Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 gennaio 2021, n. 1765

Sgravio contributivo ex art. 8, L. n. 223/1991,
Lavoratori assunti dalle liste di mobilità, collocati dal fallimento di impresa
cedente, Acquisto di ramo d’azienda in esito alla procedura di competitività,
Vero e proprio trasferimento d’azienda, Operazione puramente fittizia
preordinata all’indebita fruizione del beneficio

 

Rilevato in fatto

 

Che, con sentenza depositata il 26.3.2018, la Corte
d’appello di Bologna ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva
rigettato la domanda di E. s.r.l. volta a fruire del beneficio dello sgravio
contributivo di cui all’art. 8,
I. n. 223/1991, in relazione a taluni lavoratori assunti dalle liste di
mobilità per esservi stati collocati dal fallimento di K.E. s.r.l., da cui essa
aveva acquistato un ramo d’azienda a seguito di procedura di competitività; che
avverso tale pronuncia E. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo
un motivo di censura, successivamente illustrato con memoria; che l’INPS è
rimasto intimato;

 

Considerato in diritto

 

che, con l’unico motivo di censura, la ricorrente
denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.
2112 c.c. e 8, I. n.
223/1991, per avere la Corte di merito ritenuto che l’acquisto del ramo
d’azienda in esito alla procedura di competitività avesse concretato un vero e
proprio trasferimento d’azienda, in virtù del quale l’assunzione (rectius,
riattivazione del rapporto di lavoro) dei lavoratori per i quali era stato
chiesto lo sgravio doveva reputarsi dovuta;

che, al riguardo, questa Corte ha consolidato il principio
di diritto secondo cui l’art.
8, comma 4, I. n. 223/1991, nel concedere il beneficio della
decontribuzione al datore di lavoro che, «senza esservi tenuto ai sensi del
comma 1», assuma a tempo pieno e indeterminato i lavoratori iscritti nelle
liste di mobilità, prevede che l’agevolazione non competa solo qualora chi
assume i lavoratori in mobilità vi sia tenuto in forza del diritto di
precedenza nell’assunzione dei lavoratori licenziati presso la medesima azienda
(Cass. n. 14247 del 2012, cit. nel ricorso per
cassazione); che, nondimeno, nell’enunciare l’anzidetto principio, questa Corte
ha precisato che occorre pur sempre che il trasferimento d’azienda non si risolva
in un’operazione puramente fittizia preordinata all’indebita fruizione del
beneficio, solo in questo caso potendo effettivamente dirsi che il cessionario
che assume i lavoratori collocati in mobilità dal cedente non sarebbe tenuto
all’obbligo di precedenza nelle assunzioni di cui al citato comma 1 dell’art. 8, I. n.
223/1991 (così ancora Cass. n. 14247 del 2012,
cit., che richiama all’uopo Cass. nn. 17071 del 2007 e 16444 del 2003);

che, conseguentemente, si è chiarito che il diritto
all’agevolazione presuppone non soltanto l’assenza di un obbligo di assunzione,
ma altresì la creazione di nuovi posti per esigenze proprie dell’azienda
subentrante, onde l’agevolazione medesima non compete nelle ipotesi di
automatico trasferimento dei rapporti di lavoro subordinato che siano esistenti
al momento della cessione, effettuato ai sensi dell’art.
2112 c.c., senza soluzione di continuità, in capo al cessionario (Cass. n. 17838 del 2015); che, nel caso di
specie, i giudici di merito hanno accertato che l’odierna ricorrente non
avrebbe diritto all’agevolazione per non aver assolto «all’onere probatorio a
suo carico diretto a dimostrare che l’assunzione del personale già dipendente
della dante causa rispondeva a reali esigenze economiche», tanto più rilevante
in considerazione del fatto che il complesso produttivo originario era rimasto
«invariat[o]» (così la sentenza impugnata, pag. 6 della motivazione);

che, rispetto a tale ratio decidendi, risulta del
tutto estraneo il motivo di censura volto a denunciare il mancato
riconoscimento dello sgravio pur a fronte di una cessione d’azienda, onde non
può che darsi continuità al principio secondo cui la proposizione con il
ricorso per cassazione di censure prive di specifica attinenza al decisum della
sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del motivo di ricorso, non
potendo quest’ultimo essere configurato quale impugnazione rispettosa del
canone di cui all’art. 366 n. 4 c.p.c. (Cass. n. 17125 del 2007; nello stesso senso, più
recentemente, Cass. nn. 11637 del 2016 e 24765 del
2017);

che a diverse conclusioni avrebbe potuto pervenirsi
solo a seguito di una censura (ma ex art. 360 n. 5
c.p.c.) del giudizio di fatto condotto dalla Corte territoriale in merito
al mancato assolvimento dell’onere della prova, ciò che nel ricorso per
cassazione non è dato riscontrare; che è appena il caso di precisare che non
potrebbe all’uopo attribuirsi rilievo alla pregressa cessazione dei rapporti
facenti capo ai lavoratori successivamente riassunti, su cui pure insiste parte
ricorrente richiamando Cass. n. 2747 del 2016,
dal momento che il principio secondo cui il consolidamento del licenziamento
per mancata tempestiva impugnazione esclude il diritto del lavoratore
licenziato al trasferimento ex art. 2112 c.c.
vale esclusivamente nei rapporti tra lavoratore licenziato ed azienda
cessionaria, ma non può certo valere di per sé solo ad attribuire a
quest’ultima il diritto allo sgravio ex art. 8, I. n. 223/1991, non
essendo il rapporto contributivo disponibile dalle parti private in
considerazione delle finalità pubbliche della disciplina e delle sue refluenze
sul bilancio pubblico;

che il ricorso, pertanto, va dichiarato
inammissibile, nulla statuendosi sulle spese del giudizio di legittimità per
non avere svolto l’INPS alcuna attività difensiva;

che, in considerazione della declaratoria
d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, d.P.R. n.
115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

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