Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 gennaio 2021, n. 1401

Utili ed incrementi per l’attività prestata nell’ambito della
impresa familiare, Quota calcolata, depurata dell’incremento di valore degli
immobili in proprietà del coniuge, conferiti all’impresa familiare, Corretta
determinazione del parametro legale, Quantità e qualità del lavoro svolto dal
familiare-collaboratore

 

Rilevato che

 

1. la Corte di appello di Trieste, in parziale
riforma delle sentenze non definitiva e definitiva di primo grado,
rideterminata in € 290.000,00, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria
dalla domanda giudiziale al saldo, la somma dovuta a V.G., originario
ricorrente, a titolo di utili ed incrementi per l’attività prestata nell’ambito
della impresa familiare costituita con la 
moglie P.P., ha condannato in solido P.P. e la Società Agricola P.P.
s.r.l. al relativo pagamento;

2. il giudice di secondo grado, pur confermando che
la misura della partecipazione del G. alla impresa familiare era pari al 60%,
ha ritenuto che la relativa quota dovesse essere calcolata depurata
dell’incremento di valore degli immobili in proprietà della moglie e da questa
conferiti all’impresa familiare; tale incremento non era, infatti, strettamente
connesso all’apporto concreto dei partecipanti all’impresa familiare ma era
scaturito dall’aumento di valore di mercato degli immobili determinato dal
passaggio di valuta dalla lira all’euro nel periodo 2001/2002, secondo quanto
accertato dal consulente tecnico di ufficio;

3. per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso V.G. sulla base di cinque motivi; le parti intimate hanno resistito
ciascuna con tempestivo controricorso;

4. V. G. e Società Agricola P. P. s.r.l. (ora
denominata DDM s.r.I.) hanno depositato memoria;

5. P. P. ha depositato dichiarazione sostitutiva di
atto di notorietà in data 1 settembre 2020 con la quale, premesso il decesso
del proprio procuratore, Avv. L.G., avvenuto in data 19 agosto 2020, ha
dichiarato di non voler nominare un nuovo difensore e chiesto che la causa
fosse posta in decisione senza ulteriori rinvii;

 

Considerato che

 

1. preliminarmente si rileva che alla luce della
dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà con la quale P. P. ha dichiarato
di non voler procedere alla nomina di un nuovo difensore in sostituzione del
precedente, deceduto nelle more, e chiesto che la causa venisse decisa senza
ulteriore rinvio, non sussistono i presupposti per il differimento ad altra
udienza della trattazione del presente ricorso (Cass. n. 7751/2020), in astratto
giustificabile solo dalla necessità di consentire la nomina di un nuovo
difensore (Cass. Sez. Un. n. 477/2006), facoltà
alla quale la interessata ha espressamente dichiarato di rinunziare;

2. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente,
deducendo violazione e falsa applicazione degli artt.
416, 420, 421
e 437 cod. proc, civ., censura la sentenza
impugnata per avere disposto la rinnovazione della consulenza contabile di
primo grado con ampliamento della indagine peritale a circostanze di fatto non
tempestivamente dedotte da controparte; in particolare si duole che nel
conferimento dell’incarico peritale la Corte di merito, nel richiedere la
determinazione del valore degli utili, degli incrementi, degli acquisiti e
dell’avviamento dell’impresa familiare a suo tempo in essere fra il G. e la P.,
avesse chiesto lo scorporo dei dati riferiti all’incremento di valore di
mercato dei beni immobili dell’impresa, quali desumibili dagli elementi ed atti
di causa e dalle evidenze reperibili presso i pubblici uffici fiscali, dai
registri immobiliari, catastali e tavolari; sostiene l’inammissibilità di tale
scorporo in quanto, come evidenziato nella memoria di costituzione in appello,
la circostanza della positiva dinamica dei prezzi riferiti agli immobili non
era stata oggetto di tempestiva allegazione in primo grado, di talché rispetto
ad essa, come chiarito dal Cass. n. 8282/2005, non era esercitabile alcun
potere istruttorio di ufficio così come doveva ritenersi inammissibile la
produzione di documenti quali indici e tabelle relative ai valori immobiliari.
Tale carenza non poteva essere superata, come aveva mostrato, invece, di
ritenere la Corte di merito, dalle contestazioni formulate nella consulenza di
parte dei convenuti;

3. con il secondo motivo di ricorso, deducendo
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115-
416 cod. proc. civ., censura la sentenza
impugnata in quanto fondata su una circostanza di fatto (dinamica positiva dei
valori immobiliari determinata dall’entrata in vigore dell’euro) non allegata
dalla parte resistente in primo grado; a fronte dell’allegazione del ricorso
introduttivo che i beni acquistati dalla P. per l’esercizio dell’impresa
familiare erano costituiti da terreni vitati, privi di fatto di capacità
produttiva, e da immobili in cattivo stato di conservazione, i quali grazie al
lavoro del G. avevano aumentato il loro valore, la P., infatti, si era limitata
a contestare la qualità e quantità del lavoro svolto dal G. e la stima dallo
stesso effettuata del valore degli immobili, senza contestare che l’incremento
di valore fosse stato determinato dagli interventi di ristrutturazione e
ammodernamento nonché dal reimpianto di viti, come allegato dal G.; da tanto
scaturiva, ai sensi dell’art. 115 cod. proc. civ.,
che il fatto che l’incremento di valore dei cespiti aziendali fosse dovuto
all’attività dell’impresa familiare, dovesse ritenersi pacifico; la sentenza
del giudice d’appello era errata perché aveva tenuto conto di una circostanza
rispetto alla cui allegazione la P. era decaduta;

4. con il terzo motivo di ricorso, deducendo
violazione e falsa applicazione dell’art. 230 bis
cod. civ., censura la sentenza impugnata per avere escluso dagli incrementi
cui partecipa il familiare il maggior valore degli immobili determinato
dall’entrata in vigore dell’euro; sostiene che in tal modo era stato introdotto
un criterio di distinzione fra le varie tipologie di incrementi estraneo al
disposto dell’art. 230 bis cod. proc. civ.; ciò
anche luce dell’interpretazione costituzionalmente orientata della previsione e
del fatto che sul familiare che partecipa alla comunione grava comunque il
rischio di impresa;

5. con il quarto motivo di ricorso deduce omesso
esame di due fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le
parti; premette che la consulenza di secondo grado aveva erroneamente
scomputato dal valore complessivo dei cespiti immobiliari, determinato nella
ctu redatta in primo grado in € 1.847.310,00, il valore di € 265.768, 72,
relativo a fabbricati acquistati nel 1998, stimato all’anno 2009; tale
detrazione, secondo quanto già evidenziato dal consulente di parte, era errata
in quanto i cespiti in questione erano stati ceduti dalla P. nell’anno 2000, e
quindi si trattava di beni non in possesso dell’azienda al suo scioglimento. Né
valeva assumere che il ricavato della vendita era stato reinvestito in quanto
si era omesso di considerare che tale reinvestimento, avvenuto per finanziare
l’acquisto di altri cespiti immobiliari, aveva comportato la detrazione del
valore dei cespiti acquistati con tale finanziamento perché di proprietà
esclusiva dell’imprenditore;

6. con il quinto motivo di ricorso deduce omesso
esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti; la ctu di
secondo grado era errata laddove aveva detratto dal valore complessivo dei
cespiti immobiliari il debito residuo contratto per l’acquisto degli  stessi mediante mutui che, con riferimento
all’anno 2009, ammontavano ad € 195.309,00; la Corte territoriale non aveva
considerato che il prezzo di acquisto degli immobili era stato, in realtà
oggetto di duplice scorporazione in quanto era stato inserito il debito  residuo contratto per pagare il prezzo di
acquisto dei cespiti già a sua volta detratto ab origine;

7. il primo motivo di ricorso è infondato;

7.1 9 il giudice di appello ha respinto la eccezione
di novum, formulata dall’odierno ricorrente in relazione alla questione
dell’incremento di valore degli immobili destinati all’esercizio dell’impresa
familiare per effetto di circostanze estranee all’apporto del G., osservando
che <<le notazioni in oggetto>> erano state già formulate nelle
note autorizzate per l’udienza del 19.1.2015 e cioè in sede di critica alla ctp
di primo grado. Tanto premesso la contestazione relativa al criterio di
determinazione dell’incremento spettante al partecipante alla impresa familiare
costituisce questione di diritto che si colloca all’interno del thema
decidendum quale delineato dalla domanda di primo grado formulata dall’odierno
ricorrente; la richiesta relativa alla quota di partecipazione all’impresa
familiare e quindi anche ai relativi incrementi postula, infatti, quale prius
logico giuridico, che venga definita in primo luogo ed in linea astratta la
nozione di incremento riconoscibile al partecipante all’atto della risoluzione
del rapporto con l’impresa familiare; la relativa definizione pone quindi una
quaestio iuris che attiene alla corretta determinazione del parametro legale al
quale commisurare il diritto del partecipante e si sottrae, pertanto, ai
rilievi in punto di violazione del divieto di novum formulati dal ricorrente;

7.2. in ordine poi alla prospettata violazione del
divieto di novum formulata avuto riguardo all’acquisizione documentale di
secondo grado riferita all’incremento degli immobili per effetto del cambio di
valuta, la questione risulta assorbita per la ininfluenza concreta di tale
documentazione alle luce delle ragioni di accoglimento del terzo motivo di
ricorso;

8. il terzo motivo di ricorso è fondato ed il
relativo accoglimento assorbe l’esame degli ulteriori motivi;

8.1. come è noto, con la introduzione dell’istituto
della impresa familiare, significativamente inserito nell’ambito della cd.
Riforma del diritto di famiglia di cui alla I. n.
151 /1975 , il Legislatore ha inteso dare attuazione ad interessi di rilievo
costituzionale in relazione al principio di solidarietà nell’ambito familiare,
alla valorizzazione del lavoro femminile, al superamento della presunzione di
gratuità delle prestazioni rese dal familiare, approntando una disciplina
suppletiva di carattere residuale in quanto diretta ad apprestare una tutela
«minima ed inderogabile» ai rapporti lavorativi che si svolgono negli aggregati
familiari;

8.2. secondo i condivisibili approdi ai quali è
pervenuta la giurisprudenza di questa Corte l’impresa disciplinata dall’art. 230 bis cod. civ. costituisce un tipico
istituto familiare, che non incide sulla titolarità dell’impresa e
sull’esercizio dei relativi poteri; in conseguenza hanno un rilievo meramente
interno, sia i diritti amministrativi (di partecipazione alla vita
dell’impresa) sia i diritti patrimoniali, ricondotti alla struttura del
credito, dei familiari partecipanti che prestino la propria attività
nell’ambito della impresa medesima;

8.3. in relazione a tale secondo profilo, l’unico
rilevante nella presente fattispecie, si premette che l’art. 230 bis cod. civ. riconosce il diritto alla
partecipazione del familiare “in proporzione alla quantità e qualità di
lavoro prestato”; in tal modo viene valorizzato il contributo – diretto o
indiretto – alla realizzazione di utili ed incrementi dell’impresa ed in questa
ottica nella giurisprudenza di legittimità si è ripetutamente affermato che la
partecipazione agli utili è in funzione dell’apporto del partecipante alla
produttività dell’impresa (v. Cass. n. 27108/2017, n. 5224/2016, n. 5448/2011, n.
11332/1999, n. 89/1995, n. 9025/1991), con la significativa precisazione da
parte di Cass. n. 27108/2017 che il criterio di determinazione della quota di
partecipazione è quello della quantità e qualità del lavoro svolto dal
familiare-collaboratore nella gestione della impresa e non della sua effettiva
incidenza causale sul conseguimento degli utili ed incrementi, che
rappresentano soltanto l’effetto e non la misura dell’attività svolta.
<<In sostanza, cessata l’impresa familiare, la liquidazione della quota
spettante al familiare che vi ha collaborato deve avere per dividendo gli utili,
i beni acquistati con essi e gli incrementi e per divisore (unico) la quantità
e qualità del lavoro prestato; la ratio della previsione dell’articolo 230 bis cod. civ. risiede evidentemente
nel fatto che utili ed incrementi non sono che due diverse modalità di impiego
dello stesso risultato economico prodotto attraverso la collaborazione
familiare: l’utile rappresenta l’incremento risultante dallo svolgimento
dell’attività di impresa nel corso di un esercizio finanziario; gli incrementi
patrimoniali derivano del reinvestimento nella azienda degli utili conseguiti e
non distribuiti» (Cass. n. 27108/2017 cit.);

8.4. alla luce di quanto ora osservato l’aumento di
valore degli immobili utilizzati nell’esercizio della impresa familiare
verificatosi per effetto della introduzione della moneta unica non appare
concettualmente riconducibile alla nozione di “incremento” quale
definita dalla richiamata giurisprudenza posto che tale aumento non è frutto
del reinvestimento in azienda di utili conseguiti e non distribuiti;

8.5. sotto altro profilo deve considerarsi che
l’aumento di valore degli immobili per effetto della introduzione della moneta
unica in tanto può assumere rilievo ai fini della concreta determinazione delle
spettanze del familiare in quanto si sia tradotto in un generale fattore di
accrescimento del valore dell’impresa unitariamente considerata ed in
definitiva in una maggiore redditività della stessa;

8.6. le considerazioni che precedono rendono non
conforme a diritto la soluzione della Corte di merito che nella determinazione
del quantum dovuto all’originario ricorrente ha ritenuto doversi espungere il
valore corrispondente alla rivalutazione degli immobili; il Legislatore del
1975, nel disciplinare l’istituto di cui all’art.
230 bis cod. civ. ha fatto riferimento (esclusivo) all’impresa e quindi ad
un’organizzazione che si qualifica secondo la definizione normativa dell’art.
2082 cod. civ.. Essa costituisce, per definizione, un’entità dinamica
implicando la gestione strumentale di un complesso di fattori tra i quali anche
i beni (mobili o immobili e le entità immateriali) per il compimento di
un’attività destinata a produrre utili da distribuire tra le parti ( Cass. n.
273/1973);

8.7. sul carattere dinamico della impresa si è
ripetutamente soffermata la giurisprudenza della S.C. in particolare nel
confronto con il diverso istituto della comunione dei beni- che è stato
declinato anche nell’ambito del diritto di famiglia (es. in tema di comunione
dei coniugi, art. 177 cod. civ.)- evidenziando
che mentre quest’ultima si  caratterizza
per la prevalenza dell’elemento statico del godimento dei beni secondo la
destinazione loro propria, l’impresa si caratterizza per l’elemento dinamico
della strumentalità dei beni per il compimento di un’attività, i cui utili
saranno poi ripartiti tra le parti (Cass. n.
12087/1992, n. 4558/1979);

8.8. il fatto che l’impresa si connoti per sue
caratteristiche strutturali e funzionali come entità di natura dinamica rende
connaturale alla stessa la possibilità che nel tempo i vari fattori della
produzione, così come il complesso organizzato degli stessi unitariamente
considerato, possano subire delle variazioni di valore, in funzione
dell’andamento del mercato, con riflessi diretti e indiretti sulla redditività
dell’impresa medesima (e quindi sulla sua capacità di produrre utili) e, più in
generale, sulla sua complessiva «consistenza>>;

8.9. da tanto deriva che in assenza di diversa
indicazione da parte del Legislatore la determinazione della partecipazione
agli utili ed agli incrementi del familiare deve essere effettuata in relazione
al valore complessivo dell’impresa, per cui se l’incremento di valore di un
fattore della produzione si è tradotto in un aumento di redditività della
impresa medesima non è dato scorporare dalla stessa la componente riferibile a
fattori che si assumono del tutto estranei all’attività prestata dal
partecipante lavoro; analogamente, il verificarsi nel corso della vita
dell’impresa di fattori di decremento dei beni con riflessi sulla produttività
della stessa, non può che riverberarsi sulla concreta liquidazione della quota
del partecipante;

8.10. la soluzione qui accolta oltre ad essere
rispettosa del dato testuale dell’art. 230 bis cod.
civ., che nel riconoscere al partecipante all’impresa familiare il diritto
agli utili ed agli incrementi ed all’avviamento (oltre che al mantenimento),
non pone limitazioni connesse alla possibile rivalutazione di uno o più fattori
della produzione per cause estranee all’apporto del familiare, è coerente con
l’affermazione di questa Corte secondo la quale il criterio di determinazione
della quota di partecipazione del familiare è quello della quantità e qualità
del lavoro svolto dal familiare-collaboratore nella gestione della impresa e
non della sua effettiva incidenza causale sul conseguimento degli utili ed
incrementi, che rappresentano soltanto l’effetto e non la misura dell’attività
svolta; essa, appare, inoltre, come quella più rispettosa della complessiva
finalità di tutela del partecipante alla impresa familiare che nel disegno del
Legislatore del 1975, si configurava quale strumento di realizzazione di
interessi di rilievo costituzionale, secondo quanto già osservato al paragrafo
8.1.;

9. alla luce di quanto sopra osservato, in
accoglimento del motivo in esame, si impone la cassazione in parte qua della
sentenza impugnata, con rinvio ad altro giudice di secondo grado per la
rivalutazione della intera vicenda in conformità del principio indicato;

10. al giudice del rinvio è demandato il regolamento
delle spese del giudizio di legittimità;

 

P.Q.M.

 

rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il
terzo assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo
accolto e rinvia alla Corte d’appello di Trieste, in diversa composizione, alla
quale demanda il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

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