Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 febbraio 2021, n. 2677

Cartella esattoriale recante, Recupero di sgravi contributivi
fruiti, Violazione della normativa europea sugli aiuti di stato, Istanza di
rimessione della questione di legittimità costituzionale, Non fondata

 

Premesso che

 

1. Con sentenza dell’8 febbraio 2014, la Corte
d’Appello di Venezia ha dichiarato -ex articolo 1 comma 356 della legge
228 del 2012- estinto il procedimento relativo a opposizione a cartella
esattoriale recante recupero di sgravi contributivi fruiti in violazione della
normativa europea sugli aiuti di stato e ha dichiarato manifestamente infondate
le questioni di legittimità costituzionale della normativa suddetta, proposte
dall’Hotel C..

2. Avverso tale sentenza ricorre l’hotel C. con tre
articolati motivi, cui resiste con controricorso l’INPS.

 

Considerato che

 

3. Con il primo motivo si deduce violazione dell’articolo 1 commi 351-356 della legge 228 del 2012
per incostituzionalità della relativa disciplina e si fa istanza di rimessione
della questione alla Corte Costituzionale.

4. Con il secondo motivo di ricorso si deduce
violazione dell’articolo 117 Cost. in relazione
all’articolo 6 CEDU.

5. Con il terzo motivo di ricorso si deduce
violazione dell’articolo 112 c.p.c. e del
principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e nullità della sentenza
per omessa pronuncia ex art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c.,
per avere la sentenza impugnata pronunciato l’estinzione del giudizio piuttosto
che esaminare nel merito le varie questioni sollevate dalla parte e sulle quali
si richiedeva pronuncia giurisdizionale.

6. I motivi possono essere esaminati congiuntamente:
essi sono infondati.

7. In particolare, sostiene la difesa della società
che dalla lettura dei commi da
351 a 356 dell’art. 1 della
legge n. 228 del 2012 appare evidente che la finalità della normativa in
esame è quella di estinguere il contenzioso, come quello di cui trattasi,
attraverso la rimessione in termini dello Stato in modo da consentirgli di
riattivare le procedure di recupero delle somme oggetto di sgravio contributivo
considerate come aiuti di Stato, ma ciò determinerebbe, secondo la ricorrente,
un’ingerenza nei processi in corso ad esclusivo vantaggio della parte pubblica
in violazione dell’art. 117 Cost., dell’articolo 47 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea, e dell’articolo 6 CEDU. Ciò discenderebbe
dal fatto che si prevede una procedura finalizzata alle verifiche delle
condizioni indicate dalla Commissione che rispetta solo formalmente e in
apparenza il requisito di una corretta istruttoria, ma che finisce per
compromettere, in realtà, i principi di separazione dei poteri e di tutela del
diritto di difesa. Di conseguenza, anche la sentenza della Corte d’appello, che
ha fatto concreta applicazione dell’art. 1, commi 351-356, della legge n. 228/2012, è
da considerarsi emessa, secondo tale prospettazione difensiva, in violazione
delle richiamate norme. La società ricorrente lamenta inoltre violazione degli artt. 3, 24, 25, 101, 102, 111, 113 e 117 Cost.,
evidenziando che dalla lettura della norma di cui all’art. 1, commi 351 – 356, della legge n. 228/2012
non emerge una qualche ratio satisfattiva che giustifichi una pronuncia di
estinzione del giudizio, mentre è perdurante il suo interesse a veder accolte
le proprie originarie domande. Invero, secondo la tesi difensiva, la suddetta
procedura di recupero finisce per addossare alle imprese l’onere di una prova
negativa difficilmente integrabile nei termini in cui è configurata, posto che
dalla mancata produzione di una documentazione contabile risalente ad oltre
vent’anni addietro, per la quale non vi era più obbligo di conservazione, si fa
discendere una presunzione di illegittimità degli aiuti di Stato atta a
giustificare il loro immediato recupero. Invece, è da ritenersi corollario di
un “giusto processo civile” il fatto che questo arrivi ad una
pronuncia di merito, cosa, questa, che l’art. 1, commi 351 – 356, della legge n. 228/2012
nega.

8. In materia, occorre premettere che, con la
Decisione della Commissione Europea del 25 novembre 1999 (2000/394/CE) si era
stabilito che gli sgravi contributivi previsti dalle leggi
n. 30/1997 e n. 206/1995 in favore delle
imprese operanti nei territori di Venezia e Chioggia nel periodo marzo 1995 –
novembre del 1997 erano stati usufruiti in violazione della normativa
comunitaria in tema di aiuti di Stato, essendo i suddetti aiuti incompatibili
con il mercato comune quando erano accordati ad imprese che non erano piccole e
medie imprese e che erano localizzate al di fuori delle zone ammissibili alla
deroga prevista dall’articolo 87,
paragrafo 3, lettera c), del trattato. All’art. 5 della stessa Decisione n.
2000/394/CE si era poi stabilito che l’Italia avrebbe adottato tutti i
provvedimenti necessari per recuperare presso i beneficiari gli aiuti
incompatibili con il mercato comune di cui all’articolo 1, paragrafo 2 e
all’articolo 2 e già illegalmente posti a loro disposizione e che detto
recupero sarebbe stato effettuato secondo le procedure di diritto nazionale.
E’, quindi, intervenuto il nostro legislatore che ha dato attuazione a tale
decisione attraverso il summenzionato art. 1, commi 351 – 356, della legge n. 228 del 24
dicembre 2012. In particolare, il comma 351 prevede che
“Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente
legge, l’Istituto nazionale della previdenza sociale richiede alle imprese
beneficiarie degli aiuti concessi sotto forma di sgravio, nel triennio
1995-1997, in favore delle imprese operanti nei territori di Venezia e Chioggia
di cui alla decisione n. 2000/394/CE della Commissione, del 25 novembre 1999,
gli elementi corredati della idonea documentazione, necessari per l’identificazione
dell’aiuto di Stato illegale, anche con riferimento alla idoneità
dell’agevolazione concessa, in ciascun caso individuale, a falsare la
concorrenza e incidere sugli scambi intra comunitari. Il comma 355 sancisce, inoltre, che “I
titoli amministrativi afferenti il recupero degli aiuti di cui al comma 351 emessi dall’Istituto
nazionale della previdenza sociale, oggetto di contestazione giudiziale alla
data di entrata in vigore della presente legge, sono nulli. Gli importi versati
in esecuzione di tali titoli possono essere ritenuti dall’Istituto nazionale
della previdenza sociale e imputati ai pagamenti dovuti per effetto dei
provvedimenti di cui al comma
354.” Infine, il comma
356 stabilisce che “I processi pendenti alla data di entrata in vigore
della presente legge e aventi ad oggetto il recupero degli aiuti di cui al comma 351 si estinguono di
diritto. L’estinzione è dichiarata con decreto, anche d’ufficio. Le sentenze
eventualmente emesse, fatta eccezione per quelle passate in giudicato, restano
prive di effetti.” SI tratta, all’evidenza, di disposizioni di natura
procedimentale destinate a porre termine ad un contenzioso che aveva riguardato
le imprese beneficiarie degli aiuti in discorso a seguito della richiamata
decisione della Commissione Europea.

9. Ciò posto, va osservato che la questione
sollevata nei motivi di ricorso è già stata esaminata da questa Corte nella sentenza Sez. Lav., n. 7482 del 23/3/2020, che ha
ritenuto che difetta un interesse attuale della ricorrente all’impugnazione
della sentenza dichiarativa dell’estinzione del processo, in quanto tale esito
della lite è stato previsto da una disposizione normativa di natura
procedimentale che non è lesiva di alcun diritto e che, tra l’altro, ha
espressamente sancito la nullità dei titoli amministrativi afferenti il
recupero degli aiuti di cui al comma
351 emessi dall’Istituto nazionale della previdenza sociale, oggetto di
contestazione giudiziale alla data di entrata in vigore della presente legge;
invero, l’effetto della predetta disciplina è stato quello di azzerare le
posizioni delle parti coinvolte nei suddetti giudizi, fatte salve quelle
coperte da giudicato, affidandosi all’ente previdenziale l’attività di recupero
nel rispetto delle nuove regole e consentendosi ai datori di lavoro
l’impugnazione dei nuovi atti di recupero, ove posti in essere.

10. La medesima pronuncia ha inoltre escluso dubbi
di legittimità costituzionale o di non conformità alle norme UE e CEDU, dubbi
che avrebbero qui concreta rilevanza solo nel caso in cui si risolvessero in un
danno per alcuna delle parti, costringendola a nuove iniziative processuali per
la realizzazione dei suoi diritti soggettivi, mentre è la stessa legge applicata
nella fattispecie dalla Corte d’appello a sancire la nullità dei titoli posti a
base del recupero, onerando l’Istituto nazionale della previdenza sociale (comma 354) di notificare alle
imprese provvedimento motivato contenente l’avviso di addebito di cui all’articolo 30 del decreto-legge 31
maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, qualora
dall’attività istruttoria di cui ai commi 351, 352 e 353, anche a
seguito del parere acquisito dall’Autorità garante della concorrenza e del
mercato ai sensi dell’articolo
22 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, sia emersa o sia presunta
l’idoneità dell’agevolazione a falsare o a minacciare la concorrenza e incidere
sugli scambi comunitari. In tal caso resta ovviamente impregiudicato il diritto
della parte contribuente a far valere le proprie ragioni nel giudizio
scaturente dall’azione di recupero intentata dell’ente di previdenza. In
effetti, la contestata normativa sopravvenuta non ha fatto altro che dare
attuazione all’obbligo comunitario ed è esente da profili di irragionevolezza e
non viola in alcun modo i principi di eguaglianza, di separazione del potere
legislativo da quello giudiziario e del diritto di difesa all’interno di un
giusto processo. In definitiva, a seguito della dichiarazione di estinzione del
processo la cartella esattoriale originariamente opposta dalla società
ricorrente è rimasta priva di effetti nei suoi confronti, con sostanziale
coincidenza con quanto dalla medesima richiesto in primo grado, la qual cosa
rende evidente, come già detto, la carenza di un suo interesse
all’impugnazione, per cui va dichiarata la inammissibilità del presente
ricorso.

11. Il Collegio ritiene di dare continuità alla
detta soluzione.

12. Da ultimo, va rilevato che, con memoria del
25.8.20, il ricorrente ha chiesto dichiararsi cessata materia del contendere
con compensazione delle spese: in particolare, il ricorrente ha dedotto che nel
corso del giudizio di Cassazione l’INPS ha notificato alle imprese nuovi avvisi
di addebito per il recupero degli sgravi contributivi e che su tali nuovi
avvisi si è instaurato nuovo contenzioso, poi definito, innanzi al giudice
amministrativo, a seguito del quale l’Hotel ha pagato gli importi portati dai
nuovi avvisi di addebito.

13. L’istanza, proveniente dal solo ricorrente e
formulata nella memoria finale, non è meritevole di accoglimento, in quanto
relativa ad atti di recupero del debito diversi da quelli oggetto del presente
giudizio e come tale non in grado di incidere sul contenzioso di questa causa.

14. Ne conseguono l’inammissibilità del ricorso e la
responsabilità della ricorrente per le spese di lite; sussistono le condizioni
processuali per il raddoppio del contributo unificato.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso;

Condanna la società ricorrente al pagamento delle
spese che si liquidano in € 5.500,00 per competenze professionali ed € 200,00
esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso art. 13, se
dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 febbraio 2021, n. 2677
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: