La richiesta del trattamento di assistenza per il caso di bisogno previsto per gli avvocati iscritti da un regolamento della Cassa di previdenza forense non può “sforare” i requisiti stabiliti dal regolamento stesso.

Nota a Cass. (ord.) 2 dicembre 2020, n. 27541

Francesca Albiniano

L’accesso alla prestazione previdenziale anche all’avvocato che, superando (seppur di poco) la soglia stabilita in uno solo dei due anni previsti dal regolamento, ciò nonostante versi in stato di bisogno”, non è ammissibile.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione (ord. 2 dicembre 2020, n. 27541, conforme ad App. Catania n. 429/2017), la quale ha osservato che, a seguito del D.LGS. n. 509/1994 e della connessa delegificazione della relativa disciplina, per quanto concerne sia il rapporto contributivo che gli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza (fra i quali la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense) intrattengono con i loro iscritti, che il rapporto previdenziale relativo alle prestazioni che essi sono tenuti a corrispondere ai beneficiari, “la determinazione della relativa disciplina è stata affidata dalla legge all’autonomia regolamentare degli enti, i quali, nel rispetto dei vincoli costituzionali ed entro i limiti delle loro attribuzioni, possono dettare disposizioni anche in deroga a disposizioni di legge precedenti (così, Cass. n. 5287/2018 e Cass. n. 24202/2009).

Regolamenti della Cassa forense e “sforamento” dei requisiti
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