Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 gennaio 2021, n. 553

Licenziamento disciplinare, Responsabilità per aver proferito
frasi offensive e minacciose nei confronti dell’amministratore giudiziario
della società, Pubblico ufficiale, Piena prova di quanto avvenuto in presenza
del medesimo

 

Fatti di causa

 

Con sentenza del 15 febbraio 2018, la Corte
d’Appello di Bari, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Bari,
rigettava la domanda proposta da M.C. nei confronti della C. 55 S.r.l. in amministrazione
giudiziaria, avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del
licenziamento disciplinare intimato alla C. per essersi resa responsabile di
aver proferito frasi offensive e minacciose nei confronti dell’amministratore
giudiziario della Società.

La decisione della Corte territoriale discende
dall’aver questa ritenuto che la relazione sui fatti redatta
dall’amministratore giudiziario, provenendo da pubblico ufficiale fa piena
prova di quanto avvenuto in presenza del medesimo, restando irrilevante
l’assenza di terzietà rispetto alla Società rappresentata e dunque provata per
questa via, come sulla base dell’espletata prova testimoniale, la mancanza
addebitata e la sua gravità e proporzionata la sanzione irrogata.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la C.,
affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, la
C. 55 S.r.l. in liquidazione.

Il Pubblico Ministero faceva pervenire la sua
requisitoria, ivi concludendo per il rigetto del ricorso Entrambe le parti
hanno poi presentato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

Con il primo motivo, la ricorrente, nel denunciare
la violazione e falsa applicazione degli artt. 2700
c.c., 35 e 36 d.lgs. n.
159/2011 e 116 c.p.c., lamenta la non
conformità a diritto della qualificazione operata dalla Corte territoriale
della relazione sui fatti redatta dall’amministratore giudiziario come facente
fede privilegiata, dovendosi escludere, in relazione alle funzioni espletate
nella specie dall’amministratore giudiziario, la qualifica di pubblico
ufficiale e , conseguentemente la rilevanza probatoria degli atti relativi.

Con il secondo motivo, denunciando la violazione e
falsa applicazione dell’art. 2700 c.c., la
ricorrente ribadisce la censura relativa alla riconosciuta rilevanza probatoria
della relazione redatta dall’amministratore giudiziario, contestandola sotto il
profilo oggettivo, essendo stata attribuita fede privilegiata alle
dichiarazioni delle parti come le manifestazioni di scienza e di opinione.

Nel terzo motivo la violazione e falsa applicazione
degli artt. 116 c.p.c.e 2700 c.c. è prospettata in relazione alla
contraddittorietà del contenuto della relazione dell’amministratore giudiziario
con riguardo a parti della stessa facenti entrambe fede privilegiata. Con il
quarto motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione
dell’art. 116 c.p.c., la ricorrente lamenta a
carico della Corte territoriale l’aver dato rilievo alla prova testimoniale,
nonostante l’abbia qualificata ultronea rispetto all’atto qualificato come facente
fede privilegiata.

Con il quinto motivo la ricorrente deduce la nullità
della sentenza per non aver la Corte territoriale motivato il convincimento
desunto dalla valutazione della prova.

Il sesto motivo è inteso a denunciare il vizio di
omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio con riferimento all’aver la
Corte territoriale ritenuto l’attendibilità di dichiarazioni testimoniali
nonostante l’essere le stesse contrastanti con quelle rese dallo stesso teste
nel verbale redatto dall’amministratore giudiziario.

Il medesimo vizio di omesso esame di un fatto
decisivo per il giudizio è dedotto nel settimo motivo in relazione all’aver la
Corte territoriale limitato la propria valutazione alla condotta addebitata in
sé senza relazione alcuna alle ragioni ed, in particolare, all’illegittimo
provvedimento datoriale di collocamento forzoso in ferie che la stessa avevano
determinato.

Con l’ottavo motivo la ricorrente deduce la nullità
della sentenza per non essere motivata con riferimento alla valenza esimente
del comportamento inadempiente dell’amministratore giudiziario, profilo
illegittimamente trascurato.

A riguardo è a dirsi come, al di là della sua
articolazione su descritti otto motivi, l’impugnazione possa essere globalmente
valutata e ritenuta inammissibile in quanto inidonea a contrastare
efficacemente la ratio decidendi della pronunzia resa dalla Corte territoriale,
per essersi questa espressa nel senso della legittimità del recesso intimato
alla ricorrente, non in considerazione della peculiare efficacia probatoria
riconosciuta alle dichiarazioni del soggetto che quell’atto aveva posto in
essere, a motivo della fede privilegiata che stante il ruolo di amministratore
giudiziario da quel soggetto rivestito, sarebbe stata riconosciuta alle
predette dichiarazioni con riguardo ad atti viceversa compiuti quale mero
datore di lavoro, bensì sulla base del rilievo, qui non fatto oggetto di
specifica impugnazione, per cui “anche gli esiti dell’istruttoria orale
confermano l’episodio nei suoi contenuti essenziali e, comunque, in tutta la
sua gravità”, rilievo che riflette quanto emerge dalla sentenza impugnata
in ordine all’accertamento, sulla base di un puntuale e logicamente
inappuntabile analisi della prova testimoniale, dei fatti nella loro
materialità ed alla valutazione della loro rilevanza, da ritenersi ampia e
corretta anche sotto il profilo della comparazione tra la valenza del
comportamento inadempiente addebitabile alla lavoratrice ricorrente,
ragionevolmente apprezzata in termini di incompatibilità con la prosecuzione
del rapporto, ed efficacia esimente dell’illegittimità in cui sarebbe incorsa
la Società datrice nella persona dell’amministratore giudiziario, che
altrettanto ragionevolmente è stata ritenuta tale da non legittimare la
spropositata reazione verbale cui si è lasciata andare la ricorrente.

Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate
come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte
ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che
liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.250,00 per compensi, oltre spese
generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, se
dovuto.

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