Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 gennaio 2021, n. 1684
Gestione commercianti, Familiare coadiutore operante con
continuità, Caratteristica stagionale dell’attività di collaborazione
all’impresa commerciale, Prestazione lavorativa abituale, in quanto svolta con
continuità e stabilmente, Non necessaria la presenza quotidiana ed
ininterrotta sul luogo di lavoro, Escluse l’occasionalità, la transitorietà o
la saltuarietà, Prevalenza, sotto il profilo temporale, rispetto ad altre
occupazioni del lavoratore, Irrilevanza della prevalenza dell’apporto rispetto
agli altri lavoratori occupati nell’azienda, autonomi o dipendenti
Ritenuto che
con sentenza del 20 febbraio 2014, la Corte
d’appello di Bologna, a conferma della sentenza di prime cure, rigettava le
opposizione a cartelle, riunite in unico giudizio e proposte da P.P.A., con le
quali era stato ingiunto allo stesso A. di pagare all’INPS i contributi dovuti
alla Gestione lavoratori autonomi per la di lui moglie F.C. per l’intero anno
di iscrizione, ritenuta in sede ispettiva familiare coadiutore operante con
continuità ed essendo stata ritenuta, ai fini dell’obbligo di iscrizione,
irrilevante la caratteristica stagionale dell’attività di collaborazione
all’impresa commerciale di cui egli era titolare;
contro tali statuizioni ricorre P.P.A. con due
articolati motivi di censura;
resiste l’INPS con controricorso;
considerato che
preliminarmente va rilevata la genericità della
eccezione di tardività del ricorso per cassazione, in relazione alla disciplina
transitoria del nuovo testo dell’art. 327 c.p.c.
ai sensi dell’art. 58 I. n. 69
del 2009, sollevata dall’INPS in ragione del fatto che il termine lungo per
impugnare sarebbe quello semestrale e non annuale quanto a due delle tre cause
riunite in primo grado;
a prescindere da ogni altra considerazione sulla
operatività del meccanismo di concentrazione delle impugnazioni avverso la
medesima sentenza (art. 335 c.p.c.) in ipotesi
di cause riunite ex art. 274 c.p.c., va
rilevato che la sentenza impugnata non contiene alcuna indicazione sulle date
di deposito di ciascuno dei tre ricorsi introduttivi riuniti in primo grado;
inoltre, il controricorrente indica, senza allegare gli atti, date in parte
inverosimili (non si comprende come un ricorso depositato il 20 aprile 2010
possa aver avuto assegnato il numero di registro generale n. 280 del 2009) ed
omette del tutto di specificare i contenuti esatti delle cause riunite che
ritiene siano state colpite dal giudicato per tardività; tali carenze
impediscono alla Corte di cassazione la concreta disamina della eccezione,
seppure la stessa sia relativa ad atti processuali, dovendo comunque essere
proposte questioni sufficientemente specifiche e quindi tali da consentire il
riscontro di legittimità, tanto più nel caso di specie, ove si profila il
formarsi di un giudicato parziale e dal contenuto del ricorso per cassazione (
pag. 3) si descrive una sorta di coincidenza di causa petendi e di petitum
tutti derivanti da unico verbale di accertamento ispettivo e dalla
consequenziale pretesa contributiva;
con il primo motivo, il ricorrente denuncia
violazione e falsa applicazione dell’art. 2 I. n. 613 del 1966,
dell’art. 1, comma 203, I. n. 662
del 1996 in relazione agli artt. 3, 23 Cost. ed all’art.
12 delle disposizioni sulla legge in generale; in sostanza ci si duole che
la sentenza abbia dato atto dell’esistenza di un vuoto normativo ( relativo
alla ipotesi di collaborazione familiare prestata a favore di imprenditore
stagionale) e ciò nonostante abbia affermato l’obbligo contributivo per
l’intero anno di iscrizione, con ciò trascurando la necessità che l’attività
del collaboratore familiare rivesta i caratteri dell’abitualità e della
prevalenza ed inserendo l’inesistente requisito della professionalità della
stessa collaborazione;
con il secondo motivo, si denuncia la violazione o
falsa applicazione dell’art. 23 Cost. e dell’art. 1 delle disposizioni sulla legge in generale
in relazione all’art. 2 I. n.
613 del 1966 e dell’art. 1,
comma 203, I. n. 662 del 1996 in ragione del fatto che, in difetto di
espressa disciplina di legge, la sentenza impugnata ha ritenuto valida fonte
dell’obbligo di iscrizione per l’intero anno nella gestione assicurativa degli
esercenti attività commerciali un mero atto interno dell’INPS (circolare n. 147 del 2/11/2004), con ciò
incorrendo anche in vizio di motivazione per omesso esame circa un dato
materiale (la medesima circolare) che era stata oggetto di discussione tra le
parti ciò posto, i motivi, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono
infondati;
questa Corte ha già avuto modo di chiarire che la L. n. 613 del 1966, art. 2, (a
norma del quale “si considerano familiari coadiutori il coniuge, i figli
legittimi o legittimati ed i nipoti in linea diretta, gli ascendenti, i
fratelli e le sorelle, che partecipano al lavoro aziendale con carattere di
abitualità e prevalenza, semprechè per tale attività non siano soggetti
all’assicurazione generale obbligatoria in qualità di lavoratori dipendenti o
di apprendisti”), va interpretato nel senso che l’obbligo di iscrizione
per il familiare coadiutore sussiste allorchè la sua prestazione lavorativa sia
abituale, in quanto svolta con continuità e stabilmente e non in via
straordinaria od eccezionale (ancorchè non sia necessaria la presenza
quotidiana ed ininterrotta sul luogo di lavoro, essendo sufficiente escluderne
l’occasionalità, la transitorietà o la saltuarietà) e prevalente, in quanto
resa, sotto il profilo temporale, per un tempo maggiore rispetto ad altre
occupazioni del lavoratore (così Cass. n. 9873 del
2014), restando conseguentemente esclusa ogni valutazione concernente la
prevalenza del suo apporto rispetto agli altri occupati nell’azienda, siano
essi lavoratori autonomi o dipendenti;
la Corte territoriale si è attenuta a tale
principio, dal momento che ha accertato che F.C. non svolgeva altra attività
lavorativa nel periodo in esame, come dalla stessa riferito unitamente al
proprio coniuge e che all’atto della domanda di iscrizione lo stesso titolare
aveva dichiarato che la coadiutrice svolgeva la propria opera con <
abitualità e prevalenza>;
trattasi di valutazione in fatto del giudice di
merito, insindacabile dalla Corte di cassazione ed in ordine alla quale non è
stato neanche formulato motivo di ricorso;
la censura, trascurando tali aspetti, si incentra
sulla affermazione della erronea ricostruzione giuridica operata dalla sentenza
impugnata, derivante dal presupposto che l’obbligo di iscrizione e
contribuzione per l’intero anno sarebbe stato basato sulla previsione della circolare Inps n. 147 del 2004 e non sulla legge;
in sostanza, il ricorrente lamenta che i contributi
previdenziali relativi alla moglie, contrariamente a quanto ritenuto dalla
sentenza impugnata, avrebbero dovuto essere calcolati non già sul livello
minimo imponibile sancito in ragione d’anno dalla L. 2 agosto 1990, n. 233, art. 1,
comma 3, ma, piuttosto, sulla base del livello minimo imponibile computato sul
periodo, di durata inferiore all’anno, corrispondente a quello in cui
l’attività lavorativa è stata effettivamente svolta;
tale assunto è errato per diverse ragioni: a
prescindere infatti che l’accertato carattere della non persistente quotidiana
esecuzione delle prestazioni della coadiutrice nel corso dell’anno, ma solo in
alcuni mesi, non consente di determinare il periodo effettivo di svolgimento di
tali prestazioni, come già rilevato da Cassazione
n. 9873 del 2014 sopra citata, resta insuperabile il chiaro ed inequivoco
tenore letterale della L. n. 233
del 1990, art. 1, comma 3, che fissa il livello minimo imponibile ai fini
del versamento dei contributi previdenziali, dovuti alle gestioni di cui al
comma 1 da ciascun assicurato, nella misura del minimale annuo di retribuzione,
ciò che non consente all’interessato di provare un reddito effettivo inferiore
a quello corrispondente alla presunzione di legge (cfr., in questi termini,
Cass. 23 dicembre 1999 n. 14498; Cass. 10
settembre 2009 n. 19502);
tale regime contributivo imposto dalla legge non è
correlato alla durata della prestazione nel corso dell’anno ma al reddito
prodotto nel corso dell’anno e ciò priva di sostanziale rilevanza giuridica la
questione sollevata relativa alla interruzione nel periodo della collaborazione
resa e ne dimostra comunque l’erroneità giacchè non è certo la circolare Inps a
disciplinare il regime contributivo del coadiutore familiare;
in conclusione, il ricorso deve essere rigettato,
con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio,
liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.500,00
per compensi; oltre ad Euro 200,00 per esborsi; spese forfetarie nella misura
del 15% e spese accessorie di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis, dello stesso articolo 13,
se dovuto.