgeva su di esso un controllo analogo a quello svolto nei
confronti dei propri organi.
L’Istituto, inoltre, svolgeva attività strumentale
ai fini istituzionali del Ministero che finanziava annualmente lo stesso
rendendolo partecipe degli scopi/attività di incentivazione alle imprese del
Ministero controllante.
Richiama ai fini della legittimità di un sistema che
non prevede la conversione automatica dei rapporti ma solo il risarcimento del
danno la pronuncia della Corte costituzionale n. 89
del 2003, sentenze della Corte di Giustizia CE (Vassallo del 7 settembre
2006) e precedenti di questa Corte (Cass. n. 1260
del 2015 e Cass. n. 19371 del 2013).
Aggiunge che anche qualora il rapporto a termine
debba ritenersi intercorso con un soggetto avente in origine natura
privatistica, per la trasformazione in senso pubblicistico subita dallo stesso
nel corso del tempo non potrebbe giammai essere disposta la conversione del
rapporto.
Evidenzia che l’espressione il personale a tempo
indeterminato attualmente in servizio contenuta nella disposizione di cui all’art. 7, comma 20, del d.l. n.
78/2010, per essere conforme al dettato costituzionale, non possa che
essere interpretata in senso restrittivo tale da consentire la trasmigrazione
solo dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato “attuali”, interpretazione
che sola consente di escludere ogni aggirabilità della regola del pubblico
concorso quale sistema ordinario di accesso nei ruoli dell’amministrazione.
2. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di
nullità del ricorso per cassazione formulata dalla controricorrente A.E. per
essere la sentenza notificata in via telematica priva, nelle motivazioni, della
pag. 5.
Ed infatti, posto che è la stessa controricorrente
ad affermare che la sentenza de qua è stata già pubblicata priva della pag. n.
5, nessun onere sussisteva a carico del Ministero di richiedere la correzione
di tale sentenza posto che dalla medesima si evinceva comunque il percorso
motivazionale seguito dalla Corte territoriale per pervenire alle conclusioni
di cui allo storico di lite.
Come da questa Corte già affermato, la conformità
della sentenza al modello di cui all’art. 132,
comma 2, n. 4, cod. proc. civ., richiede che l’esposizione dei fatti di
causa riassuma concisamente il contenuto sostanziale della controversia e che
nella motivazione sia chiaramente illustrato il percorso logico giuridico
seguito, sicché è sufficiente che la sentenza, pur non avendo l’indicazione
esatta delle pagine o anche in assenza di una delle pagine originariamente
redatte, consenta di desumere la ragione per la quale ogni istanza proposta
dalle parti sia stata esaminata e di ricostruire l’esatto ragionamento posto a
base della decisione (v. in tal senso Cass. 21 ottobre 2015, n. 21420).
Né invero la mancanza di tale pagina può dirsi che
violi il disposto dell’art. 369, secondo comma,
cod. proc. civ atteso che la procedibilità del ricorso per Cassazione non è
esclusa dal fatto che la copia autentica della sentenza impugnata (che il
ricorrente è tenuto a depositare unitamente al ricorso ex art. 369, comma secondo cod. proc. civ.) sia
incompleta perché priva di alcune pagine della parte motivazionale tutte le
volte in cui, come nella specie, il ricorrente stesso si sia attenuto a quanto
disposto dal citato art. 369 del codice di rito
depositando copia autentica della sentenza impugnata così come depositata
(ovvero notificatagli dalla controparte), e contenente l’attestazione di
conformità all’originale della sentenza della Corte d’appello apposta dal
cancelliere di detta Corte – id est quanto all’attestazione di conformità
all’originale della copia analogica estratta con modalità telematica – (v.
Cass. 10 febbraio 2004, n. 2494), risultando comunque comprensibile il
ragionamento dei giudici di merito ed idoneo a stabilire se i motivi di censura
siano fondati o meno.
3. Per il resto il motivo supera il preliminare
vaglio di ammissibilità per essere le censure, come sopra riassunte, intese a
denunciare l’errata non applicazione del divieto di conversione dei rapporti.
Né corrisponde al vero che il Ministero non abbia
censurato la sentenza impugnata nella parte in cui ha riconosciuto all’IPI
natura privatistica fino alle modifiche statutarie del 2008 evincendosi dal motivo
di ricorso che “il soppresso IPI aveva tutte le caratteristiche proprie di
un organismo di diritto pubblico in rapporto di delegazione organica con il
Ministero; infatti il Ministero dello sviluppo economico era il soggetto
pubblico che svolgeva un controllo sull’IPI analogo a quello svolto nei
confronti dei propri organi, l’attività dell’IPI era strumentale ai fini
istituzionali del Ministero dello sviluppo economico il quale finanziava
annualmente lo stesso” (v. in particolare pag. 14 del ricorso per
cassazione).
Tanto precisato, il motivo, è fondato nei termini di
seguito illustrati.
4. La questione sottoposta all’esame di questa Corte
ruota intorno alla natura giuridica dell’IPI.
5. Occorre premettere che l’attività ricostruttiva
della natura giuridica di un ente è compito del giudice di legittimità che vi
provvede, anche d’ufficio, in ossequio al principio iura novit curia, laddove
tale natura fondi la propria essenza in disposizioni di legge (operazione,
questa, che non trova limite, pertanto, in differenti prospettazioni o
posizioni delle parti), diversamente essendo l’indicato compito circoscritto a
quanto ritualmente allegato in causa, nel rispetto degli oneri di cui all’art. 366 cod. proc. civ., laddove una determinata
natura (e, per quanto si dirà, quella di ente privato) abbia le radici in atti
dell’autonomia delle persone.
6. Ciò precisato, nella specie, occorre partire
dall’art. 7, comma 20, d.l. 31
maggio 2010, n. 78 convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122 “Misure urgenti
in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”
per procedere poi a ritroso nel tempo.
Tale norma ha disposto la soppressione degli enti di
cui all’allegato 2 al medesimo d.l. ed i compiti e le attribuzioni esercitati
sono stati trasferiti alle amministrazioni corrispondentemente indicate, con
transito del personale a tempo indeterminato in servizio presso i predetti enti
al momento della soppressione alle amministrazioni e agli enti rispettivamente
individuati ai sensi del medesimo allegato.
In attuazione di detta norma è stato, quindi,
adottato il decreto interministeriale (da parte del Ministero dello sviluppo economico
di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze e con il
Dipartimento per la pubblica amministrazione e l’innovazione) 11 febbraio 2011
(in GU Serie Generale n. 83 del 11-04-2011) recante la Tabella di
corrispondenza ai fini dell’inquadramento del personale a tempo indeterminato
proveniente dall’Istituto per la promozione industriale e trasferito al
Ministero dello sviluppo economico.
6.1. Orbene è di tutta evidenza che, all’atto della
soppressione, l’IPI fosse già un ente pubblico (inimmaginabile essendo che il
legislatore abbia inteso, con il medesimo atto normativo, costituire un ente
pubblico e contestualmente sopprimerlo).
Tanto si evince chiaramente dalla espressa
previsione di cui al citato comma 20 dell’art. 7 secondo cui “gli
stanziamenti finanziari a carico del bilancio dello Stato previsti, alla data
di entrata in vigore del presente provvedimento, per le esigenze di
funzionamento dei predetti enti pubblici confluiscono nello stato di previsione
della spesa o nei bilanci delle amministrazioni alle quali sono trasferiti i
relativi compiti ed attribuzioni, insieme alle eventuali contribuzioni a carico
degli utenti dei servizi per le attività rese dai medesimi enti pubblici”.
D’altra parte se non si fosse trattato di un ente
pubblico ma di un soggetto privato, la disposizione che ne ha disposto la
soppressione, contestualmente prevedendo il passaggio del personale IPI nei
ruoli del Ministero, si sarebbe certamente esposta a profili di illegittimità
costituzione sia per violazione dell’art. 42 Cost.
sia per violazione dell’art. 97 Cost. (la Corte
costituzionale nella sentenza 13 aprile 2017 n. 86 si è occupata della questione
di illegittimità costituzionale proprio dell’art. 7, comma 20, d.l. 78 del 2010,
ma con riferimento ad altro ente soppresso con quella norma ed ha sottolineato
l’esigenza di “emanare disposizioni” anche “per il rilancio
della competitività economica” di talché la soppressione di determinati
enti pubblici e le modalità di allocazione delle relative funzioni sono state
anche ispirate all’esigenza, espressamente enunciata, di accrescere la competitività,
attraverso un’opera di razionalizzazione organizzativa).
6.2. La natura pubblica dell’IPI si evince anche
dalla norma di interpretazione autentica di cui all’art. 14, comma 15, del d.l. 6 luglio
2011, n. 98 convertito, con modificazioni, dalla I. 15 luglio 2011, n. 111, che ha chiarito che:
«L’articolo 7, comma 20, del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, si interpreta nel
senso che le amministrazioni di destinazione subentrano direttamente nella
titolarità di tutti i rapporti giuridici attivi e passivi degli enti soppressi,
senza che tali enti siano previamente assoggettati a una procedura di
liquidazione».
6.3. Se dunque l’IPI (sottratto alla procedura di
liquidazione tipica dei soggetti privati) era, al momento della soppressione,
un ente pubblico, va chiarita l’evoluzione che tale soggetto giuridico ha avuto
nel corso del tempo a far data dalla sua costituzione.
6.4. Invero non può essere fatta coincidere la
costituzione dell’IPI con l’art.
17 del d.l. 8 febbraio 1995, n. 32, convertito con modifiche nella I. 7 aprile 1995, n. 104, norma prevedente che:
«Il Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato provvede
annualmente al finanziamento delle iniziative che lo IASM, ora denominato
Istituto per la promozione industriale (IPI) intende assumere sulla base di
programmi annuali di attività approvati con decreto del Ministro
dell’industria, del commercio e dell’artigianato. I relativi oneri continuano a
gravare sul Fondo di cui all’articolo
19, comma 5, del decreto legislativo 3 aprile 1993, n. 96, come sostituito
dall’articolo 3. 2. Le
amministrazioni pubbliche centrali e locali ed i soggetti da esse partecipati
possono, mediante convenzione, utilizzare i servizi dello IASM, ora IPI».
Tale norma, infatti, emanata in un contesto di
attuazione delle politiche di intervento nelle aree depresse del territorio
nazionale (art. 1), si è
limitata a prendere atto della nuova denominazione che lo IASM ha assunto
divenendo IPI ed a prevedere le modalità di finanziamento delle iniziative di
tale Istituto (da intraprendersi sulla base di programmi annuali approvati con
decreto del Ministro competente).
6.5. Dello IASM (Istituto di assistenza allo
sviluppo del Mezzogiorno), si era occupato il legislatore già con il d.P.R. 28
febbraio 1987, n. 58 (“Riordinamento degli enti per la promozione e lo
sviluppo del Mezzogiorno, ai sensi dell’art. 6 della legge 1° marzo 1986,
n. 64”) ed all’art. 3,
specificamente intitolato “Modificazione della natura giuridica dello
IASM” aveva previsto che: «Il Ministro per gli interventi straordinari nel
Mezzogiorno con proprio decreto fissa il termine entro il quale vengono avviate
dall’Agenzia le procedure per lo scioglimento e per la contestuale costituzione,
sotto forma di società per azioni, anche con i soggetti indicati all’art. 6, comma 3, della legge n. 64
del 1986, dell’Istituto per l’assistenza allo sviluppo del Mezzogiorno
(IASM), con un capitale sociale di dieci miliardi. L’Agenzia è autorizzata a
cedere ai soggetti che erano associati allo IASM e in misura proporzionale al
loro apporto, quota parte delle azioni della nuova società mantenendo comunque
per sé la maggioranza Le cessioni verranno effettuate al valore nominale. Il
personale e il patrimonio dello IASM confluiscono nella nuova società,
nell’ambito della quale continua il rapporto di lavoro del personale senza
soluzione di continuità».
Tale norma, e l’espresso riferimento allo scioglimento
e liquidazione, evidentemente presupponeva una natura privata dello IASM.
Tuttavia quanto previsto dal legislatore non ha
successivamente avuto attuazione ed anzi con il successivo d.lgs. 3 aprile 1993, n. 96 (“Trasferimento
delle competenze dei soppressi Dipartimento per gli interventi straordinari nel
Mezzogiorno e Agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno, a norma
dell’art. 3 della legge 19
dicembre 1992, n. 488”) mentre all’art. 11, comma 2, è stato
previsto, con riguardo agli enti di promozione per lo sviluppo del Mezzogiorno
di cui all’art. 6 della I. 1°
marzo 1986, n. 64 (“Disciplina organica dell’intervento straordinario
nel Mezzogiorno”), che le relative competenze passassero al Ministero del
tesoro il quale «provvede all’immediato commissariamento al fine del successivo
riordino, ristrutturazione, privatizzazione o liquidazione secondo criteri di
razionalità ed efficienza gestionale», al successivo comma 4 è stato mantenuto
in vita lo IASM precisando che: «L’Istituto di assistenza allo sviluppo del
Mezzogiorno (IASM), il cui compito istituzionale è la promozione industriale,
risponde della propria attività al Ministero dell’industria, del commercio e
dell’artigianato, che provvede al suo assetto».
L’indicato d.lgs. n. 96
del 1993 ha regolato la cessazione dell’intervento straordinario nel
Mezzogiorno ed ha, all’art. 19,
comma 5, istituito un Fondo per le aree depresse del Paese (successivamente
divenuto Fondo per le aree sottoutilizzate) al quale far affluire le
disponibilità di bilancio destinate al perseguimento delle finalità di cui al
medesimo decreto, e dunque le finalità di promozione industriale per le quali
lo IASM era stato tenuto in vita.
6.6. Insistono i controricorrenti sulla originaria
natura privatistica dell’IPI ma senza addurre elementi concreti a sostegno di
tale assunto né precisare (sulla base di documentazione eventualmente versata
agli atti di causa) quali siano state le modalità di trasformazione dello IASM
nel TIPI e quali le vicende che hanno caratterizzato la vita dell’Istituto.
6.6. Né, a tal fine, rileva il precedente di questa
Corte n. 5486/1984, con il quale è stata affermata la natura privata dello IASM
trattandosi di pronuncia intervenuta prima del citato art. 11 del d.lgs. n. 96/1993.
6.8. Inoltre, secondo la tesi dei controricorrenti,
l’IPI si sarebbe emancipato da tale (asserita) natura privata con le modifiche
statutarie introdotte il 13.11.2008 che avrebbero portato ad una riorganizzazione
ed alla fuoriuscita dalla compagine associativa di soci di natura privata con
la configurabilità dello stesso come ente strumentale in house del Ministero
dello sviluppo economico ed il recepimento di un modello organizzativo in cui
la P.A. provvede da sé al perseguimento dei propri scopi pubblici, nell’ambito
del suo potere di autorganizzazione e del generale principio comunitario di
autonomia istituzionale.
6.9. Tale tesi, però, non tiene conto del fatto che
il criterio per determinare la natura pubblica o privata di un ente deve fare i
conti, da un lato, con l’art. 97, comma 2, Cost..
il quale sancisce che «i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni
di legge» e, dall’altro, con la disposizione dettata dall’art. 4 della I. 20 marzo 1975, n. 70,
secondo la quale «nessun ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se
non per legge» (si veda anche Corte costituzionale n. 1179 del 1995).
Non poteva perciò essere una previsione statutaria
ad attribuire all’IPI quella natura pubblica poi confermata dal legislatore del
2010 che ne ha previsto la soppressione.
6.10. Di certo l’intervento in sede di statuto è
stato determinato da una presa d’atto di quello che era un assetto dell’ente
come già voluto dal legislatore.
6.11. Si consideri, del resto, che l’interpretazione
dottrinale e giurisprudenziale delle norme da ultimo richiamate è andata, con
il tempo, nella direzione di consentire l’individuazione di enti pubblici non
solo in presenza di una diretta istituzione “per legge” (“istituzione in
concreto”) ma anche in presenza di una istituzione “in base alla legge”
(“configurazione astratta”).
Ciò evidentemente non vuol dire affermare che è
possibile una istituzione di fatto di un ente pubblico ma semplicemente che la
qualificazione del legislatore può essere desunta dal trattamento giuridico che
il legislatore ha riservato ad un determinato soggetto.
6.12. Ed allora, nel caso in esame, hanno di certo
rilevanza gli interventi legislativi che, nel tempo, hanno interessato l’IPI e
che a ben guardare ne hanno presupposto una natura pubblica.
6.13. Sul fondo già istituito presso il Ministero
del Tesoro, dall’art. 19 del sopra ricordato d.lgs. n. 9 del 1993, norma
sostituita dall’art. 3 del già
citato d.l. n. 32 del 1995 (che, come detto, aveva preso atto della nuova
denominazione che lo IASM ha assunto divenendo IPI), fondo da ripartire tra le
amministrazioni competenti, con Deliberazione del Comitato Interministeriale
per la Programmazione Economica del 18 dicembre 1997 (Deliberazione n. 254/97
in GU Serie Generale n. 47 del 26 febbraio 1998), a valere sulle risorse che si
sarebbero rese disponibili nel 1998, è stato assegnato in via definitiva
l’importo di lire 28,028 miliardi a favore del Ministero dell’industria per il
finanziamento del programma di attività dell’Istituto per la promozione
industriale (IPI) per il medesimo esercizio.
6.14. Il d.lgs. n. 1 del
1999, recante il “Riordino degli enti e delle società di promozione e
istituzione della Società Sviluppo Italia”, ha stabilito il conferimento
alla suddetta Società delle partecipazioni azionarie in varie società (SPI, I.,
IG, I., R., E., F.) e delle quote di IPI detenute dallo Stato o da società da
questo controllate, al fine di provvedere, entro il 30 giugno 2000, al riordino
e all’accorpamento delle citate partecipazioni in un unico gruppo.
6.15. L’art. 19, comma 2, della I. 24
novembre 2000, n. 340 “Disposizioni per la delegificazione di norme e
per la semplificazione di procedimenti amministrativi – Legge di
semplificazione 1999” ha, poi, autorizzato il Ministero dell’industria ad
utilizzare una quota del finanziamento concesso per il 2000, entro il limite
massimo di 200 milioni, per acquisire la partecipazione maggioritaria nell’IPI
e sostenere i relativi oneri associativi. In tal modo l’IPI è stata sganciata
dal processo di riordino di Sviluppo Italia per restare struttura ancorata al
Ministero.
6.16. L’art. 14 della I. 5 marzo 2001, n.
57 (Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati”)
ha, quindi, previsto (comma 3) che a decorrere dal 2001 gli oneri per il
finanziamento delle attività di promozione industriale svolte dall’IPI su tutto
il territorio nazionale fossero posti a carico del Fondo unico per gli
incentivi alle imprese del Ministero dell’industria.
6.17. Con il successivo art. 60, comma 3, della I. 27 dicembre
2002, n. 289 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003)” è stato disposto che gli
oneri relativi al funzionamento dell’Istituto riguardanti le iniziative e le
attività di assistenza tecnica afferenti le autorizzazioni di spesa relative
alla I. n. 488 del 1992 e agli interventi di
programmazione negoziata, dovessero gravare sull’apposito Fondo costituito dal
medesimo comma 3 presso il Ministero delle attività produttive al quale
sarebbero andate a confluire le risorse per tali interventi (il Fondo di cui al
citato art. 60, iscritto nello
stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, è stato, poi,
soppresso dall’art. 1, comma
841, della I. 27 dicembre 2006 n. 296 – finanziaria 2007 -, e le relative
risorse sono confluite nel Fondo previsto dall’art. 61 della citata legge 289/2002,
con esclusiva iscrizione nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo
economico).
6.18. Ancora, con l’art. 1, comma 234, della I. 30
dicembre 2004, n. 311 (finanziaria per il 2005) è stato previsto che «Al
fine di assicurare l’efficace svolgimento delle attività di cui all’articolo 17 del decreto-legge 8
febbraio 1995, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 aprile 1995, n. 104, l’Istituto per la
promozione industriale (IPI) adotta, d’intesa con il Ministero delle attività
produttive, appositi programmi pluriennali» ed è stato determinato in 25
milioni di euro il relativo finanziamento, stabilendosi che la copertura dei
suddetti oneri sia assicurata sulle disponibilità del Fondo unico per gli
incentivi alle imprese – di cui all’articolo 52 della legge n. 448 del
1998 – e del Fondo per le aree sottoutilizzate presso il MAP, di cui all’articolo 60, comma 3, della legge n.
289 del 2002.
6.19. In linea con gli indicati interventi
normativi, con successivo d.P.R. 14 novembre 2007,
n. 225 (Regolamento recante riorganizzazione del Ministero dello sviluppo
economico, a norma dell’articolo
1, comma 404, della legge 27 dicembre 2006, n. 296) è stato previsto (art. 4) che la Direzione generale
per la politica industriale svolge i compiti di spettanza del Ministero, anche
con riferimento alle specificità delle politiche settoriali, (tra gli altri)
nell’ambito (lett. v) delle “attività di coordinamento con le società e
gli istituti operanti in materia di promozione industriale e vigilanza sull’Istituto
per la promozione industriale (IPI), nonché direttive, vigilanza e controllo
sulle attività effettuate da organismi pubblici e privati sulla base di
convenzioni o di norme nella materia di competenza della Direzione
generale”.
6.20. Analoga previsione è stata inserita nel d.P.R. 28 novembre 2008, n. 197 (art. 4, comma 1, lett. s) con
riguardo all’attività di vigilanza della Direzione generale per la politica
industriale e la competitività.
6.21. Si è, dunque, in presenza di una vicenda che
si caratterizza per l’assoluta singolarità in quanto collocata in un contesto
nel quale, da un lato, non si è mai dato seguito alle disposizioni normative
che, all’epoca dello IASM, avevano previsto la trasformazione degli enti sorti
per lo svolgimento dell’attività di assistenza tecnica e di promozione per la
localizzazione nel Mezzogiorno di nuove imprese in società per azioni (con
evidente opzione per lo statuto privatistico) e, dall’altro, tali disposizioni
sono state superate da interventi legislativi successivi che, nel caso dello
IASM, hanno sancito la sopravvivenza dell’ente prevedendo uno stretto
collegamento con il dicastero competente (si veda il sopra citato art. 11, comma 4, del d.lgs. n.
96 del 1993) e, nel caso dell’IPI, seppure non specificamente diretti alla
qualificazione del soggetto e alla istituzione di un ente pubblico, ne hanno
presupposto la natura pubblica (si vedano i riferimenti legislativi
specificamente riguardanti tale Istituto, sopra riportati).
Con particolare riferimento all’IPI, che,
nell’indicato assetto normativo, non fondava la propria attività principale
esclusivamente su criteri di rendimento, efficacia e redditività né assumeva su
di sé i rischi collegati allo svolgimento di tale attività, i quali ricadevano
sull’Amministrazione vigilante che finanziava interamente i costi di
funzionamento, senza che, evidentemente, il suddetto servizio d’interesse
generale potesse essere rifiutato per ragioni di convenienza economica, è stato
il legislatore che, presupponendone, come detto, la natura pubblica, lo ha
considerato necessario per la soddisfazione di un interesse generale (la
promozione industriale anche attraverso programmi di incentivazione per le
imprese, l’attuazione di piani pluriennali da adottarsi su indicazione ovvero
previa intesa con il Ministero competente) e lo ha indicato quale destinatario
di finanziamenti pubblici al fine di assicurare l’efficace svolgimento delle
attività di cui all’art. 17
del d.l. n. 32 del 1995, convertito, con modificazioni, dalla I. n. 104 del 1995.
6.22. Anche, dunque, in presenza di una possibile
diversa originaria configurazione, con il tempo, e per scelta legislativa,
l’IPI ha assunto la connotazione di una struttura parallela a quella
Ministeriale (come una Agenzia tecnica del dicastero, con propri compiti
operativi ma assoggettata agli indirizzi e al controllo di un dicastero) alla
quale l’Amministrazione ha affidato attribuzioni e funzioni anche strettamente
istituzionali.
6.23. Alla luce delle considerazioni che precedono,
il d.l. n. 78 del 2010 di soppressione
dell’IPI assume una chiara valenza ricognitiva della natura pubblica che
l’Istituto aveva acquisto come si evince dai plurimi interventi legislativi di
cui si è detto.
6.24. Ed allora è tale natura ad essere ostativa
alla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato quale effetto
della declaratoria di illegittimità dei termini apposti a contratti stipulati
quando l’Istituto aveva già acquisito natura pubblica, che è questione
necessariamente preliminare rispetto ad ogni valutazione circa la deduzione del
Ministero secondo cui tale costituzione non potesse comunque essere disposta
nei suoi confronti, in quanto subentrato all’esito della soppressione.
7. Dalle considerazioni che precedono deriva che il
ricorso (nei termini sopra evidenziati) deve essere accolto e la sentenza
impugnata deve essere cassata per quanto di ragione.
8. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in
fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., respingendosi la domanda
di conversione dei rapporti di lavoro a termine in rapporti a tempo
indeterminato.
Vanno, invece, confermate le statuizioni della Corte
d’appello quanto al risarcimento del danno riconosciuto in favore degli odierni
controricorrenti (non oggetto di rilievo da parte del Ministero ricorrente).
9. La complessità e novità delle questioni trattate
costituisce giusto motivo per compensare tra le parti le spese dell’intero
processo.
10. Non sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1, quater d.P.R. n. 115
del 2002
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e,
decidendo nel merito, respinge le domande di conversione dei rapporti di lavoro
a termine in rapporti a tempo indeterminato e conferma le statuizioni della
Corte d’appello quanto al risarcimento del danno; compensa tra le parti le
spese dell’intero processo.