Nel caso di prassi incaute che determino un infortunio sul lavoro, il datore di lavoro è responsabile solo laddove abbia conoscenza o conoscibilità delle suddette prassi.
Nota a Cass. 23 dicembre 2020, n. 36778
Kevin Puntillo
“Non può essere ascritta al datore di lavoro la responsabilità di un evento lesivo o letale per culpa in vigilando qualora non venga raggiunta la certezza della conoscenza o della conoscibilità, da parte sua, di prassi incaute, neppure sul piano inferenziale (ossia sulla base di una finalizzazione di tali prassi a una maggiore produttività), dalle quali sia scaturito l’evento”.
Questo, il principio ribadito dalla Corte di Cassazione (23 dicembre 2020, n. 36778, difforme da App. Bologna 5 marzo 2019; v. anche Cass. n. 20833/2019) in relazione all’infortunio mortale occorso ad un lavoratore addetto al quadro comandi di un macchinario per la cesoiatura – punzonatura di fogli metallici, il quale, essendosi inceppato il meccanismo della macchina, si era introdotto in un’area pericolosa attraverso un cancelletto realizzato abusivamente anziché attraverso l’apposito varco protetto (munito di fotocellule che avrebbero bloccato il funzionamento della macchina) e, tentando di sbloccare la macchina tramite la rimozione del materiale che l’aveva bloccata, era rimasto travolto dal carrello di alimentazione ripartito nel frattempo. La predisposizione di tale cancelletto veniva imputata al datore di lavoro ritenuto responsabile per omissione delle misure di prevenzione previste dalla legge allo scopo di eseguire i lavori in modo più rapido e meno costoso.
In realtà, rileva la Cassazione, “nulla risulta accertato in ordine a chi avrebbe disposto o eseguito il varco. Nulla risulta accertato, inoltre, a proposito del fatto che vi fosse una prassi illegittima all’interno dello stabilimento, costituita dall’utilizzo più o meno ricorrente di tale accesso per entrare nell’area pericolosa” ove il dipendente aveva subito l’infortunio mortale. Né “è stata argomentata nella sentenza impugnata la prova dell’esistenza di una prassi in tal senso; ma, quand’anche tale prova fosse emersa in giudizio, sarebbe stato comunque necessario accertare ulteriormente – quanto meno in via logica, e non certo sulla sola base dell’astratta posizione di garanzia – che il datore di lavoro fosse, o dovesse necessariamente essere, a conoscenza della prassi incauta”. Inoltre, nel corso del giudizio d’appello, il perito d’ufficio aveva escluso esplicitamente che lo scopo del cancelletto fosse quello di mantenere la continuità del ciclo produttivo, affermando al contrario che esso serviva a far “risparmiare fatica ai lavoratori”.
Rimane pertanto valido il principio già espresso dalla giurisprudenza di legittimità, in base al quale, “in tema di infortuni sul lavoro, in presenza di una prassi dei lavoratori elusiva delle prescrizioni volte alla tutela della sicurezza, non è ravvisabile la colpa del datore di lavoro, sotto il profilo dell’esigibilità del comportamento dovuto omesso, ove non vi sia prova della sua conoscenza, o della sua colpevole ignoranza, di tale prassi” (Così, Cass. n. 32507/2019).