Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 dicembre 2020, n. 29323

Lavoro, Dirigente di azienda industriale, Indennità
supplementare, Domanda, Diritto, Licenziamento per giustificato motivo
oggettivo

 

Fatti di causa

 

1. – M.C. domandava di essere ammesso, in
prededuzione, allo stato passivo dell’amministrazione straordinaria di A.L.A.I.
s.p.a. per l’importo di euro 151.679,00: il titolo della domanda era costituito
dalla indennità supplementare prevista dall’accordo sindacale del 27 aprile
1995.

La domanda era respinta dal giudice delegato il
quale rilevava che il diritto alla detta indennità é configurabile nei soli
casi in cui il rapporto di lavoro si sia risolto per licenziamento per
giustificato motivo oggettivo; lo stesso giudice delegato osservava, inoltre,
che i crediti in prededuzione sono espressamente regolati dagli artt. 20 e 52
I. n. 570/1999, i quali conferiscono rilievo alla natura funzionale dei crediti
stessi rispetto all’esercizio dell’impresa.

2. – C. proponeva opposizione che il Tribunale di
Roma, con decreto pubblicato il 25 novembre 2015, accoglieva: era così
accertato il diritto del ricorrente ad essere inserito nello stato passivo per
l’importo sopra indicato, in prededuzione. Il Tribunale osservava che l’accordo interconfederale del 27 aprile 1995 non
esigeva che fosse data prova dello stato di disoccupazione del dirigente.
Rilevava, poi, che allorquando la società in amministrazione straordinaria
decide di non licenziare un dirigente, tutti i crediti maturati da quest’ultimo
risultano «sorti in funzione della continuità aziendale, e dunque sono da
collocarsi in prededuzione, senza che sia dato distinguere tra quelli aventi
maggiore o minore funzione retributiva, piuttosto che indennitaria». Rilevava
che, ove si fosse distinta la collocazione delle voci stipendiali in funzione
della causa, si sarebbe potuto verificare che il dipendente che avesse prestato
attività per la procedura fosse pagato solo per la quota in prededuzione,
dovendo concorrere, ed eventualmente non essere pagato, per la restante parte
con altri creditori privilegiati titolari di credito anteriori alla procedura.

3. – La pronuncia del Tribunale è stata impugnata
dall’amministrazione straordinaria con un ricorso per cassazione articolato in
otto motivi. Resiste con controricorso M.C.. Sono state depositate memorie.

 

Ragioni della decisione

 

1. – Il primo motivo oppone la nullità della
sentenza per omessa pronuncia sull’eccezione di A. relativa alla prova del
mancato passaggio in CAI del dirigente. Viene dedotto che in sede di
opposizione la ricorrente aveva eccepito la non spettanza dell’indennità in
favore del dirigente il cui rapporto di lavoro fosse continuato alle dipendenze
dell’azienda subentrante in esecuzione del piano di cessione dei beni e dei
contratti cui alla procedura di amministrazione straordinaria. Il Tribunale,
secondo l’istante, aveva però mancato di pronunciarsi su tale eccezione.

Col secondo mezzo la ricorrente denuncia la
violazione, o falsa applicazione, dell’accordo sulla risoluzione del rapporto
di lavoro nei casi di crisi aziendale del 27 aprile 1995 allegati I al CCNL dirigenti aziende industriali, nonché dell’art. 5, comma 2 ter, d.l. n. 347/2003,
convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 I. n. 39/2004. Viene
affermato che l’indennità supplementare spetta solo in caso di effettivo
licenziamento del dirigente e non può dunque trovare applicazione nel caso di
specie ove, in forza del peculiare meccanismo di cui al d.l. n. 347/2003, come risultante a seguito delle
modifiche introdotte dal d.l. n. 134/2008 e della
relativa legge di conversione, il dirigente transita alle dipendenze
dell’impresa subentrante nell’esercizio del servizio, in attuazione del
predefinito «programma di cessione dei complessi di beni contratti» e il
recesso rappresenta solo lo strumento prescelto per attuare detto passaggio. In
altri termini, secondo la ricorrente, mediante il complesso iter procedurale
previsto dalla legge, che presuppone la risoluzione del rapporto di lavoro e il
contestuale passaggio in altra azienda (la società CAI, cessionaria degli asset
della società collocate in amministrazione straordinaria) «si garantisce la
continuità del rapporto di lavoro con il dirigente, e dunque si esula
dall’ambito di applicazione dell’accordo».

1.1. – I due motivi non sono fondati.

Viene in questione la previsione del verbale di accordo del 27 aprile 1995, allegato I al
CCNL Dirigenti aziende industriali, che recita: «In presenza delle
specifiche fattispecie di ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione
ovvero crisi aziendale di cui alla legge 23 luglio
1991 n. 223, riconosciute con il decreto del Ministero del lavoro di
cui all’art. 1, comma 3, della legge 19 luglio 1994 n. 451, nonché delle
situazioni aziendali accertate dal Ministero del lavoro ai sensi dell’art. 1 della legge 19 dicembre 1984
n. 863, l’azienda che risolva il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, motivando
il proprio recesso come dovuto alle situazioni sopra indicate, erogherà al
dirigente, oltre alle spettanze di fine rapporto, una indennità supplementare
al trattamento di fine rapporto pari al corrispettivo del preavviso individuale
maturato». Precisa lo stesso accordo che tale disciplina «trova applicazione,
con pari decorrenza, anche nell’ipotesi di amministrazione straordinaria
(gestione commissariale) attuata ai sensi e con la procedura della legge 3 aprile 1979, n. 95, sempre che l’azienda
motivi il recesso con riferimento alla situazione di cui alla legge medesima».

Ora, la censura di omessa pronuncia di cui al primo
motivo non trova riscontro, dal momento che il Tribunale ha preso in esame
l’eccezione sollevata dalla ricorrente e l’ha respinta: affinché il dirigente
di azienda industriale possa beneficiare dell’indennità supplementare al
trattamento di fine rapporto contemplata nel nominato accordo sindacale – si
legge nel decreto impugnato – è necessario che la soppressione del posto di
lavoro sia la naturale e diretta conseguenza della crisi aziendale, mentre «non
[è] prevista la prova dello stato di disoccupazione del dirigente, come dedotto
dalla parte opposta». Non vale obiettare che il Tribunale, in tale ultimo
passaggio, ha fatto riferimento al generale stato di disoccupazione del
controricorrente, e non al mancato passaggio di quest’ultimo in CAI (pag. 10
del ricorso). E’ evidente, infatti, che negando, a monte, la rilevanza della
situazione occupazionale del dirigente, il Tribunale ha escluso che l’esito
della lite potesse essere influenzato dall’intervenuto trasferimento dello
stesso presso altra azienda.

La questione posta col secondo motivo – la stessa su
cui l’amministrazione straordinaria di A. ha impernato la censura di omessa
pronuncia di cui si è appena detto – è stata poi correttamente decisa dal
Tribunale.

Il Collegio intende, sul punto, dare continuità alla
giurisprudenza della Corte, secondo cui l’indennità supplementare al
trattamento di fine rapporto prevista per i dirigenti di azienda dall’accordo interconfederale del 27 aprile 1995 deve
essere riconosciuta al dipendente nel caso in cui il licenziamento sia
obiettivamente causato da ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione o
crisi aziendale, non essendo necessario che ad esso consegua una effettiva
cesura del rapporto di lavoro e che il dipendente versi, pertanto, in stato di
disoccupazione (Cass. 30 settembre 2019, n. 24355,
con cui è stata cassata la pronuncia di merito che aveva negato l’emolumento in
presenza di un licenziamento intimato da A. Servizi s.p.a., posta in
amministrazione straordinaria, seguito da riassunzione ad opera del
cessionario, quale speciale modalità di trasferimento del lavoratore ex art. 5, comma 2 ter, del d.l. n. 347
del 2003; in senso conforme, più di recente: Cass. 12 febbraio 2020, n.
3442, non massimata).

2. – Col terzo motivo il ricorrente lamenta l’omessa
pronuncia sulla eccezione di A. relativa alla non riferibilità del motivo di
licenziamento alla procedura di amministrazione straordinaria. Assume l’istante
che nella propria memoria di costituzione aveva eccepito che il licenziamento
non era stato motivato «con riferimento alla procedura», quanto piuttosto dalla
chiusura dell’azienda.

Col quarto motivo vengono dedotti la violazione o
falsa applicazione dell’accordo sulla risoluzione del rapporto di lavoro nei
casi di crisi aziendale del 27 aprile 1995, allegato
I al CCNL dirigenti aziende industriali. Rileva il ricorrente che nel verbale di accordo del 27 aprile 1995 si prevedeva
che l’indennità supplementare al trattamento di fine rapporto risultava dovuta
ove l’azienda avesse risolto il rapporto di lavoro a tempo indeterminato
motivando il proprio recesso come dovuto alle situazioni in esso indicate, tra
cui era compresa l’amministrazione straordinaria attuata ai sensi della I. n. 95/1979; osserva, al riguardo, che il
licenziamento non era stato di contro direttamente determinato dall’ammissione
alla procedura, bensì dalla autonoma determinazione del commissario di far
cessare l’attività di impresa.

Con il quinto motivo si denuncia l’omesso esame di
fatti decisivi che dimostrerebbero la prosecuzione dell’attività aziendale
successivamente all’ammissione della procedura azione straordinaria e la
riconducibilità del recesso alla determinazione del commissario avente ad
oggetto la chiusura dell’attività produttiva aziendale. Si tratta di una
censura che declina sul versante dell’art. 360, n.
5 c.p.c. la questione relativa alla motivazione del recesso dal rapporto di
lavoro da parte del commissario.

Il sesto motivo oppone la violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, dell’art. 132 c.p.c. e dell’art.
118 disp. att. c.p.c., per omissione o illogicità della motivazione in
ordine alla spettanza dell’indennità supplementare a fronte di un recesso
motivato con la cessazione dell’attività produttiva e la nullità della
sentenza, per mancanza di motivazione sul punto. I temi oggetto dei precedenti
motivi vengono qui prospettati avendo riguardo alle lacune e aporie del
percorso argomentativo che, secondo l’istante, presenterebbe la pronuncia
impugnata.

2.1. – I quattro motivi non meritano accoglimento.

Il terzo e il sesto motivo di ricorso – come detto –
prospettano il vizio di omessa pronuncia sulla questione della non riferibilità
del motivo di licenziamento alla procedura di amministrazione straordinaria e
quello di omessa o illogica motivazione sulla medesima questione. In realtà, il
Tribunale mostra di conferire rilievo dirimente, ai fini del riconoscimento del
diritto all’indennità, al fatto che la soppressione del posto di lavoro sia la
naturale diretta conseguenza della crisi aziendale (pagg. 4 s. del decreto
impugnato): in tal modo, l’eccezione dell’odierna ricorrente, fondata sulla
assenza di una motivazione del licenziamento specificamente riferita alla
procedura di amministrazione straordinaria risulta essere stata oggetto di un
assorbimento. Ora, l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia in
quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione
implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite,
la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento (Cass. 19 dicembre 2019,
n. 33764; Cass. 12 novembre 2018, n. 28995; Cass. 27 dicembre 2013, n. 28663;
cfr. pure Cass. 3 febbraio 2020, n. 2334).

L’eccezione svolta dalla ricorrente è peraltro
infondata, e tanto giustifica il rigetto del quarto e del quinto mezzo di
censura. In proposito è da osservare che questa Corte, in passato, con
riferimento all’accordo collettivo del 16 maggio 1985 (pienamente
sovrapponibile a quello del 7 aprile 1995, per quanto qui interessa) ha
osservato che la disposizione che attribuisce l’indennità prescinde dall’epoca
in cui interviene il recesso del dirigente, ma «la ricollega ad una situazione
in itinere, insorta con intenzione conservativa, il rischio del cui esito
negativo non può trasferirsi sul dirigente esclusivamente in base al dato temporale
offerto dall’epoca del recesso, pur sempre giustificato in attuazione della
pattuizione collettiva di riferimento» (Cass. 13
luglio 2005, n. 14769, in motivazione) e ha inoltre evidenziato che «il
riferimento alle situazioni specificamente previste non deve necessariamente
aver luogo con l’uso di formule sacramentali ma può sussistere nel caso in cui
la soppressione del posto di lavoro rappresenti la naturale e diretta
conseguenza della cessazione di ogni attività produttiva dovuta alla
riconosciuta crisi aziendale» (Cass. 23 settembre 2000, n. 12628, in
motivazione). Sulla stessa linea, più di recente la Corte, prendendo in esame
l’accordo collettivo del 27 aprile 1995, che ha
trovato applicazione nella presente vicenda, ha osservato che «l’indennità
supplementare al trattamento di fine rapporto ivi prevista per i dirigenti di
azienda deve essere riconosciuta al dipendente nel caso in cui il licenziamento
sia obiettivamente causato da ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione
o crisi aziendale, al di là della motivazione formalmente adottata dal datore
di lavoro» (Cass. 4 gennaio 2019, n. 86).

3. – Col settimo mezzo si deduce la violazione o
falsa applicazione dell’art.
111 I. fall., dell’art. 20
d.lgs. n. 270/1999, nonché del verbale di
accordo del 27 aprile 1995 in ordine alla affermata prededucibilità del
credito.

La ricorrente assume che l’identità supplementare
avrebbe natura di «penale forfettaria» prevista per specifiche ipotesi di
licenziamento oggettivo e non può costituire oggetto di un «credito sorto per la
gestione del patrimonio aziendale».

L’ottavo motivo censura il decreto impugnato per
violazione di legge in riferimento all’art. 111
Cost., comma 6, all’art. 132 c.p.c. e all’art. 118 disp. att. c.p.c. e nullità della
sentenza. L’istante deduce come le argomentazioni svolte, da parte del giudice
dell’opposizione, con riguardo al tema della prededuzione fossero connotate da
grave illogicità.

3.1. – I due motivi vanno disattesi alla luce del
seguente principio, affermato dalla S.C.: «L’indennità supplementare prevista
dall’accordo sulla risoluzione del rapporto di lavoro nei casi di crisi
aziendale” allegato al CCNL dei dirigenti aziendali, costituisce – a prescindere
dalla sua natura retributiva o indennitaria – un credito da ammettere al
passivo in prededuzione ex art.
111 l. fall., per i dirigenti di imprese sottoposte ad amministrazione
straordinaria che siano cessati dal rapporto di lavoro solo successivamente al
provvedimento di ammissione alla procedura, essendo la sua prosecuzione
indubitabilmente funzionale alle esigenze di continuazione dell’attività di
impresa» (Cass. 19 novembre 2018, n. 29735).

4. – In conclusione, il ricorso è respinto.

5. – Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al
pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro
200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, inserito dall’art.
1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 dicembre 2020, n. 29323
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