Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 gennaio 2021, n. 1503

Appalto illecito di manodopera, Fornitura di servizi di
accoglienza e di assistenza alla clientela ai treni notte, Organizzazione del
servizio appaltato e dei mezzi, anche immateriali, Gestione, a proprio
rischio, dell’attività d’impresa dell’appaltatore, Intervento direttamente
dispositivo di controllo sulle persone dipendenti dall’appaltatore del servizio
– Mero coordinamento necessario per la confezione del prodotto

 

Rilevato che

 

1. Con sentenza n. 858 del 13.3.2017 la Corte di
Appello di Napoli ha respinto l’appello proposto da S.A. e da altri lavoratori
litisconsorti e, confermando la sentenza emessa in primo grado, ha rigettato la
domanda di costituzione di un rapporto di lavoro subordinato con T. s.p.a.,
escludendo la sussistenza di un appalto illecito di manodopera intercorso con
Compagnia Internazionale delle carrozze letti e del turismo s.a. (C.), a cui è
subentrata S. s.r.l., per la fornitura di servizi di accoglienza e di assistenza
alla clientela ai treni notte in servizio nazionale e internazionale;

2. La Corte territoriale ha rilevato, in conformità
al giudice di primo grado, che ricorrevano i due requisiti tipici di un appalto
genuino (esercizio del potere direttivo e organizzativo dell’appaltatore C. e
assunzione del rischio di impresa) posto che i lavoratori nulla avevano
allegato circa le modalità concrete con cui T. interveniva nell’organizzazione
del servizio appaltato nonché circa l’organizzazione dei mezzi, anche immateriali,
che costituivano il complesso aziendale e la gestione, a proprio rischio,
dell’attività d’impresa dell’appaltatore, e la documentazione prodotta
dimostrava esclusivamente l’esercizio di un mero potere di coordinamento
tecnico e funzionale del servizio con l’attività di impresa del committente.

3. Per la cassazione di tale sentenza i lavoratori
hanno proposto ricorso affidato a quattro motivi, illustrati da memoria. Le
società T. s.p.a., C. S.A. e S. Italia s.r.l. in liquidazione hanno resistito con
separati controricorsi; le prime due società hanno depositato memoria.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo le parti ricorrenti
denunziano violazione degli artt. 101, 112, 132 cod.proc.civ.
nonché omesso esame di una domanda (ai sensi dell’art.
360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale,
trascurato di indicare, quale controparte chiamata in giudizio, la società S.l
Italia s.r.l. (citata, dalla sentenza, unicamente per indicare che la stessa è
subentrata a C. S.A.), alla quale sono stati ritualmente notificati sia il
ricorso introduttivo del giudizio sia l’atto di appello (come risulta dai verbali
di giudizio della causa di appello, nella specie udienza del 3.11.2015), con
conseguente nullità della sentenza per omessa pronuncia su una delle domande e
omessa intestazione di una delle parti.

2. Con il secondo, terzo e quarto motivo le parti
denunziano violazione degli artt. 115, 116 cod.proc.civ., 1 della legge n. 1369 del 1960,
20 – 29 del d.lgs. n. 276 del 2003,
nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.)
avendo, la Corte distrettuale (nonché il Tribunale), trascurato di valutare
adeguatamente la prova documentale che comprovava come le uniche mansioni
svolte dai lavoratori erano quelle imposte da T., che pertanto esercitava il
potere direttivo, senza alcuna assunzione di rischio di impresa da parte
dell’appaltante, con conseguente violazione delle norme dettate in materia di
appalto lecito ed omissione di esame di fatti decisivi.

3. Il primo motivo è inammissibile.

La censura è prospettata con modalità non conformi
al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui
parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il
contenuto dei verbali di udienza (da cui si evincerebbe “ictu oculi”,
secondo la prospettazione del ricorrente, la effettuata notifica a S.l Italia
s.r.l.) nonché della relata di notifica, fornendo al contempo alla Corte
elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti
processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente
previsto a presidio del suddetto principio dagli artt.
366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma,
n. 4, cod.pro.civ.

La giurisprudenza di questa Corte è consolidata
nell’affermare che ove vengano in rilievo atti processuali ovvero documenti o
prove orali la cui valutazione debba essere fatta ai fini dello scrutinio di un
vizio di violazione di legge, ex art. 360, primo
comma n. 3, cod.proc.civ., di carenze motivazionali, ex art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., o
anche di un error in procedendo è necessario non solo che il contenuto
dell’atto o della prova orale o documentale sia riprodotto in ricorso, ma anche
che ne venga indicata l’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello
di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di
legittimità, senza che possa attribuirsi rilievo al fatto che nell’indice si
indicano come allegati i fascicoli di parte di primo e secondo grado (Cass. SU
n. 5698 del 2012; Cass. SU n. 22726 del 2011;
da ultimo, Cass. n. 10992 del 2020).

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha dato
atto che S.l, subentrata a C., “non è stata chiamata nel giudizio di
gravame” e parte ricorrente non ha illustrato, nel contenuto minimo, di
aver provveduto alla notifica richiamata, limitandosi a rilevare di aver
ottenuto un rinvio, in appello, proprio al fine di consentire l’esame della
regolarità della notifica del ricorso a S.l Italia e, confermando, dunque,
indirettamente, che il rilievo innanzi riportato (contenuto nella sentenza
impugnata) è stato adottato dalla Corte territoriale a seguito di attenta
disamina della relata di notifica.

4. Gli ulteriori motivi del ricorso, che possono
essere trattati congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono infondati.

5. Preliminarmente, va rammentato che il d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 ha ribadito il divieto
di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro (già previsto
dalla legge 23 ottobre 1960, n. 1369), dettando
la disciplina degli strumenti leciti all’interno della vicenda interposizione
(appalti, somministrazione, distacco), nonché quella sanzionatoria nelle
ipotesi di somministrazione irregolare e appalto non genuino.

6. In particolare, l’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003
– nel definire il contratto di appalto (genuino) rispetto a quello di
somministrazione di lavoro – richiama i due principali elementi che per la
disciplina di cui all’art. 1655 cod.civ.
caratterizzano il contratto di appalto, ossia la permanenza in capo
all’appaltatore dell’esercizio del potere direttivo e organizzativo nei
confronti dei dipendenti utilizzati nell’appalto e l’assunzione del rischio
d’impresa.

7. Questa Corte ha affermato (con orientamento
formatosi già nella vigenza della legge n. 1369 del
1960), che, qualora venga prospettata una intermediazione vietata di
manodopera nei rapporti tra società dotate entrambe di propria genuina
organizzazione d’impresa, il giudice del merito deve accertare se la società
appaltante svolga un intervento direttamente dispositivo di controllo sulle
persone dipendenti dall’appaltatore del servizio, non essendo sufficiente a
configurare la intermediazione vietata il mero coordinamento necessario per la
confezione del prodotto (Cass. n. 12664 del 2003);
sono leciti gli appalti di opere e servizi che, pur espletatili come
prestazioni di manodopera, costituiscano un servizio in sé, svolto con
organizzazione e gestione autonoma dell’appaltatore, senza dirette interventi
dispositivi di controllo dell’appaltante sulle persone dipendenti dall’altro
soggetto (Cass. n 8643 del 2001).

8. Come già affermato da questa Corte con riguardo
ai servizi di accoglienza e di assistenza alla clientela dei treni notte (cfr. Cass. n. 15557/2019 e Cass.
n. 11011 del 2017), non costituisce deviazione dallo schema tipico
dell’appalto genuino il fatto che siano predeterminate in modo analitico nel
contratto di appalto le modalità operative del servizio, specificità certamente
funzionale alla corretta esecuzione del servizio oggetto del contratto, a
fronte della mancata impartizione, da parte della società appaltante, di
direttive sullo svolgimento del servizio se non nei limiti dell’indicazione dei
nominativi dei viaggiatori e degli altri dati tecnici relativi alle
prenotazione o dell’esigenza di coordinamento con il capotreno, stante
l’esecuzione del servizio all’interno delle carrozze letto dei treni svolgenti
servizio notturno.

9. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha
accertato che ricorrevano i due requisiti tipici di un appalto genuino
(esercizio del potere direttivo e organizzativo dell’appaltatore S.l Italia e
assunzione del rischio di impresa) ed ha escluso che T. esercitasse un
intervento direttamente dispositivo di controllo sulle persone dipendenti
dall’appaltatore del servizio.

10. I ricorrenti si limitano a contestare la
correttezza del giudizio conclusivo concernente il capitolato tecnico operativo
del contratto di appalto stipulato tra T. e S.l Italia s.r.l. senza argomentare
alcunché in ordine ai passaggi su cui tale giudizio si fonda; la sentenza
impugnata ha ritenuto che la predeterminazione delle modalità esecutive,
dettagliatamente descritte nel capitolato, rispondesse all’esigenza di
adeguatezza della prestazione lavorativa alle caratteristiche tecniche del
particolare servizio, senza tuttavia incidere sull’autonomia dell’impresa
appaltatrice quanto regolazione di turni lavorativi, delle ferie e quant’altro
relativo la gestione del rapporto di lavoro, come pure non fosse escluso il
potere disciplinare facente capo a S.l Italia, mentre il coordinamento con il
personale di T. era coerente con l’oggetto dell’appalto non costituiva, di per
sé, un indice della natura non genuina dello stesso. Né è stata denunciata, con
riferimento al contratto di appalto, alcuna violazione delle regole di
ermeneutica contrattuale.

11. La Corte territoriale ha esaminato tutti gli
adempimenti descritti nel capitolato tecnico operativo relativi alla
prestazione lavorativa demandata agli attuali ricorrenti, ritenendo che non vi
fosse contestazione circa la corrispondenza della prestazione effettivamente
svolta alle modalità di esecuzione del servizio come dettagliate nel
capitolato; gli odierni ricorrenti hanno trascritto i capitoli di prova senza
chiarire il carattere decisivo della prova non ammessa, con conseguente
inammissibilità del motivo (cfr. Cass. n. 8204 del 2018, Cass. n. 9748 del
2010).

12. La sentenza ha, poi, rilevato che non solo era
pacifica l’esistenza di un’organizzazione d’impresa in capo a S.l Italia, ma
che la circostanza concernente il pagamento in misura fissa per ciascuna
carrozza notte durante l’anno implicava l’assunzione di un rischio economico,
poiché l’organizzazione di persone e mezzi per garantire il servizio del
singolo treno gravava proprio sull’appaltatore.

13. Infine, quanto alle denunce di vizio di
motivazione contenute in tutti i motivi, va ricordato che la deduzione con il
ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non
conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della
vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza
giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del
merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una
autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicché le censure concernenti
il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura
delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito
(vedi, tra le tante: Cass. nn. 313, 9043 e
21486 del 2011).

14. La sentenza in esame (pubblicata dopo
l’11.9.2012) ricade sotto la vigenza della novella legislativa concernente l’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (d.l. 22 giugno 2012, n. 83 convertito con
modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134);
l’intervento di modifica, come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte
(sentenza n. 8053 del 2014), comporta una
ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità,
sulla motivazione di fatto, che va circoscritto al “minimo
costituzionale”, ossia al controllo sulla esistenza (sotto il profilo
della assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il
profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità
manifesta)”.

15. Come illustrato, nessuno di tali vizi ricorre
nel caso in esame e la motivazione non è assente o meramente apparente, né gli
argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale risultano
manifestamente illogici o contraddittori.

16. Inoltre, quando la ricostruzione delle emergenze
probatorie effettuata dal Tribunale sia stata confermata dalla Corte d’appello,
com’è nel caso, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del
motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ.,
deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e
quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che
esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528 del 2014), ciò che nel caso non è
stato fatto.

17. In sintesi, il ricorso va rigettato e le spese
di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.

18. Sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato – se dovuto – previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,
comma 1 quater, introdotto dalla L.
24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, in favore di ciascuna
controricorrente, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 5.000,00
per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 gennaio 2021, n. 1503
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