Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 gennaio 2021, n. 1508

Insussistenza del giustificato motivo oggettivo, Mancata
indicazione dei motivi di licenziamento, Violazione dei principi di
correttezza e buona fede, Lavoratore selezionato in modo arbitrario, in quanto
considerato unità più costosa, Perdite del fatturato, Obbligo di repechage
incompatibile con motivazioni strettamente collegate alla mera riduzione dei
costi per il personale

 

Fatti di causa

 

1. Con lettera del 25.9.2014 la S.W.S. srl intimava
licenziamento per giustificato motivo oggettivo a M.B., suo dipendente dal
4.3.2008 con qualifica di operaio portuale (addetto al rizzaggio e derizzaggio)
di IV livello.

2. A seguito di impugnazione del ricorso, da parte
del lavoratore, fondata sulla insussistenza del giustificato motivo oggettivo,
sulla mancata indicazione dei motivi di licenziamento e sulla violazione dei
principi di correttezza e buona fede nella scelta dei dipendenti da licenziare,
il giudice del lavoro di Palmi, con ordinanza depositata in data 10.8.2015, al
termine della fase sommaria, rigettava la domanda del M.

3. Lo stesso giudice, con la pronuncia n. 1043 del
2017 emessa nella fase di opposizione, confermava parzialmente la ordinanza in
ordine alla insussistenza di un giustificato motivo oggettivo, ma riteneva
violati i canoni di correttezza e buona fede nella scelta del M. come
lavoratore da licenziare perché, appartenente al 4° livello, era stato
selezionato in modo arbitrario insieme a tre altri operai di 6° livello, in quanto
considerato unità più costosa e in esubero.

4. Sui reclami hic et inde proposti la Corte di
appello di Reggio Calabria, con la sentenza n. 469 del 2018, confermava la
decisione di prime cure sottolineando in sintesi che: a) il giustificato motivo
addotto non era manifestamente insussistente perché la società aveva subito
perdite negli anni 2012, 2013 e 2014 che giustificavano il numero dei
licenziamenti intimati; b) le prove testimoniali raccolte, su richiesta della
difesa del lavoratore, avevano dimostrato la vaghezza ed arbitrarietà dei
criteri utilizzati per la scelta di licenziare il M.; c) congrua appariva la
misura della indennità risarcitoria fissata in venti mensilità dell’ultima
retribuzione globale di fatto.

5. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto
ricorso per cassazione M.B. affidato a due motivi, cui ha resistito con
controricorso la S.W.S. srl.

6. Il ricorrente ha depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denunzia la
violazione e falsa applicazione delle norme di diritto di cui agli artt. 3 e 5 legge n. 604 del 1966, degli
artt. 2697, 115, 116, 416, 132 co. 2 n. 4 c.p.c.e dell’art.
111 co. 7 della Cost., ai sensi dell’art. 360
n. 3 c.p.c., nonché la nullità della sentenza o del procedimento, ai sensi
dell’art. 360 n. 4 c.p.c.

Deduce il M., in primo luogo, che la Corte di merito
avrebbe dovuto effettuare la valutazione sulla sussistenza del motivo di
licenziamento sulla base degli elementi di fatto esistenti al momento della
comunicazione del recesso; avendo, invece, i giudici di seconde cure valutato
“i dati correnti”, avevano alleggerito l’onere probatorio previsto
dall’art. 5 della legge n. 604
del 1966 a carico della società; inoltre, erroneamente la Corte
territoriale aveva rilevato il calo di fatturato non dalla analisi dei dati di
bilancio, ma da vicende extragiudiziali, alcune delle quali inesistenti al
momento del licenziamento, senza considerare il trend economico degli anni
precedenti e soffermandosi solo sulla voce conclusiva del bilancio (in perdita)
senza verificare il “valore della produzione” che era l’unico indice
che consentiva il controllo circa l’esubero della forza lavoro.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e
falsa applicazione delle norme di diritto di cui agli artt. 3 e 5 legge n. 604 del 1966 e
dell’art. 18 co. IV e VII
della legge n. 300 del 1970, nel testo risultante dalla modifica operata
dalla legge n. 92 del 2012, degli artt. 115 e 116 c.p.c.,
ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere
erroneamente la Corte territoriale, attraverso una indagine parziale, negato la
tutela reintegratoria debole, non considerando che la questione della
impossibilità di ricollocare il lavoratore rientrava nella nozione di
giustificato motivo oggettivo. In particolare, viene evidenziato, proprio ai
fini della suddetta problematica, che nel 2013 erano stati assunti cinque
lavoratori aventi qualifica analoga a quelli licenziati, i quali avrebbero
potuto benissimo occupare le posizioni dei neoassunti, e che i contratti di
lavoro dei nuovi lavoratori non comportavano un evidente minore costo del
lavoro.

4. Preliminarmente deve essere rilevata la ritualità
del deposito della memoria ex art. 378 c.p.c.
di parte ricorrente, così disattendendo l’eccezione di inammissibilità
formulata dalla società, in quanto l’atto risulta depositato in data 8.10.2020
(originale e cinque veline), come da attestazione della Cancelleria a margine
dello stesso.

5. Ciò premesso, il primo motivo è in parte
inammissibile e in parte infondato.

6. In materia di licenziamento per giustificato
motivo oggettivo (art. 3 della
legge n. 604 del 1966) grava sul datore di lavoro l’onere di provare, tra
l’altro, le ragioni inerenti alle attività produttive che rendono impossibile
impiegare il dipendente nella organizzazione aziendale, da accertare in base
agli elementi di fatto sussistenti alla data della comunicazione del recesso,
spettando al giudice di verificarne l’effettiva ricorrenza attraverso un
apprezzamento delle prove incensurabile in sede di legittimità, se effettuato
con una motivazione coerente e completa (Cass. n. 17928 del 2002; Cass. n. 12261 del 2003; Cass. n. 6363 del 2000).

7. Orbene la Corte territoriale, attenendosi a tale
principio, ha valutato la circostanza realmente esistente al momento dei
licenziamenti (25.9.2014), analizzando le perdite del fatturato degli anni 2012
e 2013; ha, poi, esteso correttamente l’accertamento ad un arco temporale
idoneo per svolgere una valutazione globale e diretta delle circostanze di
fatto che avevano determinato le cause dei recessi (cfr. Cass n. 13116 del 2015; Cass. n. 2810 del 2003).

8. A tale riguardo la Corte territoriale ha, quindi,
esaminato il bilancio consuntivo del 2014 (sebbene il preconsuntivo di quello
del mese di agosto fosse già significativo della situazione patrimoniale della
società), la irreversibilità del calo di fatturato, la situazione di crisi del
settore portuale, l’accumulo di ore pagate e non lavorate, la circostanza di
analoghi licenziamenti, da parte di altre due società, che confermava la
generale crisi economica.

9. Non vi è stato, pertanto, un uso indebito di
vicende extragiudiziali, successive al licenziamento del M., per accertarne la
legittimità, bensì una valutazione complessiva ed analitica di tutto il
contesto probatorio (e ciò con una motivazione coerente e logica che rende
inammissibile ogni sindacato in sede di legittimità) diretto alla verifica
della sussistenza del giustificato motivo oggettivo individuato sia nella
riduzione dei costi aziendali che in ragioni inerenti l’attività produttiva.

10. Anche il secondo motivo è in parte inammissibile
e in parte infondato.

11. L’obbligo per il datore di lavoro di dimostrare
l’impossibilità di adibire il dipendente da licenziare in altri posti di lavoro
rispetto a quello da sopprimere (cd. obbligo di repechage) è incompatibile con
motivazioni strettamente collegate alla mera riduzione dei costi per il
personale (come nel caso di specie) in quanto, in tal caso, il mantenimento in
servizio del dipendente, seppure in altre mansioni, contrasterebbe con tale
esigenza.

12. Ne consegue che il detto obbligo non può
ritenersi violato quando l’ipotetica ricollocazione del lavoratore nella
compagine aziendale non è compatibile con il concreto assetto organizzativo
stabilito dalla parte datoriale (Cass. n. 21715
del 2018).

13. Correttamente, quindi, la Corte territoriale ha
valutato solo il profilo della violazione dei criteri di scelta dei lavoratori,
avendo riguardo alle mansioni espletate e, ritenutala sussistente, ha
riconosciuto la indennità risarcitoria di cui all’art. 18 co. V e VII St. lav.(cfr. Cass n. 19732 del 2019; Cass. n. 14021 del 2016), dovendosi escludere che
ricorra, in tal caso, la manifesta insussistenza delle ragioni economiche poste
a fondamento del recesso.

14. La valutazione sulle assunzioni di cinque
lavoratori, ritenute ininfluenti perché imprecisata l’epoca e avvenuta con
contratti a tempo indeterminato prima del licenziamento, e sulla perdita
economica relativa al 2014 considerata consistente, costituisce, invece,
accertamento di fatto, attraverso un apprezzamento delle prove, che è
incensurabile in sede di legittimità in quanto effettuato con una motivazione
coerente e completa.

15. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve
essere rigettato.

16. Le spese del presente giudizio di legittimità
seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

17. Non sono ravvisabili i presupposti per
l’accoglimento della condanna del ricorrente per lite temeraria, avanzata dalla
controricorrente in sede di conclusioni del controricorso, non essendovi
elementi, dalla prospettazione e dal successivo scrutinio dei motivi, per
ritenere che il M. abbia agito con consapevole mala fede o con colpa grave in
ordine alla inammissibilità o alla infondatezza della propria iniziativa
giudiziaria (Cass. n. 22405 del 2018).

18. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge
24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti
processuali, sempre come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della
controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro
5.250,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie della misura del 15 per
cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai
sensi dell’art. 13, comma 1 quater
del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, se
dovuto.

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