Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 febbraio 2021, n. 2295

Regolarizzazione previdenziale e contributiva, Scelta dei
testi . Espressa eccezione di “parenti o affini” sulla base della motivazione
della maggiore attendibilità dei soggetti estranei alla sfera familiare dei
contendenti, Esercizio illegittimo del potere di riduzione delle liste
testimoniali sovrabbondanti

 

Rilevato che

 

con sentenza del 18.7.2018, la Corte di appello di
Milano ha respinto il gravame di G.Z. (iscritto al R.G.Appello Lavoro nr. 289
del 2016) e confermato la decisione di primo grado con la quale quest’ultima
era stata condannata al pagamento, in favore della lavoratrice A.A.S., dante
causa degli odierni controricorrenti, di Euro 56.671,93 a titolo di differenze
di retribuzione, di cui euro 11.520,22 a titolo di TFR, oltre accessori e
regolarizzazione previdenziale e contributiva;

controversi, tra le parti, gli aspetti concernenti
la retrodatazione del rapporto di lavoro subordinato con la de cuius e le
concrete modalità del suo svolgimento, la Corte territoriale ha condiviso
integralmente l’istruttoria – e l’interpretazione delle relative risultanze –
operata dal primo giudice; a tale riguardo, ha ritenuto maggiormente
attendibili, rispetto a quelle del teste F., le deposizioni dei testi S. e R.,
in ragione sia della loro estraneità rispetto alle parti, sia della univocità e
concordanza delle dichiarazioni, numericamente prevalenti;

per ciò che qui maggiormente rileva, quanto
all’individuazione dei testimoni da esaminare, la Corte di appello,
pronunciando sullo specifico motivo di gravame, ha osservato come il Tribunale
avesse rimesso alle parti la scelta dei testi (nel limite di due, per
ciascuna), con l’espressa eccezione di «parenti o affini» sulla base
dell’«adeguata motivazione della maggiore attendibilità dei soggetti estranei
alla sfera familiare delle contendenti»; la Corte territoriale ha, inoltre,
respinto la richiesta di acquisizione dei «documenti ulteriori» (6° cpv., pag.
7 sent. impugnata) in quanto «tutti di formazione antecedente al deposito della
memoria difensiva di primo grado»; in proposito, ha, anche, osservato come «non
vi (fosse), peraltro, alcun elemento per ritenere che gli stessi attest(assero)
il pagamento di somme ulteriori, rispetto a quelle risultanti dalle buste paga
a titolo di competenze di fine rapporto e TFR in ragione delle condizioni di
formale assunzione della lavoratrice, non comprese nella quantificazione
operata dal CTU di primo grado»;

avverso la decisione, ha proposto ricorso per cassazione
G.Z., articolato in quattro motivi;

hanno resistito i controricorrenti indicati in
epigrafe, nella qualità di eredi;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis cod.proc.civ., ritualmente comunicata
alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di
consiglio;

 

Considerato che

 

con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta
violazione degli artt. 244, 245 e 209
cod.proc.civ. e dell’art. 24 cost.;

le censure investono la sentenza della Corte di
appello nella parte in cui ha ridotto la lista testimoniale della ricorrente,
escludendo dalla stessa le persone legate alla parte (id est: alla ricorrente)
da un vincolo di parentela;

secondo la parte ricorrente, in tal modo, la
sentenza si porrebbe in contrasto con l’art. 244
cod.proc.civ., che non vieta l’esame di persone legate da rapporti di
parentela con le parti del processo, salvo le ipotesi di cui all’art. 246 cod.proc.civ.; sotto diverso profilo, la
statuizione risulterebbe viziata in ragione di una aprioristica valutazione di
inattendibilità di dette persone;

con il secondo motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.- è dedotta la
violazione degli artt. 115, 116 e 437
cod.proc.civ. per omessa valutazione e comunque per omessa ammissione delle
prove precostituite e delle prove orali dedotte; parte ricorrente lamenta la
mancata ammissione di una serie di documenti che dimostrerebbero il pagamento
di acconti a titolo di TFR;

con il terzo motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 e nr. 4 cod.proc.civ.- è dedotta la
violazione degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ. e il travisamento della prova
perché erroneamente supposta; è criticata la valutazione di inattendibilità
espressa in relazione al teste F.A., in quanto convivente della ricorrente;
sotto altro profilo, sono contestati gli esiti della disposta CTU per non aver considerato
la somma di € 9.691.06 corrisposta in corso di rapporto; con il quarto motivo
-ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.- è
dedotta la violazione degli artt. 115, 209, 233, 437 cod.proc.civ. e dell’art. 2736 cod.civ., per omessa ammissione del
giuramento decisorio;

il Collegio giudica fondato il primo motivo, con
assorbimento degli altri;

come già sinteticamente esposto nello storico di
lite, a fronte delle critiche espresse dall’appellante (odierna ricorrente)
alla decisione del Tribunale di limitare, in via preventiva, le liste
testimoniali, escludendo dalle stesse i parenti e gli affini delle parti, la
Corte di appello ha osservato come il Giudice avesse esercitato il potere ex art. 245 cod.proc.civ. ed offerto al riguardo,
l’«adeguata motivazione della maggiore attendibilità dei soggetti estranei alla
sfera familiare delle contendenti»; in particolare, l’ordinanza ammissiva della
prova testimoniale, direttamente esaminabile da questa Corte per la natura dei
vizi denunciati, stabilisce di ammettere «[…] a testimoniare […] due
testimoni per parte tra quelli indicati in atti ed a scelta dei difensori con
divieto di addurre in udienza come testimoni parenti o affini delle parti»;

il provvedimento non è corretto;

così pronunciando sulle richieste di prova per
testimoni, il Giudice del merito non ha esercitato il legittimo potere di
riduzione delle liste testimoniali sovrabbondanti (v. in argomento, per tutte,
Cass. nr. 11810 del 2016), perché non si è limitato a ridurre, a due, il numero
di testimoni ma ha escluso persone, tra coloro che erano stati indicati dal
difensore, al di fuori dei limiti consentiti dall’art.
245 cod.proc.civ.;

infatti, venuto meno il divieto di testimoniare
previsto dall’art. 247 cod.proc.civ. per
effetto della sentenza della Corte Cost. nr. 248
del 1974, i soggetti che, come nella specie, sono legati alle parti
processuali dai vincoli di parentela o affinità possono (e devono) essere
sentiti in qualità di testimoni, restando ovviamente salva, al di là della
ricorrenza dell’ipotesi di cui all’art. 246
cod.proc.civ., la successiva valutazione di attendibilità dei testimoni,
all’esito del loro esame;

a tale riguardo è utile ricordare l’insegnamento di
questa Corte secondo cui «In materia di prova testimoniale, non sussiste alcun
principio di necessaria inattendibilità del testimone che abbia vincoli di
parentela o coniugali con una delle parti […], l’attendibilità del teste
legato da uno dei predetti vincoli non può essere esclusa aprioristicamente in
difetto di ulteriori elementi dai quali il giudice del merito desuma la perdita
di credibilità» (così Cass. nr. 25358 del 2015 con i richiami ivi effettuati a
Cass. nr. 1109 del 2006; conformi Cass. nr. 12365 del 2006 e Cass. nr. 4202 del
2011; cfr. anche Cass. nr. 25549 del 2007);

coerentemente con tali premesse, si espone alle
denunciate criticità l’ordinanza che, ai sensi dell’art.
245 cod.proc.civ., ai fini di riduzione delle liste testimoniali
sovrabbondanti, escluda quali testimoni coloro che sono legati alle parti
processuali dai vincoli indicati all’art. 247
cod.proc.civ.- e per il solo fatto di detti vincoli,- in quanto espressione
di un pregiudizio e di un aprioristico giudizio di inattendibilità che non
trova alcun fondamento nel dettato normativo e nei principi della Suprema
Corte;

pertanto, in accoglimento del primo motivo, la
sentenza va cassata e la causa rinviata alla Corte di appello di Milano che, in
diversa composizione, dovrà procedere ad un nuovo esame della fattispecie
concreta, nel rispetto degli esposti principi;

rimane così assorbito l’esame degli altri motivi di
censura che logicamente suppongono che si sia delineata la fase istruttoria;

le spese del presente giudizio di legittimità
saranno liquidate dal giudice del rinvio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri. Cassa
la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di
appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in
merito alle spese del giudizio di legittimità;

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