Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 gennaio 2021, n. 946
Mansioni di commessa, Chiusura del negozio ove era addetta,
Licenziamento per riduzione di personale, Nuove assunzioni con mansioni di
panificatore, Violazione dell’obbligo di repéchage, Raffronto tra le ragioni
del decidere e le risultanze del materiale probatorio, Limite della cd.
“doppia conforme”
Fatti di causa
1. Il Tribunale di Sondrio, con la pronuncia n. 33
del 2015, ha respinto le domande proposte da C. M. nei confronti di C. L., E. e
M. snc, di cui era dipendente con mansioni di commessa, dirette ad accertare e
dichiarare che tra le parti era intercorso un rapporto subordinato di lavoro a
tempo indeterminato dal 2.1.2012 alla data del licenziamento, intimato il
6.5.2013 con effetto al 30.6.2013, e che il suddetto licenziamento era
illegittimo perché privo di giusta causa o di giustificato motivo oggettivo,
con ogni conseguenza di tipo reintegratorio e risarcitorio.
2. La Corte di appello di Milano, con la sentenza n.
631 del 2018, ha rigettato il gravame proposto dalla lavoratrice.
3. A fondamento della decisione i giudici di seconde
cure hanno rilevato che: a) non risultava in sostanza contestato che la società
occupasse meno di 15 dipendenti; b) il licenziamento era stato intimato per
“riduzione di personale”; c) la lavoratrice non aveva contestato che
la società aveva effettivamente proceduto alla chiusura del negozio di Sondrio
ove era addetta, di talché il presupposto del recesso doveva ritenersi
sussistente; d) le prove raccolte avevano dimostrato la impossibilità di
collocare la C. in altra posizione lavorativa atteso che il personale impiegato
negli altri negozi riconducibili alla società (in Ardenno e in Buglio in Monte
oltre a quello in Sondrio che era stato chiuso) non svolgeva ore di
straordinario e le dedotte due nuove assunzioni erano del tutto ininfluenti
perché riguardanti, l’una, un dipendente con mansioni di panificatore e,
l’altra, una lavoratrice con mansioni di commessa, era avvenuta nel febbraio
del 2012, in epoca ben anteriore al licenziamento, per cui la C. non era stata
sostituita nella sua posizione; e) le spese di lite dovevano seguire la
soccombenza.
4. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto
ricorso per cassazione M. C. affidato a sei motivi.
5. La società intimata non ha svolto attività
difensiva.
Ragioni della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la
“violazione dell’art. 360 cpc per
violazione o falsa applicazione delle norme di diritto dell’art. 2119 cod. civ. e violazione dell’obbligo di
repéchage – motivazione contraddittoria”. Sostiene che i giudici del
merito non avevano rilevato e dichiarato la violazione dell’obbligo di
repéchage, certamente sussistente nel caso in oggetto, non avendo fornito
l’azienda datrice di lavoro alcuna prova di avere tentato il ricollocamento di
essa lavoratrice in altra mansione all’interno dell’azienda datrice di lavoro
sia prima di procedere con il licenziamento sia dopo l’impugnazione, in un
contesto in cui vi era altra dipendente che svolgeva mansioni equivalenti e che
era stata invece mantenuta nel posto di lavoro.
3. Con il secondo motivo si censura la
“violazione dell’art. 360 cpc per
violazione o falsa applicazione delle norme di diritto – l’erronea valutazione
dei fatti sottoposti a giustizia – difetto di motivazione o motivazione erronea
circa la sussistenza del G.M.O. del licenziamento datoriale”. Si deduce
che erroneamente era stato ritenuto che la C. fosse stata assunta per
l’apertura dell’esercizio commerciale di via C. in Sondrio, potendo quindi
svolgere le proprie mansioni presso altre sedi dell’Azienda datrice di lavoro
presenti nella Provincia di Sondrio e di essere stata licenziata prima della
chiusura dell’esercizio commerciale di Sondrio e ciò avvalorava la circostanza
di non essere stata assunta esclusivamente presso la sede di Sondrio.
4. Con il terzo motivo la ricorrente si duole della
“motivazione contraddittoria – non coerente valutazione dei fatti
sottoposti a giustizia- e difetto di motivazione sul punto”. Rappresenta
che le assunzioni di due lavoratori (R.L., panificatore, e I.S., commessa) e le
trasformazioni nell’agosto del 2011 di alcuni rapporti di lavoro da tempo
determinato a tempo indeterminato male si conciliavano con una presunta crisi
economica dell’Azienda e, pertanto, non sussisteva il nesso di causalità tra la
situazione di crisi e la riduzione di personale.
5. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la
“violazione o falsa applicazione di norme di diritto – la violazione-
mancata prova dell’obbligo del giustificato motivo oggettivo”. Contesta la
motivazione della gravata sentenza nella parte in cui era stato affermato che
non era stata contestata l’avvenuta assunzione di personale, da parte della
società, con la medesima qualifica della ricorrente nel periodo di 6 – 12 mesi
successivi al licenziamento e che comunque l’Azienda aveva adempiuto alla prova
della sussistenza del giustificato motivo oggettivo a supporto del
licenziamento.
6. Con il quinto motivo si denunzia la
“violazione o falsa applicazione di legge e mancato assolvimento
dell’obbligo di repéchage, per non avere la Corte territoriale correttamente
giudicato i fatti ed applicato le norme di legge: invero, si afferma che la C.,
con propria lettera a.r. del 13.5.2013 si era dichiarata disponibile a
riprendere l’attività lavorativa presso l’Azienda datrice di lavoro, la quale
non aveva reso prova di avere tentato di ricollocare il lavoratore all’interno
della azienda ed anzi aveva assunto
altro lavoratore successivamente al licenziamento.
7. Con il sesto motivo si eccepisce la
“violazione e falsa applicazione dell’art. 360
cpc e contraddittoria motivazione e carente motivazione in relazione alla
condanna alle spese di giudizio”, in quanto le argomentazioni molteplici
di contestazione del licenziamento non potevano condurre i giudici di merito
(1° e 2° grado) alla condanna della C. alle spese processuali di lite.
8. I primi cinque motivi, da trattarsi
congiuntamente per connessione logico-giuridica, sono inammissibili per plurimi
profili.
9. Come premessa generale va sottolineato che il
giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e
vincolato dai motivi di ricorso che assumono una funzione identificativa
condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi
tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso
deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della
specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato
rientri nelle categorie logiche previste dall’art.
360 cpc, sicché è inammissibile la critica generica della sentenza
impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra
loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle
fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito (Cass. n. 19959 del 2014;
Cass. n. 21165 del 2013).
10. Orbene, sono inammissibili tutte le censure
riguardanti la pronuncia di primo grado (più volte richiamata nella redazione
dei motivi di cassazione), confermata in appello sulle questioni oggetto di gravame,
in quanto l’impugnazione, con un unico atto e con l’osservanza dei requisiti
prescritti dall’art. 360 cpc, di sentenze di
grado diverso pronunciate nella medesima causa è consentita unicamente se l’una
investe una questione pregiudiziale e l’altra il merito (cfr. Cass. 15.9.2014
n. 19740, Cass. 4.1.2002 n. 69), ma non quando le stesse siano state emesse in
procedimenti formalmente e sostanzialmente distinti e in relazione ai quali può
essersi formato sui relativi punti della decisione un giudicato interno.
11. Analogamente deve sottolinearsi che tutte le
censure, riguardanti quaestiones facti che implichino un raffronto tra le
ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del
materiale probatorio, incontrano il limite della cd. “doppia
conforme”, di cui all’art. 348 ter cpc,
applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, che preclude,
rendendolo inammissibile, il ricorso per cassazione su tali punti.
12. Deve, poi, considerarsi che le doglianze di cui
al primo motivo, ancorché svolte sotto il profilo della violazione dell’art. 2119 cod. civ. ma in modo assolutamente
generico e in difetto degli appropriati requisiti di erronea sussunzione della
fattispecie concreta in quella astratta regolata dalla disposizione normativa
(Cass. n. 16038/2013; Cass. n. 3010 del 2012), si sostanziano unicamente nella
critica della ricostruzione fattuale operata dalla Corte territoriale, configurando,
come tale, una richiesta alla Corte di cassazione di riesaminare la vicenda
processuale sottoposta al suo controllo del tutto estranea al giudizio di
legittimità (Cass. n. 8758 del 2017).
13. Sono, altresì, inammissibili le censure dirette
a denunciare vizi sostanziali della motivazione, sotto il profilo della sua
omessa, insufficiente o contraddittoria articolazione, perché, alla stregua
della nuova formulazione dell’art. 360 co. 1 n. 5
cpc, riformulato dall’art. 54
del D.L. 22.6.2012 n. 83 conv. in legge
7.8.2012 n. 134, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale
che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto
attinente alla esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal
testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze
processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi
sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella motivazione
“apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente
incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di
motivazione (Cass. 7.4.2014 n. 8053; Cass.
10.2.2015 n. 2498): le predette ipotesi non sono ravvisabili nella gravata
pronuncia.
14. In realtà, i motivi scrutinati sono
essenzialmente intesi alla sollecitazione di una rivisitazione del merito della
vicenda e alla contestazione della valutazione probatoria operata dalla Corte
territoriale, sostanziante il suo accertamento in fatto, di esclusiva spettanza
del giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 27197
del 2011; Cass. n. 6288 del 2011). E ciò per la corretta ed esauriente
argomentazione, senza alcun vizio logico nel ragionamento decisorio, delle
ragioni adottate dalla Corte territoriale che ha ritenuto sussistente il
presupposto, posto a base dell’intimato licenziamento per giustificato motivo
oggettivo, costituito dalla riduzione di personale a seguito della chiusura
dell’esercizio commerciale in Sondrio (ove era addetta la C., come sottolineato
dal primo giudice con congrua motivazione) e la impossibilità di collocare
altrove la lavoratrice ricorrente, specificando al riguardo l’irrilevanza delle
due assunzioni di altro personale.
15. Il sesto motivo è, invece, infondato.
16. Sono infondate le dedotte violazioni sia sotto
il profilo della violazione dell’art. 91 cpc
(che sussiste solo se si pongono, anche parzialmente, le spese di lite a carico
della parte totalmente vittoriosa (Cass. n. 12963 del 2007) e ciò non è
ravvisabile nel caso de quo) sia sotto quello dell’art.
92 cpc, perché la parziale compensazione, disposta in relazione all’esito
complessivo della lite, rappresenta esercizio del potere discrezionale, in
quanto espressione di una valutazione di opportunità del giudice di merito che
non è sindacabile in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 30952 del 2017; Cass.
n. 24502 del 2017; Cass. n. 17457 del 2006).
17. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve
essere rigettato.
18. Nulla va disposto in ordine alle spese del
presente giudizio di legittimità non avendo la società intimata svolto attività
difensiva.
19. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge
24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti
processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del DPR n.
115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, se
dovuto.