Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 gennaio 2021, n. 1535

Tributi, IRAP, Promotore finanziario, Impresa familiare

 

Ritenuto che

 

1. G.S., esercente l’attività di promotore
finanziario, impugnava, con ricorso proposto davanti alla Commissione
Tributaria Provinciale di Frosinone, il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza
di rimborso dei versamenti IRAP relativi agli anni 2006-2010.

2. La CTP accoglieva parzialmente il ricorso
riconoscendo il rimborso limitatamente alle annualità 2007-2010.

3. Sull’impugnazione proposta dalla Agenzia delle
Entrate la Commissione Tributaria Regionale del Lazio rigettava l’appello sul
rilievo che il contribuente svolgeva la propria professione di promotore
finanziario con l’esclusivo apporto del proprio impegno senza l’ausilio di
rilevanti mezzi specifici.

5 Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso
per Cassazione l’Agenzia delle Entrate affidandosi a due motivi. Il
contribuente si è costituito depositando controricorso.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo di impugnazione denuncia la
ricorrente violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 2, comma 1°, e 3 comma 1°, lett. c) del d.lvo 446/1997,
in relazione all’art. 360 1° comma nr. 3 cpc,
per la mancata valorizzazione da parte della CTR della disponibilità di ingenti
beni strumentali, di due sedi operative e di un collaboratore partecipante
all’impresa familiare.

1.1. Con il secondo motivo il ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 111,
VII comma Cost. 132 II comma nr 4 cpc, 118 disp. att. cpc, 36 comma 2 nr 4) e 49 d.lvo 546/1992 avendo il
Giudice di appello fornito una motivazione apparente in punto di prova circa la
sussistenza o meno di una autonoma organizzazione.

2. Il primo motivo del ricorso è fondato con
assorbimento del secondo.

2.1 Le ragioni poste a sostegno dell’impugnata
sentenza sono le seguenti: <<nel caso di specie, risulta che il
contribuente, esercente attività di promotore finanziario, svolge la propria
professione con l’esclusivo apporto del proprio impegno, senza l’ausilio di
rilevanti mezzi specifici, non potendosi ritenere che l’elenco dei beni
strumentali, inserito nel libro dei cespiti, sia tale da costituire un valore
aggiunto per l’attività suddetta, tale da poterne accrescere in capacità
contributiva e non sia piuttosto una serie di beni di entità e valore minimo
assolutamente indispensabili per l’esercizio della attività in
questione>>.

2.2 Orbene risulta accertato attraverso la lettura
della stessa pronuncia della CTR oltre che da quella di primo grado e
dall’esame delle controdeduzioni dell’Agenzia versate agli atti, che l’Agenzia
delle Entrate abbia prospettato l’esistenza nella gestione dell’attività professionale
di promotore finanziario di una impresa familiare che si avvaleva della
collaborazione del figlio del contribuente. Risulta, inoltre, sempre dagli atti
di causa, che l’Agenzia delle Entrate, quale elemento sintomatico
dell’esistenza del requisito dell’autonoma organizzazione, abbia dedotto che il
ricorrente svolgesse la propria attività in due distinti luoghi di esercizio:
in Frosinone via (…) e, sempre in Frosinone, alla via (…) nr.l.

2.3 La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel
ritenere che l’autonoma organizzazione ricorre non solo quando il contribuente
impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod prelumque accidit, il
minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di
organizzazione ma anche quando si avvalga in modo non occasionale di lavoro
altrui che superi la soglia di un collaboratore che esplichi mansioni di
segreteria ovvero meramente esecutive (cfr. Cass.
S.U. 9451/2016).

2.4 Con particolare riferimento all’impresa familiare
si è precisato che <<tutti i soggetti che producono reddito di impresa
commerciale ed agricola sono tenuti al versamento dell’imposta regionale sulle
attività produttive, istituita con il d.lvo
446/1997, laddove non espressamente esentati, e quindi anche le imprese
familiari di cui all’art 230 bis cc>>
(cfr. Cassa, nr 10777/2013 e 12616/2016). Si è così ritenuto che <<
mentre il reddito derivante dall’impresa familiare e risultante alla
dichiarazione dei redditi viene imputato, a determinate condizioni,
proporzionalmente alla rispettiva quota di partecipazione dei partecipanti (ma
l’imprenditore deve essere titolare come minimo del 51%) l’imprenditore
familiare, non i familiari collaboratori, è anche soggetto passivo IRAP, in
quanto detta imposta colpisce il valore della produzione netta dell’impresa e
la collaborazione dei partecipanti all’impresa familiare integra quel quid
pluris dotato di attitudine a produrre una ricchezza ulteriore (o valore
aggiunto) rispetto a quella conseguibile con il solo apporto lavorativo
personale del titolare (etero organizzazione dell’esercente l’attività)
>>(Cass. n. 10777/2013, 24060/16 e 14769/2018).

2.5 I giudici di seconde cure non hanno fatto buon
governo dei principi sopra esposti in quanto hanno fondato il proprio
convincimento circa l’assenza di autonoma organizzazione sul solo parametro
rappresentato dai beni strumentali mentre in alcun passaggio argomentativo
dell’impugnata sentenza vengono apprezzati gli elementi, forniti dall’Ufficio
,-costituiti dal rapporto di collaborazione e dall’esercizio dell’attività in più
sedi operative – sintomatici della sussistenza del presupposto impositivo
dell’autonoma organizzazione.

3. L’accoglimento del primo motivo determina
l’assorbimento del secondo in quanto l’accertamento in fatto della
occasionalità o meno delle collaborazione è oggetto del giudizio di rinvio.

4. La sentenza va, pertanto, cassata e la causa va
rinviata alla Commissione tributaria regionale del Lazio, affinchè, alla luce
dei principi sopra esposti, riesamini il merito della controversia.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo del ricorso assorbito il
secondo cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia,
anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Commissione
tributaria regionale del Lazio in diversa composizione.

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