Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 gennnaio 2021, n. 1762

Fondo di garanzia, Somme a titolo di TFR, a seguito del
fallimento del datore di lavoro, Mancato assoggettamento all’obbligo
contributivo ex art. 2, L. n.
297/1982, Rapporto a tempo determinato e di natura agricola

Rilevato in fatto

che, con sentenza depositata il 29.7.2014, la Corte
d’appello di Bari ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva revocato
il decreto ingiuntivo con cui il locale Tribunale aveva ingiunto all’INPS,
quale gestore del Fondo di garanzia, di pagare a D.R. somme a titolo di TFR a
seguito del fallimento della sua datrice di lavoro;

che la Corte, nel confermare la sentenza di prime
cure, ha ritenuto che il rapporto di lavoro già intrattenuto dall’istante con
l’impresa fallita non fosse assoggettato all’obbligo contributivo di cui all’art. 2, I. n. 297/1982, essendo
a tempo determinato e di natura agricola; che avverso tale pronuncia ha
proposto ricorso per cassazione D.R., deducendo tre motivi di censura,
successivamente illustrati con memorie;

che l’INPS ha resistito con controricorso, anch’esso
successivamente illustrato con memoria;

 

Considerato in diritto

 

che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia
violazione degli artt. 2697 e 2909 c.c. e dell’art. 2, I. n. 297/1982, nonché
omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per avere la Corte di merito
ritenuto incontestato che il precorso rapporto di lavoro avesse natura di
bracciantato agricolo a tempo determinato, senza considerare che il datore di
lavoro era un imprenditore commerciale, ed altresì per aver ignorato che la
misura del suo credito, essendo stata definitivamente accertata in sede
fallimentare, non poteva più essere rimessa in discussione dall’INPS in sede di
cognizione ordinaria;

che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta
violazione dell’art. 112 c.p.c. per non avere
la Corte territoriale specificamente considerato la censura di cui a pag. 6
dell’atto di appello, giusta la quale non era possibile rimettere in dubbio
l’accertamento del credito effettuato in sede fallimentare;

che, con il terzo motivo, oltre a riproporre la
censura dianzi riassunta sub specie di violazione e falsa applicazione dell’art. 2, I. n. 297/1982, la ricorrente
si duole di violazione della disposizione ult. cit. anche in relazione al fatto
che essa non distingue, ai fini dell’intervento del Fondo di garanzia, tra
rapporti di lavoro a tempo determinato a rapporti a tempo indeterminato;

che i tre motivi possono essere esaminati
congiuntamente, in considerazione dell’intima connessione delle censure svolte;

che, al riguardo, va premesso che, superando
l’indirizzo già espresso da Cass. n. 24231 del
2014 (secondo cui l’esecutività dello stato passivo che abbia accertato in
sede fallimentare l’esistenza e l’ammontare d’un credito per trattamento di
fine rapporto in favore di un dipendente dell’imprenditore dichiarato fallito
importerebbe il subentro dell’INPS nel debito del datore di lavoro insolvente,
senza che l’istituto previdenziale possa contestare l’assoggettabilità alla
procedura concorsuale e l’accertamento ivi operato, al quale resterebbe
vincolato sotto il profilo dell’an e del quantum debeatur), questa Corte ha
affermato che il fatto che un credito per somme maturate per TFR sia stato
ammesso allo stato passivo nella procedura fallimentare del datore di lavoro
non può vincolare l’INPS che sia rimasto estraneo alla procedura, dovendo
l’Istituto sempre poter contestare l’operatività della garanzia dell’art. 2, I. n. 297/1982 (così Cass. n. 19277 del 2018, cui hanno dato seguito,
tra le altre, Cass. nn. 23047 e 26809 del 2018, 7549 e 14348 del 2020);

che, ciò posto, correttamente la Corte territoriale
ha ritenuto che la natura del rapporto di lavoro precorso tra l’odierna
ricorrente e la datrice di lavoro dichiarata fallita avesse pacificamente
natura di bracciantato agricolo a tempo determinato, essendo rimasta
incontestata la circostanza riferita dall’INPS nel ricorso in opposizione a
decreto ingiuntivo secondo cui dalla stessa domanda amministrativa emergerebbe
che ella aveva prestato la propria opera quale operaia agricola a tempo
determinato, percependo la relativa indennità di disoccupazione agricola (cfr.
ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo, debitamente trascritto a pagg. 7-8
del controricorso per cassazione, in relazione a pag. 2 della sentenza
impugnata);

che, avendo la Corte di merito accertato che la
retribuzione percepita dall’odierna ricorrente ratione temporis, in quanto
operaia agricola a tempo determinato, includeva il c.d. terzo elemento, che è
istituto retributivo contrattuale comprensivo della quota giornaliera dell’indennità
di fine rapporto, del tutto correttamente ha escluso che detta quota di
retribuzione entrasse a far parte della c.d. retribuzione contributiva, venendo
a mancare, in ragione dell’erogazione del TFR giorno per giorno, il presupposto
per la sua assicurazione ex art.
2, I. n. 297/1982 (così già Cass. n. 10546 del
2007);

che il Fondo di garanzia istituito presso l’INPS per
la corresponsione del TFR, nei casi di insolvenza del datore di lavoro fallito,
non può ritenersi obbligato ad alcuna prestazione nell’ipotesi in cui il
rapporto assicurativo presso l’Istituto non sia esistito per difetto dei
presupposti di legge (così, da ult., Cass. n. 10475
del 2019);

che il ricorso, pertanto, va rigettato,
provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che
seguono la soccombenza;

che, in considerazione del rigetto del ricorso,
sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla
rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in €
1.700,00, di cui € 1.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari
al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n.
115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13.

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