In caso di superamento del periodo di comporto con successivo licenziamento del lavoratore, ai fini ai fini della quantificazione dei giorni di assenza imputabili al datore di lavoro, e dunque da escludere dal conteggio, si applica il criterio probabilistico.
Nota a Trib. Pavia 31 ottobre 2020
Flavia Durval e Rossella Rossi
Il lavoratore colpito da una psicopatologia in quanto lasciato in inattività e demansionato, il quale, assentatosi dal lavoro, superi il periodo di comporto, non può essere licenziato se, mediante un calcolo probabilistico, la detrazione da tale periodo dei giorni di assenza per malattia imputabile al comportamento del datore di lavoro conduca al mancato superamento del comporto stesso.
Questo, l’interessante principio espresso dal Tribunale di Pavia (31 ottobre 2020), il quale ha accertato:
– la pressoché totale inattività in cui era stato lasciato il lavoratore ricorrente;
– la mancata assegnazione di mansioni a quest’ultimo confacenti (il prestatore none era neppure presente nel software gestionale con cui venivano stabiliti e ripartiti i compiti all’interno della sede dell’impresa);
– la conseguente violazione dell’art. 2103 c.c.;
– il fatto che l’isolamento ed il sottoimpiego del dipendente erano stati idonei a concausare la manifestazione acuta di una patologia che aveva complicato un sottostante disturbo di personalità del lavoratore;
– l’impossibilità del c.t.u. medico-legale di indicare con precisione quanti dei giorni di assenza per malattia psichiatrica fossero imputabili alla concausa determinatasi per mano datoriale;
– l’indicazione del c.t.u., il quale (una volta analizzata la personalità del ricorrente e qualificata come “spina irritativa” – innestatasi su condizioni preesistenti che predisponevano la personalità del ricorrente medesimo ai disturbi diagnosticati -), ha valutato che il periodo di risoluzione del disturbo andava circoscritto in sei mesi e, in particolare, dal momento che l’astensione dal lavoro da marzo 2018 fino al licenziamento era stata continua, che le assenze imputabili al datore di lavoro da marzo 2018 in avanti si collocavano in una “forbice compresa da un giorno e sei mesi”.
Tutto ciò premesso, il Tribunale, stante le conclusioni del c.t.u. e rilevato che il lavoratore aveva superato il periodo di comporto per nove giorni, ha verificato se la condotta datoriale avesse “determinato/influito su un numero di assenze per malattia da marzo 2018 superiore a nove”.
Ciò, alla luce del principio per cui “sotto il profilo probatorio l’accertamento del nesso causale deve essere compiuto sulla base delle migliori cognizioni scientifiche possibili”, ma laddove esse non consentano una assoluta certezza della derivazione causale, vige, nel giudizio civile, la regola della “preponderanza dell’evidenza o del più ‘probabile che non” e che lo “standard di cd. certezza probabilistica della materia civile non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa – statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), che potrebbe mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logico baconiana)”. (Così, Cass. n. 47/2017).
I giudici hanno perciò stabilito, da una parte, che le assenze per una infermità determinata dal datore di lavoro, per violazione dell’obbligo di sicurezza su lui gravante ai sensi dell’art. 2087 c.c., sono escluse dal computo delle assenze rilevanti ai fini del comporto e, dall’altra, che, nel caso di specie, tali assenze “benché non puntualmente quantificabili in termini numerici, posso essere, con sufficiente specificità…individuate in un numero superiore ai giorni di assenza eccedenti il periodo di comporto”. Di conseguenza, il lavoratore non risulta aver “sforato” il segmento temporale di sospensione dal lavoro tutelata dall’art. 2110 c.c., per cui il suo licenziamento risulta illegittimo ed egli ha diritto alla reintegrazione nel posto id lavoro (ex art. 18, co.7 e 4, Stat. Lav.).