Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 gennaio 2021, n. 1758

Nullità del termine apposto ad una serie di contratti,
Sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, Risarcimento
omnicomprensivo, Natura risarcitoria della condanna pecuniaria, Periodi
“non lavorati”, Diritto al TFR, Non sussiste

 

Rilevato che

 

1. con decreto 17 gennaio 2017, il Tribunale di
Lecce rigettava l’opposizione proposta, ai sensi dell’art. 98 I. fall., da A.R.
avverso lo stato passivo del Fallimento S.E. s.p.a., dal quale era stato
escluso il suo credito di € 16.453,69, insinuato a titolo di T.f.r., sulla base
della sentenza del Tribunale di Lecce in funzione di giudice del lavoro, che
aveva accertato la nullità del termine apposto ad una serie di contratti in
virtù dei quali egli aveva prestato attività lavorativa alle dipendenze della
società poi fallita dal 13 giugno 2003 al 15 gennaio 2013 e la sussistenza di
un rapporto di lavoro a tempo indeterminato;

2. tanto il Tribunale aveva ritenuto sul presupposto
della portata risarcitoria della pronuncia, di conversione del rapporto a tempo
determinato in uno a tempo indeterminato e pertanto fonte di un risarcimento
omnicomprensivo (parametrato sulla retribuzione mensile), ancorché anteriore
all’introduzione dell’art. 32,
quinto comma I. 183/2010: con esclusione pertanto della maturazione, in
favore del predetto, per i periodi “non lavorati” di un diritto al
T.f.r., strutturalmente connotato dalla “biunivoca afferenza alla
retribuzione-base rispetto alla quale il trattamento è differito neppure infine
avendo ravvisato la prova dell’effettivo ripristino del rapporto di lavoro in
esito alla suindicata sentenza;

3. con atto notificato il 7 febbraio 2017, il
lavoratore ricorreva per cassazione con due motivi, illustrati da memoria ai
sensi dell’art. 380 bis n. 1 c.p.c., mentre la
curatela fallimentare intimata non svolgeva difese;

4. il P.G. rassegnava le conclusioni con nota
comunicata, ai sensi dell’art. 380 bis n. 1 c.p.c.;

 

Considerato che

 

1. il ricorrente deduce violazione e falsa
applicazione dell’art. 2120 c.c. in relazione
all’art. 2909 c.c., per esclusione del proprio
credito a titolo di T.f.r., benché il Tribunale di Lecce, in funzione di
giudice del lavoro, avesse accertato, con il giudicato n. 12376/10, la nullità
del termine apposto ad una serie di contratti, in virtù dei quali egli aveva
prestato attività lavorativa alle dipendenze della società poi fallita dal 13
giugno 2003 al 15 gennaio 2013 e la sussistenza di un rapporto di lavoro a
tempo indeterminato, comportante il diritto al T.f.r. sulla base delle
“retribuzioni virtuali” spettanti, in esito a detto accertamento e
alla condanna della società datrice, poi fallita, al pagamento della
retribuzione contrattuale dall’1 agosto 2008: con la conseguente insorgenza dell’obbligo
retributivo della datrice e di prestazione della propria attività lavorativa,
inadempiuto per responsabilità della stessa; il lavoratore si doleva
dell’erroneo assunto della natura risarcitoria della condanna pecuniaria
(liquidata in base alla retribuzione soltanto in funzione parametrica del
quantum), in applicazione di un consolidato indirizzo giurisprudenziale poi
recepito nell’art. 32, quinto
comma I. 183/2010 allora non in vigore, a fronte di quella retributiva in
via differita del T.f.r. (primo motivo); omesso esame di un fatto decisivo per
il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale una corretta lettura
della sentenza del Tribunale di Lecce in funzione di giudice del lavoro n.
12376/10, in base alla quale riconoscere il diritto al T.f.r. del lavoratore
(secondo motivo);

2. i due motivi, congiuntamente esaminabili per
ragioni di stretta connessione, sono parzialmente fondati;

3. deve, infatti essere esclusa la violazione del
giudicato n. 12376/10 del Tribunale di Lecce, per le ragioni in appresso
indicate e il suo omesso esame, essendosi anzi (al di là della sua dubbia
consistenza di “fatto storico”) il Tribunale confrontato con esso (al
primo capoverso della parte motiva, a pg. 3 del decreto);

3.1. correttamente il giudicante ha qualificato la
condanna pecuniaria comminata, insieme con la conversione del rapporto di
lavoro, come di natura risarcitoria, in coerenza con il consolidato indirizzo
giurisprudenziale, secondo cui, nel regime previgente la disciplina introdotta
dall’art. 32, quinto comma I.
183/2010, in caso di trasformazione in unico rapporto di lavoro a tempo
indeterminato di più contratti a termine succedutisi tra le stesse parti, per
effetto dell’illegittima apposizione o comunque dell’elusione delle
disposizioni imperative della I. 230/1962, non
sussiste, per gli intervalli “non lavorati” tra l’uno e l’altro
rapporto, il diritto del lavoratore alla retribuzione, al corrispondente rateo
di tredicesima mensilità e al compenso per ferie non godute: mancando una
deroga al principio generale secondo cui la maturazione di tali diritti
presuppone la prestazione lavorativa e considerato che la detta riunificazione
in un solo rapporto, operando ex post, non incide sulla mancanza di
un’effettiva prestazione negli spazi temporali tra contratti a tempo
determinato (Cass. 27 ottobre 2005, n. 20858);
e che peraltro il dipendente, che cessi l’esecuzione delle prestazioni alla
scadenza del termine stabilito, può ottenere il risarcimento del danno subito a
causa dell’impossibilità della prestazione derivante dall’ingiustificato
rifiuto del datore di lavoro di riceverla – in linea generale in misura
corrispondente a quella della retribuzione – soltanto qualora provveda a
costituire in mora il datore di lavoro ai sensi dell’art.
1217 c.c., non essendo applicabili in via analogica le norme della I. 604/1966 e l’art. 18 I. 300/1970, neppure
potendo ritenersi che non occorra la messa in mora, reputandosi, in contrasto
con gli artt. 1206 e 1217
c.c., che l’offerta della prestazione coincida con l’interesse
all’esecuzione ed alla controprestazione (Cass. 27
ottobre 2005, n. 20858): posto che da tale momento si determina una situazione
di mora accipiendi del datore di lavoro, da cui deriva, ai sensi degli artt. 1206 ss. c.c., il diritto del lavoratore al
risarcimento del danno nella misura delle retribuzioni perdute a causa
dell’ingiustificato rifiuto della prestazione (Cass.
s.u. 8 ottobre 2002, n. 14381; Cass. 2 luglio
2009, n. 15515; Cass. 15 luglio 2011, n. 15612);

4. il trattamento di fine rapporto ha carattere
retributivo e sinallagmatico e costituisce istituto di retribuzione differita (Cass. 22 settembre 2011, n. 19291; Cass. 14 maggio 2013, n. 11479; Cass. 8 gennaio 2016, n. 164: tutte in ipotesi di
trasferimento d’azienda, con riguardo agli obblighi relativi al cedente e al
cessionario), commisurato nell’ammontare al quantum maturato, anno per anno, a
titolo di retribuzione;

5. tuttavia, l’accertamento giudiziale
dell’invalidità del contratto a termine per violazione di norme imperative e la
conseguente conversione in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato,
nell’ipotesi in cui non sia possibile ripristinare il rapporto così convertito,
per fatto imputabile al datore di lavoro, comporta il suo obbligo di
corrispondere le retribuzioni al lavoratore dalla messa in mora, decorrente
dall’offerta della prestazione lavorativa in virtù dell’interpretazione
costituzionalmente orientata delle norme generali in tema di contratti a
prestazioni corrispettive (Cass. 10 settembre
2018, n. 21947, in fattispecie identica nel solco di Cass. s.u. 7 febbraio
2018, n. 2990, che, seppure in relazione a fattispecie di interposizione
fittizia di manodopera, ha espresso un principio di diritto dichiaratamente
attinente al “più generale fenomeno dell’incoercibilità del comportamento
e della cooperazione datoriale, strettamente correlato al principio di
necessaria effettività della tutela processuale e, dunque, della piena
attuazione dei diritti del lavoratore”, per il quale un’interpretazione
costituzionalmente conforme – sia della specifica disciplina di cui all’art. 29 d.lg. 276/2003, sia degli
artt. 1453 ss. c.c.quale
normativa generale del codice civile in tema di contratti a prestazioni
corrispettive – induce al superamento della regola sinallagmatica della
corrispettività);

6. necessità di un accertamento, in applicazione del
superiore principio di diritto, della previa costituzione in mora del
lavoratore nei confronti della società datrice poi fallita, essendosi il
Tribunale leccese limitato al rilievo di mancanza di prova del ripristino del
rapporto in esito alla sentenza n. 12376/10 dello stesso Tribunale, in funzione
di giudice del lavoro (all’ultimo capoverso di pg. 3 del decreto);

7. pertanto il ricorso deve essere accolto nei
limiti suindicati, con la cassazione del decreto impugnato e rinvio, anche per
la regolazione delle spese del giudizio legittimità, al Tribunale di Lecce in
diversa composizione;

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in
motivazione; cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per la regolazione
delle spese del giudizio legittimità, al Tribunale di Lecce in diversa
composizione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 gennaio 2021, n. 1758
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: