Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 gennaio 2021, n. 1514

Licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo,
Andamento economico negativo delle strutture, Riduzione dei costi e la
rimodulazione dell’organizzazione di lavoro, Soppressione del posto di lavoro
– Ragioni inerenti ad un incremento della redditività, causalmente
determininanti un mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la
soppressione di una posizione lavorativa, Legittimità del recesso, Scelta
imprenditoriale non sindacabile

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza n. 106 del 4.5.2018 la Corte
d’appello di Cagliari, in sede di rinvio a seguito di ordinanza n. 14871 del 2017 di questa Corte, ha
dichiarato legittimo il licenziamento intimato per giustificato motivo
oggettivo il 16.4.2009 dalla Congregazione figlie di Maria SS.ma M.D.P. e del
B.P. a M.A.E.P. in considerazione dell’andamento economico negativo delle
strutture gestite dalla Congregazione che aveva imposto la riduzione dei costi e
la rimodulazione dell’organizzazione di lavoro, con conseguente soppressione
del posto di lavoro della dipendente che comportava, per il datore di lavoro,
il costo più elevato ed attribuzione delle mansioni alla religiosa Suor A.F.
(che prestava la sua opera senza corresponsione di retribuzione).

2. La P. ha proposto, avverso tale sentenza, ricorso
per cassazione affidato a tre motivi illustrati da memoria. La Congregazione ha
depositato controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente
denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 della legge n. 604 del
1966, nonché dell’art. 2697 cod.civ. (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.)
avendo, la Corte distrettuale, invertito, nella sua disamina, il rapporto di
necessaria causalità tra soppressione della posizione del lavoratore e
riassegnazione delle sue mansioni ad altro personale, ritenendo erroneamente
che quest’ultima possa essere causa della prima e non già il contrario.

2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente
denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e 5 della legge n. 604
del 1966, (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.
proc. civ.) avendo, la Corte distrettuale, valutato la sussistenza del  giustificato motivo di recesso con riguardo
ad un motivo diverso da quello addotto nella lettera di licenziamento
(trascritta solo in parte) ossia con riguardo alla crisi economica della
Congregazione nel suo complesso in luogo dell’andamento economico della
specifica residenza sanitaria diretta dalla P., nonostante sin dal ricorso introduttivo
del giudizio era stato sottolineato che il bilancio della Rsa cui era adibita
la P. era assolutamente positivo fin dal 2015 e la situazione di crisi era da
imputare ad altre strutture gestite dalla Congregazione.

3. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente
denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 della legge n. 604 del
1966, nonché degli artt. 1345, 2697, 2909 cod.civ.
(ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.)
avendo, la Corte distrettuale, trascurato di utilizzare – quale elemento
presuntivo della inesistenza del nesso causale tra l’asserita riorganizzazione
aziendale e l’intimato licenziamento – la circostanza (non contestata e su cui
si è formato giudicato) dell’esistenza di contrasti interni tra il personale
religioso e la P..

4. Il primo motivo è infondato.

Questa Corte ha già affermato, con ampia
argomentazione che il collegio intende in questa sede ribadire, che la ragione
inerente all’attività produttiva (art. 3 legge n. 604 del 1966)
è quella che determina un effettivo ridimensionamento riferito alle unità di
personale impiegate in una ben individuata posizione lavorativa, a prescindere
dalla ricorrenza di situazioni economiche sfavorevoli o di crisi aziendali
(cfr. Cass. n. 25201 del 2016, Cass. n. 10699 del 2017, Cass. n. 24882 del 2017). La modifica della
struttura organizzativa che legittima l’irrogazione di un licenziamento per
giustificato motivo oggettivo può essere colta sia nella esternalizzazione a
terzi dell’attività a cui è addetto il lavoratore licenziato, sia nella
soppressione della funzione cui il lavoratore è adibito sia nella ripartizione
delle mansioni di questi tra più dipendenti già in forze (Cass. n. 21121 del 2004, Cass. n. 13015 del 2017, Cass. n.24882 del 2017) sia nella innovazione
tecnologica che rende superfluo il suo apporto, sia nel perseguimento della migliore
efficienza gestionale o produttiva o dell’incremento della redditività, fermo
restando, da una parte, la non sindacabilità dei profili di congruità ed
opportunità delle scelte datoriali (come previsto dall’art. 30, comma 1, della legge n. 183
del 2010, nonché, con lo stesso fine, dagli artt. 27, comma 3, e 69, comma 3, del decreto legislativo
n. 276 del 2003 e dall’art. 1,
comma 43, della legge n. 92 del 2012) ma, dall’altra, il controllo sulla
effettività e non pretestuosità della ragione concretamente addotta
dall’imprenditore a giustificazione del recesso nonché sul nesso causale tra
l’accertata ragione e l’intimato licenziamento.

E’ stato anche precisato (cfr. Cass. n. 25201 del 2016 e da ultimo Cass. n. 3819 del 2020) che l’andamento economico
negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di
lavoro debba necessariamente provare, essendo sufficiente che le ragioni
inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, comprese
quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento
della redditività, determinino un effettivo mutamento dell’assetto
organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione
lavorativa; ove, però, il recesso sia motivato dall’esigenza di far fronte a
situazioni economiche sfavorevoli o a spese di carattere straordinario, ed in
giudizio se ne accerti in concreto, l’inesistenza, il licenziamento risulterà
ingiustificato per la mancanza di veridicità e la pretestuosità della causale
addotta; inoltre è sufficiente, per la legittimità del recesso, che le addotte
ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro,
comprese  quelle dirette ad una migliore
efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, causalmente
determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la
soppressione di una individuata posizione lavorativa, non essendo la scelta
imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del posto di lavoro
sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità (cfr. Cass. n. 10699 del 2017).

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha
accertato la ricorrenza di una ristrutturazione organizzativa determinata
dall’esigenza di ridurre i costi delle attività gestite dalla Congregazione
(vista “l’esistenza a partire dal 2006 di un passivo di bilancio di
diverse centinaia di migliaia di euro” che “nell’anno 2008 aveva
superato il milione di euro”) e tale da integrare legittimamente il
presupposto dettato dall’art. 3
della legge n. 604 del 1966. Il riscontro di effettività ha correttamente
riguardato la scelta aziendale di sopprimere il posto di lavoro occupato dalla
lavoratrice (Responsabile della struttura) e la verifica del nesso causale tra
soppressione del posto e le ragioni dell’organizzazione aziendale addotte a
sostegno del recesso (adibizione di una religiosa appartenente alla Comunità
con conseguente soppressione di costi del lavoro e consistente risparmi annuali
al fine di ripianare una situazione economica compromessa).

5. Il secondo motivo è inammissibile.

Ove il ricorrente abbia voluto evocare la violazione
del principio di immutabilità della contestazione, trattasi di questione che
non risulta affatto affrontata nella sentenza impugnata e la ricorrente non
indica in quale atto difensivo e in quale momento processuale la questione
sarebbe stata introdotta, le ragioni del suo rigetto ed i motivi con i quali è
stata riproposta al giudice del gravame, con ciò violando gli oneri di
autosufficienza del ricorso per cassazione (Cass., n. 23675 del 2013; Cass. n. 23073 del 2015).

Invero, la ricorrente si limita a richiamare alcuni
passi del ricorso introduttivo del giudizio ove si sottolineava, con riguardo
agli elementi di fatto della controversia, l’andamento positivo del bilancio
della residenza sanitaria gestita dalla P. fin dal 2015 [rectius 2005] e negli
anni successivi nonchè la situazione di crisi delle altre residenze facenti
capo alla Congregazione e si chiedeva l’espletamento di una consulenza tecnica
contabile. Trattasi di censura inammissibile in quanto la ricorrente si induce
ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertate
e ricostruite dalla Corte territoriale, mentre la valutazione delle risultanze
probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a
sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati in via
esclusiva al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio
convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di
altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre
(pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra
altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza
essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza
processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva.

6. Il terzo motivo non è fondato.

Questa Corte ha affermato che, in tema di
licenziamento nullo perché ritorsivo, il motivo illecito addotto ex art. 1345 cod.civ. deve essere determinante, cioè
costituire l’unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il
motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro
giudiziale; ne consegue che la verifica dei fatti allegati dal lavoratore, ai
fini all’applicazione della tutela prevista dall’art. 18, comma 1, st.lav.
novellato, richiede il previo accertamento della insussistenza della causale
posta a fondamento del licenziamento (Cass. n.
9468 del 2019; cfr. altresì Cass. n. 23583 del
2019 che ha confermato la sentenza impugnata che, solamente dopo avere
escluso la sussistenza in concreto del giustificato motivo, aveva posto in
relazione tra loro gli elementi indiziari acquisiti al giudizio per valutare il
carattere ritorsivo del licenziamento).

Il motivo illecito può ritenersi esclusivo e
determinante quando il licenziamento non sarebbe stato intimato se esso non ci
fosse stato, e quindi deve costituire l’unica effettiva ragione del recesso,
indipendentemente dal motivo formalmente addotto.

L’esclusività sta a significare che il motivo
illecito può concorrere con un motivo lecito, ma solo nel senso che
quest’ultimo sia stato formalmente addotto, ma non sussistente nel riscontro
giudiziale. Il giudice, una volta riscontrato che il datore di lavoro non abbia
assolto gli oneri su di lui gravanti e riguardanti la dimostrazione del
giustificato motivo oggettivo, procede alla verifica delle allegazioni poste a
fondamento della domanda del lavoratore di accertamento della nullità per
motivo ritorsivo, il cui positivo riscontro giudiziale dà luogo
all’applicazione della più ampia e massima tutela prevista dal primo comma
dell’art. 18 I. n. 300/70.

Nel caso in esame, la Corte distrettuale si è
conformata ai principi di diritto espressi da questa Corte e, una volta
accertata la sussistenza di un giustificato motivo oggettivo di recesso, ha
correttamente ritenuto superfluo indagarne il carattere ritorsivo in quanto
mancante il requisito determinante dell’efficacia determinativa esclusiva.

7. In conclusione, il ricorso va rigettato e le
spese del presente giudizio di legittimità sono compensate in considerazione
della novità della questione trattata.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro
200,00 per esborsi e in euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre spese
generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 gennaio 2021, n. 1514
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: