Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 gennaio 2021, n. 944

Rapporto di lavoro, Diverso inquadramento, Richiesta di
utilizzazione del contratto collettivo per gli studi professionali, Differenze
retributive

 

Rilevato che

 

1. Il Tribunale di Caltanissetta, con sentenza del
7.2.2012, rigettava la domanda proposta da R.M.P.M. la quale, premesso di avere
lavorato presso l’Associazione Provinciale dei Commercianti e del Turismo di
Caltanissetta dal 14.2.1986 al 15.10 2007 con la qualifica di impiegato addetto
alla segreteria ma di avere svolto mansioni inquadrabili nel secondo livello
del CCNL del Settore Commercio Servizi e
Territorio, aveva chiesto la condanna della datrice di lavoro al pagamento
della somma di euro 115.097,02, aggiornata al giugno 2008, a titolo di compensi
dovuti per il diverso inquadramento, festività, 13^ e 14^ mensilità e TFR. Il
primo giudice riteneva, in sintesi, l’inapplicabilità al datore di lavoro del CCNL Settore Commercio, in quanto non esercente
parte datoriale attività commerciale e l’inammissibilità della richiesta di
utilizzazione del contratto collettivo per gli studi professionali, perché
avrebbe comportato una modifica della domanda; quanto alla richiesta di
adeguamento della retribuzione ex art. 36 Cost.,
la retribuzione percepita veniva considerata congrua e proporzionata
all’attività lavorativa espletata.

2. La Corte di appello della stessa sede, in
accoglimento del gravame presentato dalla M., condannava, invece, l’A. al
pagamento, in favore della lavoratrice, della somma di euro 85.089,22, di cui
euro 29.856,97 per differenze sul minimo retributivo, euro 3.129,23 per
tredicesima mensilità, euro 5.314,39 a titolo di indennità di maternità,
facoltativa ed obbligatoria, euro 15.515,78 per TFR, euro 11.624,95 per
rivalutazione monetaria ed euro 19.647,90 per interessi legali.

3. I giudici di seconde cure rilevavano che la
contrattazione collettiva più pertinente alla attività svolta dall’A. era
quella relativa agli studi professionali, la cui documentazione era stata
prodotta nel processo su disposizione del primo giudice al fine di individuare
la contrattazione collettiva di riferimento e, pertanto, non avrebbe potuto poi
essere ritenuta dallo stesso giudice ininfluente in fase di decisione; inoltre,
specificavano che il rapporto di lavoro non poteva essere regolato
esclusivamente dal contratto aziendale del 19.2.1988 essendo stato stipulato da
una pluralità di lavoratori e non per il tramite di organizzazioni sindacali.
Ravvisando, quindi, una violazione dell’art. 36
Cost. e applicando, in via parametrica, il CCNL
Studi professionali, la Corte territoriale, dopo avere svolto una ctu
contabile e individuato il terzo come il livello di inquadramento contrattuale
della lavoratrice, in relazione alle mansioni svolte, accertava la debenza
delle somme come sopra specificate.

4. Avverso la sentenza di seconde cure proponeva
ricorso per cassazione l’Associazione Provinciale dei Commercianti e del
Turismo di Caltanissetta affidato ad un solo articolato motivo, cui resisteva
con controricorso R.M.P.M..

5. Le parti hanno depositato memorie.

6. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

 

Considerato che

 

1. Con l’unico articolato motivo la ricorrente
denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt.
2070 e 2099 cc nonché dell’art. 36 Cost., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per essersi la Corte di
merito affidata ad “una avara, ai limiti della carenza, motivazione”
e, decidendo la controversia solo per relationem ad una massima di legittimità,
e per non avere fatto buon uso delle norme di legge e costituzionali
richiamate. In particolare, la ricorrente si duole che erroneamente i giudici
di seconde cure avevano applicato estensivamente l’art.
2070 cc per individuare il contratto collettivo applicabile, senza
considerare il disposto dell’art. 39 della
Costituzione non ancora attuato, nella sua portata, nell’ordinamento
giuridico italiano. Deduce, poi, che risultava affidata alla discrezionalità
del giudice di merito l’individuazione della tariffa collettiva suscettibile di
essere assunta come parametro nel caso in cui il rapporto individuale si fosse
svolto in un settore non coperto da contrattazione sindacale e che il principio
della giusta retribuzione ex art. 36 Cost. si
sostanzia, come riconosciuto in alcune sentenze, solo nella attribuzione ai
minimi tabellari collettivi di un “valore soltanto orientativo”.
Rappresenta, quindi, che erroneamente la Corte territoriale aveva escluso
l’applicabilità del CCNL Commercio – Terziario,
peraltro invocato dalla lavoratrice, ritenendo invece adottabile il perché più
pertinente e che il richiamo all’art. 36 Cost.
appariva oggettivamente carente nelle motivazioni utilizzate. Infine, la
ricorrente censura la mancata applicazione delle clausole del contratto
individuale sottoscritto dal lavoratore che, relativamente alla parte economica,
avrebbe dovuto ritenersi efficace ex art. 2099 co.
2 cc e che era stata omessa qualsiasi valutazione sulla indagine compiuta
dal primo giudice in ordine alla congruità e proporzionalità della retribuzione
corrisposta.

2. Il ricorso non è fondato.

3. La Corte di merito, senza incorrere nelle
denunciate violazioni di legge, si è adeguata ai principi di legittimità
secondo cui, per i rapporti non tutelati da contratto collettivo, il giudice
può utilizzare come parametro di raffronto la retribuzione tabellare prevista
per le diverse categorie di lavoratori del contratto nazionale corrispondenti
alla attività svolta dal datore di lavoro o, in mancanza, da altro contratto
che regoli attività affini e prestazioni lavorative analoghe (Cass. n. 5519 del 2004; Cass. n. 27591 del 2005; Cass. 24092 del 2009; Cass. n. 14791 del 2008).

4. Questo principio si applica indipendentemente
dall’iscrizione o meno del datore di lavoro ad una associazione sindacale ed
anche alle imprese di dimensioni non rilevanti (Cass
n. 21274 del 2010).

5. Correttamente, poi, nello effettuare tale
valutazione, la Corte territoriale non ha compiuto una applicazione integrale e
minuziosa di tutte le clausole contrattuali, ma ha considerato solo quelli che
costituiscono il cd. minimo costituzionale, con esclusione degli istituti
retributivi legati all’autonomia contrattuale (Cass.
n. 15148 del 2008).

6. In particolare, i giudici di seconde cure, dopo
avere analizzato la quantità e la qualità del lavoro svolto, hanno considerato
solo il minimo retributivo previsto dal CCNL Studi
Professionali, ritenuto idoneo come parametro di riferimento, senza
considerare le voci retributive di fonte tipicamente contrattuale, come per
esempio i compensi aggiuntivi, gli scatti di anzianità (Cass. n. 17274 del 2004
e Cass. n. 26953 del 2016) e la quattordicesima mensilità (Cass n. 12520 del 2004).

7. Pertinente è stato, altresì, il riferimento all’art. 36 Cost. perché, ove il rapporto di lavoro
sia regolato da un contratto collettivo di diritto comune proprio di un settore
non corrispondente a quello dell’attività svolta dall’imprenditore, il giudice
per valutare la sufficienza della retribuzione del lavoratore ai sensi dell’art. 36 Cost. può appunto utilizzare la disciplina
collettiva del diverso settore come parametro di raffronto e quale criterio
orientativo, limitatamente alla retribuzione base (Cass. n. 14791 del 2008).

8. Quanto, infine, alla dedotta mancata applicazione
del contratto individuale, anche in questo caso deve sottolinearsi la
conformità dell’operato della Corte territoriale agli orientamenti di
legittimità.

9. Invero, qualificato l’accordo intercorso tra le
parti come contratto di lavoro individuale ancorché plurisoggettivo, e non
quindi come contratto collettivo aziendale, in presenza di una denuncia di
inadeguatezza della retribuzione, era compito del giudice verificare la
sufficienza e l’adeguatezza secondo i criteri dettati dall’art. 36 Cost. e attraverso i parametri esterni ed
indiretti di commisurazione ai criteri di proporzionalità e sufficienza (cfr.
Cass. n. 2245 del 2006), affinché la retribuzione non risulti appunto inferiore
a questa soglia minima, e adeguarla, in applicazione del principio di
conservazione, espresso nell’art. 1419 co. 2 cod.
civ., onde assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera
e dignitosa.

10. In ordine, infine, proprio alla valutazione
della sufficienza e proporzionalità della retribuzione con riguardo alla
quantità e qualità del lavoro svolto, nonché alla scelta del CCNL da applicare
in via parametrica, i relativi accertamenti, in concreto e di natura
discrezionale, sono riservati al giudice di merito e, quindi, rappresentano
tematiche, in fatto, insindacabili in sede di legittimità se congruamente
motivati (Cass n. 4324 del 1992; Cass. n. 2393
del 1987; Cass. n. 16866 del 2008; Cass. n. 2393 del 1987).

11. Nel caso di specie la Corte territoriale ha correttamente
avuto riguardo, dandone adeguata e logica motivazione, all’attività
effettivamente esercitata presso il datore di lavoro sicché, anche sotto i
suddetti profili (adeguatezza della retribuzione e individuazione del CCNL), le
censure non meritano accoglimento.

12. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve
essere rigettato.

13. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano
come da dispositivo.

14. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge
24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti
processuali, sempre come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio
di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro
200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13,
se dovuto.

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