Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 gennaio 2021, n. 434

Demansionamento, Mansioni affidate non equivalenti a quelle
concordate all’atto dell’assunzione, Comportamento mobbizzante, Danno
finalizzato a indurre il lavoratore a risolvere il rapporto di lavoro,
Lavoratore costretto a godere di ferie e permessi, Successivo collocamento in
cassa integrazione guadagni, Pluralità di compiti assegnati che ne avrebbero
arricchito la professionalità, Continue modifiche e conseguente dispersione
della professionalità

 

Rilevato che

 

1. R.B. convenne in giudizio la A.B.S. s.p.a. per
ottenere l’accertamento dell’avvenuta violazione dell’art. 2103 cod.civ. e del demansionamento subito
configurante, per le modalità con le quali era stato attuato, un comportamento
mobbizzante in suo danno finalizzato ad indurlo a risolvere il rapporto di
lavoro. Dedusse inoltre di essere stato costretto a godere di ferie e permessi
e quindi di essere stato collocato in cassa integrazione guadagni.

Chiese perciò che, accertato quanto sopra, la
società fosse condannata a reintegrarlo nelle mansioni di controller ed a
risarcire il danno patrimoniale e non patrimoniale sofferto.

2. Il Tribunale di Udine accolse in parte le domande
ed accertò che le mansioni assegnate al lavoratore, eccezion fatta per il
periodo luglio 2003 ottobre 2004, non erano adeguate rispetto a quelle per le
quali era stato assunto. Ritenne accertato l’impoverimento della capacità
professionale del B. e che questi ne avesse riportato un danno alla sua
immagine professionale che ritenne dimostrato in via presuntiva. Accertò che il
comportamento datoriale doveva essere considerato mobbizzante a partire dal
2009 ed, infine, che il collocamento in cassa integrazione era illegittimo.

3. La Corte di appello di Trieste, investita del
gravame da entrambe le parti, ha accolto in parte il ricorso di R.B. e,
confermata nel resto la sentenza del Tribunale, ha condannato la società a
pagare al B., a titolo risarcitorio ed in relazione al demansionamento sofferto
la somma di € 187.862,50 oltre che la somma di € 36.280,00 a titolo di danno
non patrimoniale, con rivalutazione monetaria ed interessi legali.

3.1. Il giudice di secondo grado, per quanto qui
ancora interessa, ha ritenuto che il datore di lavoro avesse esercitato in
maniera non corretta lo ius variandi, assegnando il lavoratore a mansioni
dequalificanti rispetto a quelle rivestite nel 2003-2004 ed a quelle riportate
nella lettera di assunzione, e perciò fosse incorso nella denunciata violazione
dell’art. 2103 cod. civ.. Ha rilevato infatti
che il B. era stato assunto il 1.7.2000 per svolgere le mansioni di
Responsabile Controllo di Gestione e che tali mansioni non gli erano state mai
attribuite.

3.2. Ha verificato poi che le mansioni affidate al
lavoratore non erano affatto equivalenti a quelle concordate all’atto
dell’assunzione. Tali non erano neppure quelle di redazione della reportistica
gestionale, della quale venne incaricato nell’aprile 2003, trattandosi solo di
una delle attività istituzionalmente assegnate sulla base del contratto
collettivo al responsabile del controllo di gestione. Con riguardo all’incarico
di responsabile amministrativo, rivestito nel periodo fino al giugno luglio
2003, il giudice di appello ha accertato che si trattava di incarico per il
quale il B. non aveva alcuna competenza specifica e che gli fu affidato per un
periodo breve, senza che gli fosse offerta alcuna formazione, così che non si
poteva ritenere che nello svolgimento di tali mansioni avesse sviluppato una
nuova professionalità. Quanto all’incarico di responsabile finanziario,
rivestito dal 2004, poi, la Corte di merito ha rilevato, ancora una volta, una
non congruenza con le competenze proprie del lavoratore e l’assenza di
strumenti di formazione evidenziando che, peraltro, non era stato posto in
condizione di svolgere a pieno il suo ruolo che era rimasto contenuto ad alcuni
limitati compiti. In ultimo ha escluso che all’incarico affidatogli nel 2011,
di responsabile dell’analisi dati e statistiche della struttura aziendale
ingegneria e processo, fosse corrisposta una reale attività di analisi dei dati
tecnici o economici. Ha accertato infatti che l’attività era limitata ad una
mera raccolta di dati effettuata sulla base di una modulistica già esistente e
sperimentata.

3.3. Nell’accogliere il ricorso proposto dal B.,
poi, la Corte ha ritenuto che anche l’attribuzione delle mansioni di
responsabile amministrativo, non coerente con la professionalità del B.,
dovesse essere considerata dequalificante. Tuttavia ha ritenuto che non vi
fosse prova di uno specifico danno sofferto nel breve periodo di destinazione a
tali mansioni.

3.4. Quanto al danno complessivamente sofferto con
riferimento all’intero periodo, e non frammentariamente alle singole fasi, la
Corte ha ritenuto inadeguata la misura del 20% quantificata dal Tribunale ed ha
ricalcolato la percentuale nel 50% da calcolare con riguardo alla media delle
retribuzioni percepite (tra inizio e fine rapporto) e così ha proceduto al
ricalcolo degli importi da riconoscere.

4. Per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso la A.B.S. s.p.a. (ABS s.p.a.) affidato a tre motivi ed ulteriormente
illustrato da memoria al quale ha resistito con controricorso R.B..

 

Considerato che

 

5. Preliminarmente, in relazione all’eccezione
formulata dal controricorrente, va rilevato che il ricorso è procedibile. In
atti è depositata la copia della sentenza impugnata recante la notifica alla
società ricorrente.

6. Il primo motivo di ricorso, con il quale è
denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art.
2103 cod.civ. per avere la Corte territoriale, e prima ancora il Tribunale
erroneamente ritenuto che il datore di lavoro avesse applicato lo ius variandi in
maniera non corretta, non può essere accolto.

6.1. La Corte territoriale nel ricostruire le
mansioni svolte dal ricorrente nel corso del rapporto ha verificato, con
accertamento di fatto aderente alle risultanze dell’istruttoria, che nel corso
delle numerose modifiche delle mansioni assegnate al B., questi, assunto come
quadro di settimo livello e con mansioni di responsabile di controllo di
gestione, non aveva mai potuto mettere in pratica la sua specifica competenza e
si era dovuto confrontare con compiti disparati estranei alla sua
professionalità e rispetto ai quali non gli era stata mai offerta una specifica
formazione.

6.2. In sostanza la Corte di appello, proprio
tenendo conto della possibilità che il lavoratore si sia potuto giovare della
pluralità di compiti assegnati conseguendone un arricchimento della sua
professionalità, ha invece accertato che alle continue modifiche era conseguita
invece una dispersione della sua professionalità specifica mai realmente messa
a frutto. Un depauperamento delle sue competenze espressione del sostanziale
demansionamento attuato in suo danno.

6.3. Tale valutazione, aderente alle risultanze
processuali, tiene conto del complessivo sviluppo del rapporto sin dalla sua
costituzione, si sintetizza nella conferma dell’allegata dequalificazione
progressiva subita dal lavoratore attraverso un giudizio di fatto che non
incorre nella violazione di legge denunciata e si realizza attraverso una
plausibile, e perciò incensurabile in questa sede, ricostruzione dei fatti
allegati e provati in giudizio. Quando il lavoratore allega un demansionamento
riconducibile ad un inesatto adempimento dell’obbligo gravante sul datore di
lavoro ai sensi dell’art. 2103 c.c., è su
quest’ultimo che incombe l’onere di provare l’esatto adempimento del suo
obbligo, o attraverso la prova della mancanza in concreto del demansionamento,
ovvero attraverso la prova che fosse giustificato dal legittimo esercizio dei
poteri imprenditoriali (cfr. Cass. 19/10/2018 n.
26477 e 03/03/2016 n. 4211)

7. Anche il secondo motivo
di ricorso, con il quale è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 cod.civ. per essere stato duplicato e
sovrapposto il danno patrimoniale riconosciuto senza che ne fosse stata offerta
una specifica prova e senza puntuali allegazioni, non può trovare accoglimento.

7.1. Dalla lettura della sentenza si evince che con
la domanda introduttiva era stato chiesto sia il danno patrimoniale che il
danno non patrimoniale quale conseguenza del demansionamento e del mobbing
denunciato.

La Corte territoriale riconosce al ricorrente un
danno alla professionalità che rientra nell’ambito della domanda formulata in
giudizio e lo liquida, come ben può, utilizzando una valutazione equitativa.

7.2. Va rammentato allora che in tema di
dequalificazione professionale, il giudice del merito, con apprezzamento di
fatto incensurabile in cassazione se, come nella specie, adeguatamente
motivato, può desumere l’esistenza del relativo danno – avente natura
patrimoniale e il cui onere di allegazione incombe sul lavoratore – e
determinarne l’entità, anche in via equitativa, con processo logicogiuridico
attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi
di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa
pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento,
all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso
concreto (cfr. Cass. 23/07/2019 n. 19923).

8. Il terzo motivo di ricorso, con il quale è
denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art.
2087 c.c. e degli artt. 1, 2, 3, 4, 35 e 41 Cost., è inammissibile.

8.1. La Corte territoriale qualificando i fatti
quali sono emersi nel corso del giudizio ha ritenuto che il ricorrente avesse
diritto a veder risarcito il danno conseguente all’accertato demansionamento.
Non rileva che il consulente abbia qualificato il comportamento datoriale come
mobbing e che tale qualificazione fosse o meno corretta atteso che la
qualificazione giuridica della fattispecie appartiene al giudice che
nell’avvalersi di un ausiliare gli demanda la sola risoluzione di questioni di
fatto che presuppongano cognizioni di ordine tecnico e non giuridico (cfr.in
motivazione Cass. 22/01/2016 n. 1186 e Cass.
04/02/1999 n. 996).

9. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e
le spese seguono la soccombenza e, distratte in favore dell’avvocato che se ne
è dichiarato anticipatario, sono liquidate nella misura indicata in
dispositivo. Ai sensi dell’art. 13
comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato
per il ricorso a norma dell’art. 13
comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità che si liquidano in € 6.500,00 per compensi
professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli
accessori dovuti per legge. Spese da distrarsi.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R.,
se dovuto.

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