Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 febbraio 2020, n. 2164

Omissione contributiva, Regolarizzazione della posizione
assicurativa, Domanda all’Inps, Rigetto, Erede della datrice di lavoro

Rilevato che

con sentenza n. 148 del 30 aprile 2015, la Corte
d’appello di Genova ha accolto l’impugnazione proposta da I.M. nei confronti
dell’INPS e di M.C. (chiamata in causa dall’INPS) avverso la sentenza di primo
grado di rigetto della domanda proposta dalla stessa M., nei confronti
dell’INPS, al fine di ottenere dall’Istituto la regolarizzazione della propria
posizione assicurativa, con accredito dei contributi omessi dalla datrice di
lavoro relativamente al periodo 1.1.2007- 14.10.2010 ;

a fondamento della decisione, la Corte territoriale,
ritenuta provata la sussistenza del rapporto di lavoro nel periodo contestato,
ha fatto applicazione del disposto dell’art. 2116
c.c., accertando il diritto della M. alla regolarizzazione della propria
posizione assicurativa con accredito dei contributi omessi dal datore di lavoro
ed ha dichiarato inammissibile la domanda proposta dall’Inps nei riguardi di
M.C. (erede della datrice di lavoro); avverso tale sentenza, ricorre l’INPS
sulla base di due motivi: violazione e falsa applicazione dell’art. 2116 c.c. in relazione all’art. 360, primo comma n. 3 c.p.c.; in particolare,
si denuncia l’erronea applicazione della disposizione posto che nessuna
prestazione era stata domandata ma si era lamentata la carenza di
contribuzione; 2) violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e degli artt.
436 e 343 c.p.c. laddove la domanda
formulata dall’INPS in via subordinata era stata rigettata ritenendosi formato
un giudicato interno, seppure l’INPS fosse rimasto totalmente vittorioso in
primo grado, per cui non era stato gravato di alcun onere di impugnativa;
resiste con controricorso I.M.;

M.C. non ha svolto attività difensiva;

il RG. ha concluso chiedendo l’accoglimento del
primo motivo con assorbimento del secondo ed in subordine il rigetto del
secondo;

 

Considerato che

 

Il primo motivo è fondato;

la sentenza impugnata ha ritenuto, nella sostanza,
l’INPS soggetto garante della regolarità della posizione contributiva della
lavoratrice e ciò per effetto del cd. principio di automaticità delle
prestazioni, previsto dall’art. 2116 c.c. come
interpretato dalla sentenza di questa Corte di cassazione n.5767 del 2002;

la questione dibattuta è relativa alla tutela della
integrità della posizione contributiva del lavoratore;

questa Corte di legittimità ha senz’altro affermato
( vd. da ultimo Cass. n. 3661 del 2019) che il
lavoratore, sulla base delle previsioni contenute nella L. n. 153 del 1969, art. 39 e
della L. n. 467 del 1978, art.
4, ha un vero e proprio diritto soggettivo al regolare versamento dei
contributi previdenziali in proprio favore ed alla conformità alle prescrizioni
di legge della propria posizione assicurativa, costituendo questa un bene
suscettibile di lesione e di tutela giuridica nei confronti del datore di
lavoro che lo abbia pregiudicato (cfr. Cass. 23 novembre 1989 n. 379; n. 9850
del 2002) ed ogni qualvolta non trovi applicazione il principio
dell’automaticità delle prestazioni previdenziali fissato dall’art. 2116 c.c., o il lavoratore subisca
pregiudizio nella realizzazione della tutela previdenziale, egli ha diritto ad
essere risarcito dal datore di lavoro ai sensi del disposto dell’art. 2116 c.c., comma 2;

si è pure affermato che l’azione a tutela della
posizione previdenziale nei confronti del datore di lavoro, possa avere ad
oggetto la condanna del datore di lavoro al pagamento della contribuzione non
prescritta ed in tal caso va chiamato necessariamente in giudizio anche l’Ente
previdenziale in quanto unico legittimato attivo nell’obbligazione contributiva
(Cass. n. 19398 del 2014; Cass. n. 8956 del 2020);

diversamente, in caso di prescrizione del credito
contributivo, si giustifica l’azione risarcitoria una volta che si siano
realizzati i requisiti per l’accesso alla prestazione previdenziale poichè tale
situazione determina l’attualizzarsi per il lavoratore del danno patrimoniale
risarcibile, consistente nella perdita totale del trattamento pensionistico
ovvero nella percezione di un trattamento inferiore a quello altrimenti
spettante (Cass. n. 3790 del 1988; n. 27660 del
2018);

da ciò si evince che l’obbligazione contributiva ha
quale soggetto attivo l’ente assicuratore e quale soggetto passivo il datore di
lavoro, debitore dei contributi nella parte maggiore ( ex art. 2115 c.c.), ovvero nell’intero ( ex art. 23 I. n. 218 del 1952 in
caso di pagamento tardivo o parziale) e ne consegue che il lavoratore non è
legittimato ad agire nei confronti dell’Istituto previdenziale per accertare
l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato, né può chiedere di sostituirsi
al datore di lavoro nel pagamento dei contributi, residuando in suo favore, nel
caso di omissione contributiva, il rimedio dell’art.
2116 cod. civ. e la facoltà di chiedere all’INPS la costituzione della
rendita vitalizia di cui all’art.
13 della legge 12 agosto del 1962, n. 1138 ( Cass.
3491 del 2014);  Cass. n. 6569 del 2010, ha pure precisato che
tale facoltà spetta innanzi tutto al datore di lavoro che abbia omesso di
versare contributi per l’assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e
superstiti e che non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione onde può
chiedere all’Istituto nazionale della previdenza sociale di costituire, nei
casi previsti dal successivo quarto comma, una rendita vitalizia reversibile
pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell’assicurazione obbligatoria
che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi,
mediante il versamento della corrispondente riserva matematica;

analoga facoltà è altresì attribuita al lavoratore,
in sostituzione del datore di lavoro, quando non possa ottenere da quest’ultimo
la costituzione dell’anzidetta rendita, salvo il diritto a risarcimento del
danno ( in tal caso, il lavoratore, per potere agire direttamente nei confronti
dell’Inps, deve allegare e comprovare che non ha potuto far valere questa
pretesa nei confronti del datore di lavoro (cfr, ex plurimis, Cass., n.
23584/2004);

la normativa citata ha dunque la funzione di
consentire al lavoratore, ricorrendone gli specifici presupposti, di eliminare,
attraverso la costituzione della rendita vitalizia, il detrimento pensionistico
conseguente all’intervenuto omesso versamento dei contributi dovuti;  non è invece prevista la regolarizzazione
della posizione assicurativa, in ipotesi di omesso versamento dei contributi da
parte del datore di lavoro, laddove l’Istituto assicuratore, pur se messo a
conoscenza dell’inadempimento contributivo prima della decorrenza del termine
di prescrizione, non si sia attivato per l’adempimento nei confronti del
soggetto obbligato; anche in tale ipotesi, infatti, in difetto di previsione di
diverso segno, la tutela del lavoratore deve ritenersi affidata al ricorso alla
descritta procedura di costituzione della rendita;

con il che deve rilevarsi come non possa trovare
applicazione nel presente  giudizio il
principio affermato dalla sentenza di questa Corte
di cassazione n. 7459 del 2002, siccome resa nell’ipotesi, qui non
ricorrente, in cui il lavoratore non aveva potuto, ne’ avrebbe potuto in
futuro, sopperire ricorrendo ai rimedi apprestati dal legislatore per i casi di
inadempimento datoriale;

la fattispecie relativa a Cass.
7459 del 2002, infatti, era riferita ad ipotesi in cui il diritto alla
regolarizzazione della posizione assicurativa era stato azionato non nei
confronti del datore di lavoro, obbligato al versamento dei contributi, bensì
nei confronti dell’Istituto assicuratore a causa di un duplice ordine di
ragioni tra loro collegate: perché l’Istituto, nonostante la tempestiva
comunicazione della omissione contributiva, non aveva provveduto a riscuotere i
contributi dovuti, lasciando, anzi, trascorrere, il termine di prescrizione e
perché a tale inottemperanza, l’assicurato, alla stregua di un accertamento di
fatto, operato dal Giudice del merito, non aveva potuto e neppure avrebbe
potuto in futuro sopperire ricorrendo ai rimedi apprestati dal legislatore nei
casi di suddetti inadempimenti datoriali;

in siffatta situazione, è apparso conforme al
diritto far gravare sull’Ente – istituzionalmente deputato, oltre tutto, alla
tutela di interessi di rango costituzionale (art.
38 Cost.), – che non si era adeguatamente attivato per la riscossione di un
credito, che, ancorché proprio, vale a soddisfare altro diritto inerente alle
esigenze di vita del lavoratore in caso di invalidità, vecchiaia, ecc. (arg. ex
art. 38, secondo comma Cost.), le conseguenze
che discendono dalla violazione di obblighi di comportamento (ivi compresi
quelli derivanti dalle ordinarie regole di correttezza e diligenza ex art. 1175 e 1176 c.c.)
cui l’Istituto è tenuto nell’ambito del rapporto giuridico con l’assicurato;

si è, quindi, affermato che, ove l’Istituto
previdenziale non abbia provveduto a conseguire dal datore di lavoro i
contributi omessi, nonostante sia venuto tempestivamente a conoscenza
dell’omissione, lo stesso è tenuto a provvedere alla regolarizzazione della
posizione assicurativa del lavoratore, che ne abbia fatto richiesta ad al quale
è precluso ricorrere alla costituzione della rendita ex art. 13 legge n. 1338 del 1962
o all’azione di risarcimento danni ex art. 2116,
secondo comma, c.c. ;

tali circostanze non sono state accertate nel caso
di specie; altrettanto non pertinente è il richiamo a Cass. n. 5767 del 2002,
operato dalla sentenza impugnata, laddove si è fatta applicazione del principio
di automaticità delle prestazioni con riferimento all’istituto della
ricongiunzione, cioè in fattispecie di pregiudizio specifico alla posizione
assicurativa del lavoratore,

determinato oltre che dall’inadempimento datoriale
anche dal diniego opposto dall’Istituto a che operasse la ricongiunzione anche
dei periodi non coperti;

questa Corte di legittimità (Cass. n. 10477 del 2019) ha evidenziato che Cass.
n. 5767 del 20 aprile 2002 come anche Cass. n. 6772 del 10/05/2002 hanno configurato
il diritto all’integrità della posizione previdenziale in casi in cui si era
manifestato un interesse attuale alla definizione della posizione trasferita,
prendendo le mosse dalla sentenza della Corte
Costituzionale n. 374 del 1997, che ha dichiarato non fondata la questione
di legittimità costituzionale della L. n. 29/1979 art. 2, comma 2
e art. 6, comma 2, nella parte
in cui non prevede il principio di automatismo delle prestazioni previdenziali
nei casi di contributi non effettivamente versati, ma dovuti nei limiti della
prescrizione decennale, affermando che tale principio opera anche nel caso di
ricongiunzione, in quanto la gestione di provenienza deve versare a quella di
destinazione anche i contributi dovuti e non riscossi; la presente fattispecie
non poggia su tali presupposti per cui il richiamo al precedente è del tutto
inappropriato;

il primo motivo del ricorso va, pertanto, accolto
restando assorbito il secondo;

la sentenza impugnata va cassata e la domanda
originaria deve essere rigettata;

le spese seguono la soccombenza nella misura
liquidata in dispositivo per ciascun

grado di merito e per il presente giudizio di
legittimità;

 

P.Q.M.

 

accoglie il primo motivo, dichiara assorbito il
secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la
domanda proposta da I.M.; condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali che liquida, quanto al primo grado, in € 1350,00 per compensi,
oltre ad € 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese
accessorie di legge, quanto al grado d’appello, in € 1860,00 per compensi,
oltre ad € 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese
accessorie di legge e, quanto al giudizio di legittimità, in € 2000,00 per
compensi, oltre ad € 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15%
e spese accessorie di legge.

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