Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 gennaio 2021, n. 1757

Nullità del licenziamento, Natura illecita, Esistenza di un
unico rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze del committente,
Interposizione fittizia, Eccezione di decadenza dalla domanda

 

Rilevato che

 

1. il Tribunale di Velletri aveva rigettato
l’opposizione proposta da A.C. ai sensi dell’art. 1, comma 57, I. 92/12 in
relazione alla domanda di accertamento della nullità del licenziamento intimato
dalla Cooperativa S. perché di natura illecita e dell’esistenza di un unico
rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze della S.p.a. J.&J., con
condanna di quest’ultima alla reintegrazione della lavoratrice, per mancanza
del presupposto di applicabilità della tutela reale, ossia di un licenziamento;
lo stesso Tribunale aveva, poi, dichiarato improponibile la domanda subordinata
di accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimato dalla cooperativa
e dell’esistenza di un unico rapporto di lavoro alle dipendenze della J.&J.
s.p.a. con richiesta di condanna di quest’ultima al risarcimento del danno
corrispondente alle retribuzioni maturate dal licenziamento, ritenendo che vi
fosse stata una mutatio libelli non consentita dall’art. 1, comma 51, I. 92/2012;

2. la Corte d’appello di Roma, con sentenza del
12.4.2018, ritenuta l’inammissibilità della documentazione prodotta da parte
reclamante unitamente alla memoria integrativa autorizzata – in quanto tardiva
e volta a sanare decadenze in cui la parte era incorsa con il rito precedente,
non potendo il mutamento del rito comportare il superamento di decadenze già
verificatesi -, respingeva il reclamo proposto da A.C. avverso la decisione del
giudice dell’opposizione;

2.1. la Corte distrettuale riteneva l’insussistenza
dei requisiti di applicabilità dell’art.
1, comma 47 e ss., della I. 92/2012 e la presenza dei presupposti per il
mutamento del rito erroneamente non disposto dal giudice del primo grado di
giudizio, conclusosi con una non condivisa pronuncia di mera inammissibilità;

2.2. affermava che in detta evenienza la causa non
potesse essere rimessa al Tribunale, non ricorrendo alcuna delle ipotesi
previste dagli artt. 353 e 354 c.p.c.;

2.3. sul rilievo che era insussistente un
licenziamento intimato dalla J.&J., la Corte osservava, poi, che era
ammissibile la tardiva formulazione della domanda subordinata, che si fondava
sui medesimi presupposti di fatto di quella principale, ossia sull’esistenza di
una interposizione fittizia, ma che era fondata l’eccezione di decadenza
sollevata dalla J.&J. ai sensi dell’art. 32, comma 4, lett. d) I.
183/2010, con conseguente preclusione dell’impugnazione di rapporti di
lavoro intrattenuti precedentemente alla data del 2.1.2014;

2.4. quanto all’eccezione formulata dalla S. con
riguardo all’impugnativa del licenziamento, ne riteneva ugualmente la
fondatezza, per avere la C. depositato il ricorso introduttivo del giudizio il
13.12.2015, ossia 238 gg. dopo l’impugnativa del recesso con lettera del
20.6.2014;

2.5. con riferimento al merito, riteneva infondata
la domanda della lavoratrice, evidenziando che la stipulazione di un subappalto
tra C.L. e la Cooperativa S. influisse unicamente nei rapporti interni con la
s.p.a. J.&J., legittimando quest’ultima, eventualmente, a recedere dal
contratto di appalto per inadempimento, ma osservava che tale duplicità di
rapporti nulla toglieva alla validità del contratto stipulato con C.;

2.6. riteneva non provati l’eterodirezione da parte
della J.&J. e l’assoggettamento della C. al potere gerarchico e disciplinare
promanante dalla prima, avendo l’istruttoria orale confermato la genuinità
dell’appalto;

3. di tale decisione domanda la cassazione la C.,
affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, la
società J.&J.;

4. la S. Società Cooperativa è rimasta intimata;

5. Il P.G. ha fatto pervenire il proprio parere
scritto e le parti costituite hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis. 1 c.p.c.

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo, A.C. denunzia violazione e
falsa applicazione dell’art. 29,
co. 1 e 3 bis, e dell’art. 27, co.
2, del d.Igs. 276/2003, in relazione all’art.
2697 c.c. sulla ripartizione dell’onere probatorio, sostenendo che la
J.&J. s.p.a. aveva appaltato alla C.L. Italia s.p.a. l’attività di
“C.andC.” dal marzo 2010 al 31.5.2014, sicché la C., dipendente della
Cooperativa S., aveva svolto la suddetta attività di “C.andC.” in
favore della J.&J., in mancanza sia di un contratto di appalto tra
quest’ultima e la S. – posto che la predetta attività, secondo la J.&J. era
stata appaltata a C.L. Italia – sia di un subappalto tra C.L. Italia e Cooperativa
S., in grado di giustificare l’attività lavorativa della C.;

1.1. secondo la ricorrente, era la J.&J. a
dovere assolvere l’onere probatorio relativo alla sussistenza di un regolare
contratto di subappalto con la società S. ai fini della regolare prestazione di
attività lavorativa da parte della C., alla luce della disciplina speciale
indicata in rubrica;

2. con il secondo motivo, la ricorrente lamenta
violazione e falsa applicazione dell’art. 4, co. 3, del d. Igs. 150/2011
e degli artt. 439 e 427
c.p.c., in relazione all’art.
1, co. 59, legge 92/2012, rilevando come il giudice del reclamo si sia
limitato a ritenere inammissibili i documenti prodotti in giudizio a seguito
dell’ordinanza del 9.10.2015 di mutamento del rito, omettendo, tuttavia, ogni
motivazione circa la loro “non indispensabilità” ai fini della
decisione;

3. il terzo motivo ascrive alla decisione impugnata
violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost.,
sulla base del rilievo che la contraddittoria decisione del Collegio del
reclamo non garantisca la possibilità di un riesame della questione nel merito
– e quindi anche un riesame delle prove testimoniali – da parte di un diverso
organo giudicante;

4. a prescindere da evidenti profili di
inammissibilità del primo motivo – che risiedono nell’omessa riproduzione, in
violazione del principio di specificità, delle originarie domande articolate in
via principale ed in via subordinata, delle integrazioni di allegazione e prova
a seguito del mutamento del rito disposto dal giudice del gravame e del
contenuto delle difese avversarie – va ritenuto precluso ogni esame con
riguardo alla titolarità di rapporti di lavoro intercorsi tra le parti
precedentemente al 2.1.2014, non essendo stato idoneamente impugnato dalla
ricorrente il capo della sentenza gravata che aveva accolto l’eccezione di
decadenza in relazione all’impugnazione di rapporti antecedenti alla suddetta
data;

4.1. per quant’altro, deve evidenziarsi come i
rapporti tra appaltatori e subappaltatori non rilevano, così come affermato dal
giudice del gravame, rispetto alla questione posta ed alla domanda diretta
all’instaurazione di un rapporto direttamente in capo alla committente, della
quale è stata argomentatamente esclusa la sussistenza dei relativi presupposti,
atteso che l’attività svolta dalla C. è stata accertata come resa per altro
soggetto, diverso dalla J.&J., che non esercitava nei confronti della prima
poteri direttivi e disciplinari;

4.2. peraltro, non risultano chiarite le ragioni per
le quali i contratti di appalto e subappalto, mai contestati, sarebbero
invalidi, né si comprende quale sarebbe, in caso di invalidità del subappalto,
la responsabilità della società committente che, come accertato in causa, non è
mai stata la effettiva datrice di lavoro della C. (licenziata dalla cooperativa
S.), tenuto conto del principio secondo cui la responsabilità solidale del
committente opera, ai sensi dell’art.
29, comma 2, del d. Igs. 276/2003, con riguardo ad emolumenti aventi natura
strettamente retributiva e concernenti il periodo del rapporto lavorativo coinvolto
dall’appalto, non applicandosi tale regime alle conseguenze del licenziamento
illegittimo (cfr. Cass. 30.10.2018 n. 27678);

4.3. la decisione, per quanto detto, non è stata
fatta oggetto di specifica censura sul punto e non può ritenersi correttamente
invocata nella specie la violazione dell’art. 2697
c. c., in quanto non si tratta propriamente di inversione degli oneri
probatori, poiché, in realtà, una tale situazione non è quella rappresentata
nel motivo anzidetto e la relativa doglianza è mal prospettata, tendendo
unicamente ad una rivisitazione del merito, non consentita nella presente sede
di legittimità;

5. con riferimento al secondo motivo, non si
indicano i documenti di cui si lamenta la mancata acquisizione agli atti di
causa e non si precisa se gli stessi si riferiscano a periodo posteriore al 2
gennaio 2014: la decisione, che si fonda anche su ragioni di tardività di
deposito di documentazione già disponibile, è in linea con quanto affermato da Cass. 22.4.2010 n. 9550, a tenore della quale,
seppure con riferimento ad un caso non sovrapponibile, ma utilmente
richiamabile, il mutamento del rito da ordinario a speciale non determina –
neppure a seguito di fissazione del termine perentorio di cui all’art. 426 cod. proc. civ. per l’integrazione degli
atti introduttivi – la rimessione in termini rispetto alle preclusioni già
maturate alla stregua della normativa del rito ordinario, dovendosi correlare
tale integrazione alle decadenze di cui agli artt.
414 e 416 cod. proc. civ. e non valendo la
stessa a ricondurre il processo ad una fase anteriore a quella già svoltasi
(cfr. anche, tra le tante successive, Cass. 28.4.2017 n. 10569, Cass.
21.12.2018 n. 33178, sia pure in tema di passaggio da rito ordinario a rito
speciale);

5.1. la evidenziata mancanza di specificità è
ostativa, in ogni caso, rispetto ad ogni valutazione in ordine al carattere di
decisività ed indispensabilità della documentazione, genericamente richiamata,
ed in ordine alla avvenuta violazione del principio suddetto da parte del
giudice del gravame;

6. infine, quanto al terzo motivo, è sufficiente
osservare che “i casi che impongono la rimessione della causa al giudice
di primo grado sono espressamente indicati dagli artt.
353 e 354 cod. proc. civ.” e che
“al di fuori dei casi ivi tassativamente previsti non è possibile la
rimessione al primo giudice, secondo quanto esplicitato dall’art. 354, la cui disposizione esprime una norma
conforme a Costituzione, giacché non esiste garanzia costituzionale del doppio
grado di giurisdizione di merito” (cfr. Cass. 6.9.2007 n. 18691);

6.1. nel caso in considerazione, il giudice del
gravame ha rilevato l’erronea declaratoria di inammissibilità del giudice di
primo grado ed ha condivisibilmente trattenuto la decisione sul merito a lui
devoluta con l’impugnazione, disponendo preliminarmente il mutamento del rito,
in ragione del rilevato difetto dei requisiti che consentivano l’applicabilità
del comma 47 dell’art. 1 della I.
92/2012;

7. alla luce delle esposte argomentazioni, il
ricorso va complessivamente respinto;

8. le spese del presente giudizio seguono la
soccombenza della ricorrente e sono liquidate, in favore della
controricorrente, nella misura indicata in dispositivo;

9. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115
del 2002;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per
esborsi, euro 4500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e
accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13,
comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma 1-bis, del citato
D.P.R., ove dovuto.

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