Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 gennaio 2021, n. 149

Domanda proposta in via subordinata, Accertamento
dell’illegittimità del licenziamento, Incompatibilità con la domanda
principale di risoluzione del rapporto per inadempimento, Rinunzia al ricorso
per cassazione, Nessuna accettazione della controparte per essere produttivo
di effetti processuali, Carattere recettizio, Regolamentazione delle spese

 

Fatti di causa

 

1. Il Tribunale di Cosenza dichiarava la nullità
della domanda proposta da M.M., avente ad oggetto differenze retributive
connesse al rapporto di lavoro svolto alle dipendenze dell’Associazione R.P.,
sull’assunto che nell’atto introduttivo non erano indicate le ore lavorative
giornaliere/settimanali di attività lavorativa svolta, e che era inammissibile
anche la domanda proposta in via subordinata, avente ad oggetto l’accertamento
dell’illegittimità del licenziamento, in quanto incompatibile con quella
principale di risoluzione del rapporto per inadempimento, non essendo stato impugnato
il licenziamento intimato nel novembre 2007.

2. Con sentenza del 30.11.2015, la Corte d’appello
di Catanzaro, in accoglimento parziale dell’appello del M. ed in parziale
riforma della pronunzia impugnata, condannava l’Associazione a pagare al lavoratore
€ 83.813,86 per il titolo di cui in motivazione, oltre accessori di legge,
dalle singole scadenze al soddisfo, nonché al versamento dei contributi
previdenziali ed assistenziali.

3. La Corte distrettuale non condivideva la
decisione del Giudice di primo grado quanto alla declaratoria di nullità della
domanda di differenze retributive, osservando, nel pervenire a differente
soluzione, che il ricorso di primo grado globalmente analizzato non denotava la
totale assenza o l’assoluta incertezza dei requisiti essenziali, in quanto il
petitum era in modo soddisfacente delimitabile anche alla luce dei documenti
allegati e delle precise richieste istruttorie avanzate dal ricorrente. In
conformità ai principi affermati dalla S. C., affermava che la mancata fissazione
di un termine perentorio da parte del giudice per la rinnovazione del ricorso o
per l’integrazione della domanda e la non tempestiva eccezione da parte del
convenuto ex art. 157 c.p.c. del vizio
dell’atto dovevano ritenersi indice dell’avvenuta sanatoria dell’eventuale
nullità del ricorso carente in relazione all’idonea specificazione dei fatti e
degli elementi di cui all’art. 414 c.p.c.

4. Quanto all’ammontare delle differenze retributive,
il giudice del gravame riteneva provata la sussistenza di un rapporto di lavoro
subordinato dal febbraio 1997, con orario full time fino al luglio 2000, con
orario part time dall’agosto 2000 e quindi nuovamente full time dal 1.3.2005 ed
identificava il livello di appartenenza del M., diverso da quello riconosciuto,
in relazione al quale determinava il quantum dovuto.

5. Con riguardo al capo di sentenza concernente
l’impugnativa di licenziamento orale, ricondotto temporalmente dal lavoratore
al marzo 2007, la Corte distrettuale osservava che ciò era contraddetto dal
dato documentale del recesso datoriale intimato con missiva del novembre 2007,
non impugnato dal lavoratore, il quale non aveva fornito la prova che il
recesso era avvenuto in epoca precedente a tale ultima data.

6. Erano poi, secondo il giudice del gravame, da
considerarsi nuovi i motivi proposti per la prima volta in appello afferenti
all’insussistenza del giustificato motivo oggettivo posto dalla datrice a
fondamento del proprio recesso.

7. Di tale decisione domanda la cassazione
l’Associazione, affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste con
controricorso il M., che propone ricorso incidentale, affidato a tre motivi.

8. L’associazione, ricorrente principale, ha
depositato, in prossimità dell’udienza, atto di rinuncia al ricorso per
cassazione, che è stato notificato alla controparte.

 

Ragioni della decisione

 

RICORSO PRINCIPALE

 

1. Con il primo motivo l’Associazione R.P. Onlus
denunzia violazione e falsa applicazione degli artt.
414 – 434 c.p.c.in combinato disposto con gli artt. 163 – 164 c.p.c.,
assumendo che non era applicabile al caso di specie la sanatoria di cui all’art. 164 c.p.c. non essendo l’individuazione del
diritto fatto valere consentita attraverso l’esame complessivo dell’atto
introduttivo.

2. Con il secondo motivo, sono dedotte violazione e
falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. in
relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. assumendo la
ricorrente che la ricostruzione fattuale sia stata impostata in maniera
unidirezionale, sulla scorta di alcune delle risultanze istruttorie,
tralasciando altri e diversi elementi anche di carattere documentale la cui
corretta valutazione avrebbe condotto ad altri risultati.

3. Con il terzo, la ricorrente si duole della
violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c.,
sostenendo che il Collegio abbia travisato i fatti nel momento in cui, a causa
di una errata o superficiale valutazione delle risultanze istruttorie, ha
ritenuto sussistente un rapporto di piena dipendenza del M. dall’Associazione
sin dall’anno 1997.

4. In relazione al ricorso principale va dichiarata
l’estinzione del processo.

4.1. La rinunzia al ricorso per cassazione non ha
carattere cosiddetto accettizio, che richiede, cioè, l’accettazione della
controparte per essere produttivo di effetti processuali (Cass. 23 dicembre
2005, n. 28675; Cass. 15 ottobre 2009, n. 21894; Cass.
5 maggio 2011, n. 9857; Cass. 26 febbraio 2015, n. 3971) ma carattere
recettizio.

4.2. L’accettazione della controparte rileva
unicamente quanto alla regolamentazione delle spese, stabilendo il secondo
comma dell’art. 391 cod. proc. civ. che, in
assenza di accettazione, la sentenza che dichiara l’estinzione può condannare
la parte che vi ha dato causa alle spese.

4.3. Il quarto comma dell’art.
391 c.p.c. prevede che, in caso di rinuncia, non è pronunciata condanna
alle spese ‘se alla rinuncia hanno aderito le altre parti personalmente, o i
loro avvocati autorizzati con mandato speciale;

4.4. Nel caso in esame, pur dovendo pervenirsi alla
declaratoria di estinzione del processo quanto al ricorso principale, deve
rilevarsi che non è intervenuta accettazione da parte del M. in persona del suo
difensore debitamente autorizzato. Inoltre, pur dandosi atto nell’atto di
rinunzia dell’esistenza di un verbale di conciliazione sindacale intervenuto
tra le parti in data 24.6.2020, tale verbale non è stato depositato.

4.5. Il tenore della pronunzia, che è di estinzione
e non di rigetto o di inammissibilità od improponibilità, esclude
l’applicabilità dell’art. 13 co. 1
quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, co. 17, I. 24 dicembre 2012,
n. 228, prevedente l’obbligo, per il ricorrente non vittorioso, di versare
una somma pari al contributo unificato già versato all’atto della proposizione
dell’impugnazione, trattandosi di norma tato sensu sanzionatoria e comunque
eccezionale ed in quanto tale di stretta interpretazione (cfr. Cass. 30
settembre 2015, n. 19560).

 

RICORSO INCIDENTALE del M.:

 

5. Con il primo motivo, il M. deduce violazione
degli artt. 2095, 2013
c.c., dell’art. 37 CCNL UNEBA
in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., nonché
omessa motivazione, per avere la Corte distrettuale ritenuto erroneamente che
non era stata raggiunta la prova in ordine alla qualifica di direttore di unità
operativa, corrispondente al primo livello o quanto meno al terzo super, anche
sulla base delle risultanze documentali.

6. Con il secondo motivo, denunzia violazione e falsa
applicazione degli artt. 2697 c.c. e 2 e 5 della legge 604/1966,
assumendo che la Corte non ha esaminato le prove documentali prodotte nel
fascicolo di parte e non disconosciute, con le quali esso M. aveva formulato,
in diverse date, offerta scritta di lavoro, e specificamente il 2.4.2007 ed il
7.4.2007, proprio in virtù del licenziamento orale del legale rappresentante
dell’Associazione. Adduce che la Corte non abbia valutato la missiva presentata
in data 12.4.2007 dal legale rappresentante alla Commissione Provinciale del
Lavoro avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento.

6.1. Osserva, poi, che i giudici del gravame hanno
violato l’art. 2697 c.c. in tema di riparto
dell’onere della prova relativamente all’impugnativa di licenziamento adottato
senza comunicazione scritta, essendo a carico del datore la prova concernente
il requisito della forma scritta del licenziamento per essere il lavoratore
gravato unicamente di quella della cessazione del rapporto. Sostiene che la
Corte abbia in tale modo onerato il lavoratore di una prova diabolica.

7. Con il terzo motivo, lamenta violazione e falsa
applicazione dell’art. 354, co. 2, c.p.c., in
relazione all’individuazione di motivi nuovi relativamente alle deduzioni
concernenti l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo posto dalla
datrice a fondamento del proprio recesso. Adduce che l’onere della prova
gravante sull’imprenditore riguarda sia l’effettività delle ragioni poste a
fondamento del licenziamento, sia l’impossibilità di impiego del dipendente
licenziato nell’ambito dell’organizzazione aziendale.

8. Il ricorso incidentale è da respingere.

9. Quanto al primo motivo, è sufficiente, in primo
luogo, evidenziare l’omesso deposito del c.c.n.I. di riferimento, di cui,
peraltro, non è indicata neanche la sede idonea al suo eventuale reperimento
nell’ambito delle produzioni delle parti relative ai gradi di giudizio di
merito, ciò che si riflette in termini di inammissibilità del motivo;

9.1. Va invero ribadito il principio, reiteratamente
affermato da questa Corte, secondo cui l’onere del ricorrente di produrre, a
pena di improcedibilità del ricorso, «gli atti processuali, i documenti, i
contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda» è soddisfatto,
sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli
atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la
produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e
ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della
richiesta di trasmissione presentata alla cancelleria del giudice che ha
pronunciato la sentenza impugnata, munita di visto ai sensi dell’art. 369, ferma, in ogni caso, l’esigenza di
specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art.
366, n. 6, c.p.c., degli atti, dei documenti e dei dati necessari al
reperimento degli stessi (cfr. tra le più recenti Cass. nn. 195 del 2016, 21554 del 2017, 28893 del 2019; 31396 del 2019).

10. In ordine al secondo motivo, va rilevato che le
prove documentali – che avrebbero avuto, secondo il M., una valenza
significativa ai fini della prova del recesso datoriale -, oltre a non essere
trascritte, non vengono indicate con riferimento alla sede del relativo
deposito e ciò contravviene ai principi in tema di specificità.

11. In relazione alle censure relative agli oneri
probatori gravanti sulle parti in tema di licenziamento orale, la prova a
carico del lavoratore che il rapporto si è concluso per volontà del datore è
affermata da Cass. 31501/2018 e da ultimo, con esaustiva ricognizione del tema,
da Cass. 16.5.2019 n. 13195 e Cass. 8.2.2019 n. 3822.

11.1. E’ stato evidenziato come “la mera
cessazione definitiva nell’esecuzione delle prestazioni derivanti dal rapporto
di lavoro non è di per sé sola idonea a fornire la prova del licenziamento,
trattandosi di circostanza di fatto di significato polivalente, in quanto può
costituire l’effetto sia di un licenziamento, sia di dimissioni, sia di una
risoluzione consensuale. Tale cessazione non equivale a
“estromissione”, parola sovente utilizzata nei precedenti citati ma
che non ha un immediato riscontro nel diritto positivo per cui alla stessa va
attribuito un significato normativo, sussumendola nella nozione giuridica di
“licenziamento”, e quindi nel senso di allontanamento dall’attività
lavorativa quale effetto di una volontà datoriale di esercitare il potere di
recesso e risolvere il rapporto. L’accertata cessazione nell’esecuzione delle
prestazioni può solo costituire circostanza fattuale in relazione alla quale,
unitamente ad altri elementi, il giudice del merito possa radicare il
convincimento, adeguatamente motivato, che il lavoratore abbia assolto l’onere
probatorio sul medesimo gravante circa l’intervenuta risoluzione del rapporto
di lavoro ad iniziativa datoriale” (cfr. in tali termini Cass. 13195/2019).

11.2. L’onere probatorio del convenuto in ordine
alle eccezioni da lui proposte sorge in concreto solo quando l’attore abbia a
sua volta fornito la prova dei fatti posti a fondamento della domanda, sicché
l’insufficienza (o anche la mancanza) della prova sulle circostanze dedotte dal
convenuto a confutazione dell’avversa pretesa non vale a dispensare la
controparte dall’onere di dimostrare adeguatamente la fondatezza nel merito
della pretesa stessa (cfr. Cass. 13195 cit.,
con richiamo a Cass. n. 1522 del 1983; Cass. n. 3148 del 1985; Cass. n. 3099
del 1987; Cass. n. 2680 del 1993; Cass. n. 5192 del 1998; Cass. n. 8164 del
2000; Cass. n. 3642 del 2004; Cass. n. 13390 del 2007). Ciò senza considerare
che nel caso di specie il datore aveva provato di avere intimato il
licenziamento con missiva del novembre 2007 e che aveva negato l’esistenza
stessa di una precedente cessazione del rapporto di lavoro.

12. Anche le doglianze contenute nel terzo motivo
vanno disattese, ove si consideri che le stesse si pongono su un piano diverso
rispetto a quello del decisum, in quanto la Corte distrettuale ha affermato che
non solo era riscontrabile il difetto di apposita impugnativa del licenziamento
del novembre 2007, ma mancava nel ricorso introduttivo ogni contestazione in
ordine alle ragioni addotte da parte datoriale a giustificazione dello stesso,
oltre ad una richiesta di declaratoria di invalidità del medesimo, onde le
deduzioni svolte erano da considerarsi nuove.

12.1. Era onere del ricorrente incidentale
trascrivere, per le parti di rilievo, le deduzioni, tempestivamente formulate,
concernenti l’insussistenza del g.m.o. al fine di confutare il rilievo del
carattere di novità delle stesse effettuato dalla Corte distrettuale.

13. Le spese del presente giudizio di legittimità possono
essere compensate in ragione della reciproca soccombenza.

14. Sussistono per il ricorrente incidentale le
condizioni di cui all’art. 13,
comma 1 quater, d.P.R. 115 del 2002.

 

P.Q.M.

 

Dichiara estinto il processo relativamente alle
domande proposte con il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale e
compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13,
comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale,
a norma dell’art. 13, comma 1-bis,
del citato D.P.R., ove dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 gennaio 2021, n. 149
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