Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 gennaio 2021, n. 615
Crisi aziendale, Risarcimento del danno, Condotta omissiva
del Ministero rispetto alla richiesta di intervento della Cassa integrazione
guadagni straordinaria, Rimborso delle retribuzioni anticipate, Provvedimenti
autorizzativi o concessori si compendiano nell’esercizio di attività
amministrativa discrezionale, Condizione per la sussistenza del diritto
soggettivo all’erogazione del trattamento, Giurisdizione del giudice ordinario
Fatti di causa
1. La società S. in liquidazione (incorporante per
fusione della G.A.M. U. srl e della F.T.B.srl in liquidazione), aveva convenuto
in giudizio innanzi al Tribunale di Roma il Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali e l’INPS – Istituto della Previdenza Sociale – per chiederne
la condanna al risarcimento del danno conseguito alla condotta omissiva del
Ministero rispetto alla richiesta di intervento della Cassa integrazione
guadagni straordinaria (anche CIGS, di seguito) per crisi aziendale, presentata
in data 25 febbraio 2002. L’attrice aveva quantificato il danno in €
3.985.217,00 e, in via subordinata, aveva domandato la condanna dell’INPS al
rimborso delle retribuzioni anticipate da essa attrice e dalla G.A.M. in
relazione ai periodi di sospensione dell’attività lavorativa per i quali non
era stato concesso il beneficio assistenziale.
2. Il Tribunale, respinta la domanda proposta nei
confronti dell’Inps, aveva accolto la domanda proposta nei confronti del
Ministero limitatamente alla voce di danno corrispondente alle retribuzioni
interessate dalle istanze di ammissione al regime della CIGS, oltre accessori.
3. La Corte di Appello di Roma, adita in via
principale dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e, in via
incidentale dalla S. srl in liquidazione, ha accolto l’eccezione di difetto di
giurisdizione del giudice ordinario, formulata dall’appellante principale, ha
annullato la sentenza di primo grado e ha dichiarato la giurisdizione del
Giudice Amministrativo, individuandolo nel TAR del Lazio.
4. Essa, ricostruiti gli istituti della cassa
integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, ha ritenuto che i
provvedimenti autorizzativi o concessori di competenza, rispettivamente
dell’Inps e del Ministero del Lavoro e delle politiche Sociali, si compendiano
nell’esercizio di attività amministrativa discrezionale in quanto sono fondati
non solo su valutazioni tecniche ma su scelte di natura politico-sociale
correlate alla ponderazione dell’interesse pubblico che presiede al governo
dell’economia, in tutti i suoi riflessi sociali, occupazionali e produttivi.
5. Ha, quindi, affermato che rispetto a poteri di
tal fatta la posizione del privato (datore di lavoro e lavoratore) è di
interesse legittimo, con conseguente attribuzione della controversia relativa
ai rapporti che traggono origine dal
provvedimento autorizzatorio (o concessorio) alla giurisdizione del
giudice amministrativo e che solo successivamente all’emanazione di siffatto
provvedimento la posizione del datore di lavoro assume la consistenza di
diritto soggettivo all’erogazione del trattamento ed al rimborso delle spese
anticipate ai lavoratori, con conseguente attribuzione della relativa
controversia alla cognizione del giudice ordinario.
6. La Corte territoriale, rilevato che nel caso di
specie non era stato adottato alcun provvedimento di ammissione alla CIGS, ha
qualificato la posizione della società come di interesse legittimo; ha ritenuto
irrilevanti, ai fini di tale qualificazione, le circostanze di fatto dedotte dalla società concernenti le
vicende fattuali che avevano preceduto la la domanda di ammissione alla CIGS e
la inerzia tenuta dal Ministero nei confronti delle istanze della stessa
società; ha ritenuto, al riguardo, che quest’ultima avrebbe dovuto esperire la
procedura disciplinata dall’art. 2
della I. n. 205 del 2000 avverso il silenzio serbato dall’Amministrazione.
7. Escluso, poi, che il riparto di giurisdizione
possa fondarsi sul criterio della materia o, meglio, dei “blocchi di
materia”, la Corte territoriale ha affermato che il risarcimento del danno
non costituisce una “materia” ma uno strumento di tutela ulteriore,
attribuito al giudice amministrativo per rendere piena ed effettiva la tutela
dell’interesse legittimo.
8. Avverso questa sentenza la società S. s.r.l. in
liquidazione ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi,
illustrati da successiva memoria, cui hanno resistito con controricorso il
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e l’INPS.
Motivi della decisione
Sintesi dei motivi
9. La ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 1 cod.proc.civ., violazione dei
principi in materia di giurisdizione (primo motivo) e, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 5 cod.proc.civ., omesso esame di
un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti
(secondo motivo).
10. Addebita alla Corte territoriale di avere errato
nel qualificare la posizione di essa ricorrente come di interesse legittimo sul
rilievo che non era intervenuto il provvedimento di ammissione alla CIGS;
evidenzia di non avere inteso affatto contestare la discrezionalità dell’atto
con il quale la P.A. autorizza la CIGS, ma la condotta tenuta dal Ministero dal
momento della sua partecipazione agli incontri propedeutici alla concessione
della prima richiesta di mobilità fino alla seconda domanda di licenziamento
collettivo e, in particolare, il comportamento del Ministero, rimasto inerte
rispetto alla richiesta di ammissione alla CIGS nonostante avesse sollecitato,
nel corso della procedura di mobilità, l’attivazione del procedimento per la
richiesta di intervento della CIGS, e avesse assicurato che questa sarebbe
stata concessa; asserisce che il Ministero, omettendo di pronunciarsi sulla
domanda di ammissione alla CIGS, aveva violato il principio del neminem ledere
in quanto aveva tenuto una condotta non conforme agli obblighi di correttezza e
buona fede; sostiene che la domanda risarcitoria, per essere stata fondata
sulla violazione dei predetti principi, doveva essere conosciuta dal giudice
ordinario e non dal giudice amministrativo (primo motivo); imputa alla Corte
territoriale di non avere affrontato il problema dell’inerzia del Ministero e
di avere, invece, fatto riferimento alla mancata attivazione da parte di essa
società della procedura prevista dall’art.
2 della legge n. 205 del 2000 (secondo motivo).
Esame dei motivi
11. I motivi del ricorso, da esaminarsi
congiuntamente in ragione della intima connessione che avvince le censure,
devono essere accolti.
12. Tra le parti è indiscusso che (ricorso per
cassazione, pgg. 4-6, “IL FATTO ANTECEDENTE”, controricorso Ministero
del Lavoro e delle Politiche Sociali, pgg 2-3 ) a fondamento della domanda
risarcitoria proposta con l’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, l’odierna
ricorrente, aveva dedotto che: era proprietaria di stabilimenti di captazione e
di imbottigliamento delle acque minerali in diverse Regioni e che a causa di un
periodo di crisi economica, aveva avviato distinte procedure di mobilità per
licenziare tutto il personale e cessare l’attività; il Ministero e le Regioni
Lazio e Liguria avevano partecipato agli incontri propedeutici alla mobilità e
avevano pressato essa società perché revocasse i licenziamenti e proponesse
domanda di intervento della CIGS; a fronte di siffatte sollecitazioni e delle
rassicurazioni ricevute, essa società I’ll febbraio 2002 aveva sottoscritto un
accordo sindacale, che aveva previsto il collocamento in CIGS tutti i
dipendenti dello stabilimento Appia e la confluenza di tutte le attività da
mantenere in una nuova società (essa ricorrente era stata posta in liquidazione
in data antecedente la stipula dell’accordo sindacale a causa delle forti
perdite economiche maturate negli esercizi 1999 e 2000, che avevano reso
necessaria la liquidazione e la procedura di mobilità); in adempimento
dell’accordo sindacale essa ricorrente aveva revocato i licenziamenti, aveva
costituito la società G.A.M. srl Unipersonale (interamente partecipata e
diretta e alla quale l’azienda era stata data in affitto), aveva ricercato
nuovi partners commerciali e aveva presentato l’istanza di intervento della CIGS;
il Ministero del Lavoro era rimasto inerte e non aveva dato alcun riscontro, né
positivo né negativo, alle richieste di ammissione alla CIGS formulate da essa
S. e dalla G.A.M. per i dipendenti degli stabilimenti di Roma e per quelli
dello stabilimento “Fonti di S.R.” situato a Né (Genova); in difetto
di operatività anche la G.A.M. era stata posta in liquidazione, era stata
avviata la procedura per la sua incorporazione nella S., già trasformata in
s.r.L, ed erano state avviate, con comunicazioni del 30 aprile-21 maggio 2003,
le nuove procedure di mobilità per il licenziamento di tutto il personale
dipendente; essa ricorrente, nel periodo compreso tra la sottoscrizione
dell’accordo dell’ 11.2.2002 e il secondo licenziamento collettivo, aveva
corrisposto ai suoi dipendenti le retribuzioni e aveva sopportato inutilmente
oneri economici per proseguire l’attività in attesa del provvedimento
autorizzativo di CIGS, mai pervenuto.
13. Ciò su cui le parti controvertono è la sola
questione di giurisdizione. Da una parte, la società ricorrente assume che la
controversia rientra nella giurisdizione del giudice ordinario in quanto
l’oggetto della domanda giudiziale è costituito dal risarcimento dei danni
derivanti dal mancato rispetto dell’affidamento ingenerato dalla condotta
tenuta dal Ministero nella fase antecedente l’istanza di intervento della CIGS.
Il Ministero, dall’altra parte, asserisce che la controversia rientra nella
giurisdizione del giudice amministrativo sul rilievo della assenza di un
provvedimento autorizzatorio (o concessorio) della CIGS.
14. E’ evidente che le prospettazioni difensive
sviluppate dalle parti per affermare (la società ricorrente) o negare (il
Ministero) la configurabilità di un legittimo affidamento nel comportamento del
Ministero sono irrilevanti ai fini della pronuncia sulla questione di
giurisdizione in quanto attengono al merito della controversia. Ai sensi dell’art. 386 cod.proc.civ. la decisione sulla
giurisdizione è, infatti, determinata dall’oggetto della domanda e non
pregiudica le questioni di merito relative alla sussistenza o meno del diritto
della società al risarcimento dei danni.
15. Tanto precisato, deve essere osservato che
queste Sezioni Unite hanno più volte affermato che la giurisdizione va
determinata sulla base della domanda e che, ai fini del relativo riparto tra
giudice ordinario e giudice amministrativo rileva non già la prospettazione
compiuta dalle parti, bensì il petitum sostanziale, il quale deve essere
identificato non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al
giudice quanto, piuttosto, della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura
della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai
fatti allegati (tra le molte, Cass. Sez. Un. 20 novembre 2020 n. 26500, Cass.
Sez. Un. 28 febbraio 2019 n. 6040, Cass. Sez. Un. 21 dicembre 2018 n. n. 33212,
Cass. Sez. Un. 13 novembre 2018 n. 29081, Cass. Sez. Un. 8 giugno 2016 n.
11711, Cass. Sez. Un. 23 settembre 2013 n. 21677, Cass. Sez. Un. 25 giugno 2010
n. 15323).
16. Con specifico riguardo al riparto della
giurisdizione nella materia della Cassa integrazione guadagni, ordinaria e
straordinaria, è altrettanto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte
il principio per il quale, in linea generale, in materia di integrazione
salariale, la posizione soggettiva del datore di lavoro di ammissione alla
cassa integrazione ordinaria o straordinaria, diviene di diritto soggettivo
dopo l’adozione del provvedimento di concessione (o autorizzazione) del trattamento,
mentre, quando non sia stato ancora adottato alcun provvedimento, la posizione
medesima è di interesse legittimo ed è tutelabile soltanto davanti al giudice
amministrativo (Cass. Sez. Un. 20 giugno 1987 n.
5454 Cass. Sez. Un. 28 aprile 1989 n. 2034, Cass.
Sez. Un. 10 agosto 1989 n. 3679, Cass. Sez. Un.
12 ottobre 1990 n. 10016, Cass. Sez. Un. 5 febbraio 1999 n. 30, Cass. Sez.
Un. 10 agosto 2005 n. 16780, Cass. Sez. Un. 27 gennaio 2006 n. 1732, Cass. Sez.
Un. 11 aprile 2006 n. 8376, Cass. Sez. Un. 11
gennaio 2007 n. 310, Cass. Sez. Un. 30 agosto 2018 n. 21435, Cass. Sez. Un.
25 febbraio 2019 n. 5455, le ultime due in materia di mobilità in deroga).
17. Con riferimento a specifiche vicende fattuali,
queste Sezioni Unite hanno precisato:
18. Cass. Sez. Un. 15
luglio 1991 n. 7837: nei riguardi della pubblica amministrazione competente
ad autorizzare l’integrazione salariale (INPS quanto all’integrazione ordinaria
e Ministero del lavoro quanto alla straordinaria), i lavoratori e il datore di
lavoro, prima o in mancanza dell’emanazione dell’atto autorizzativo
(caratterizzato da discrezionalità amministrativa anche nel caso d’integrazione
ordinaria), hanno una posizione solo indirettamente tutelata e perciò
d’interesse legittimo, sorgendo il diritto soggettivo del lavoratore
(all’integrazione salariale) e del datore di lavoro (al rimborso delle somme a
tal titolo anticipate ai dipendenti) solo dal provvedimento autorizzativo
dell’intervento della C.I.G.; pertanto, mentre appartengono alla giurisdizione
del giudice ordinario le controversie relative ai rapporti che traggono origine
dal suddetto provvedimento, spettano invece alla cognizione del giudice
amministrativo le controversie volte all’impugnazione del provvedimento
amministrativo di diniego dell’autorizzazione, ancorché la contestazione di
tale atto sia finalizzata alla realizzazione del diritto del datore di lavoro
al rimborso delle integrazioni anticipate.
19. Cass. Sez. Un. 11
gennaio 2007 n. 310: in materia di integrazione salariale, le posizioni di
diritto soggettivo nascenti, a favore dei privati, dal provvedimento di
ammissione dell’impresa alla cassa integrazione guadagni degradano, di nuovo, a
posizioni di interesse legittimo – con conseguente devoluzione delle relative
controversie al giudice amministrativo – qualora intervengano atti amministrativi
di annullamento o di revoca di tale provvedimento, trattandosi di atti che sono
espressione del potere discrezionale esercitato dall’Amministrazione
nell’ambito della tutela dell’interesse pubblico ad essa affidato.
20. Cass. Sez. lav. 27 gennaio 2006 n. 1732 e Cass.
sez. lav. 11 dicembre 2009 n. 26047: in materia di integrazione salariale, le
posizioni di diritto soggettivo nascenti, a favore dei privati, dal
provvedimento di ammissione dell’impresa alla cassa integrazione guadagni
degradano, di nuovo, a posizioni di interesse legittimo – con conseguente
devoluzione delle relative controversie al giudice amministrativo – qualora
intervengano atti amministrativi di annullamento o di revoca di tale
provvedimento, trattandosi di atti che sono espressione del potere
discrezionale esercitato dall’Amministrazione nell’ambito della tutela
dell’interesse pubblico ad essa affidato.
Qualora il
provvedimento di ritiro intervenga nel corso di un giudizio che la parte
privata abbia instaurato correttamente – in quanto titolare di un pregresso
diritto soggettivo – dinanzi al giudice ordinario, viene a radicarsi la
giurisdizione e la competenza a decidere la controversia da parte dello stesso
giudice, ai sensi dell’art. 5 cod. proc. civ.
Ove venga denunciata davanti al medesimo giudice l’illegittimità del
provvedimento sopravvenuto, non può venire in questione l’istituto della
disapplicazione, poiché ciò che, sostanzialmente, diviene oggetto di
discussione è l’esercizio del potere di autotutela e oggetto dell’azione del
privato è non già la tutela di una sua posizione di diritto soggettivo tuttora
perdurante ma la rimozione dell’atto amministrativo (di annullamento o di
revoca), di modo che sia reintegrata, a tutti gli effetti, la posizione di
diritto soggettivo (venuta meno) della quale era precedentemente titolare. In
tale contesto, pertanto, il giudice ordinario non può dichiarare il proprio
difetto di giurisdizione, ma solo decidere sulla base della situazione attuale
di fatto e di diritto (sopravvenuto annullamento o revoca del decreto di
concessione della C.I.G. e, dunque, insussistenza in capo al privato delle
posizioni di diritto soggettivo delle quali chiede la tutela sulla base del
provvedimento autorizzativo), salva l’eventuale sospensione del processo, ex art. 295 cod. proc. civ., in caso di avvenuta
impugnazione dell’atto di annullamento (o di revoca) dinanzi al giudice
amministrativo.;
21. Cass. Sez. Un. 11 aprile 2006 n. 8376: la
posizione soggettiva del datore di lavoro di interesse legittimo non può
ritenersi modificata in ragione dell’asserita “sicura adozione” del
provvedimento ammissivo, per effetto del disposto inquadramento della società
istante nel settore “industria – ramo edilizia”, in quanto il solo
inquadramento nel settore industria non fa discendere automaticamente il
diritto alla integrazione salariale dovendo questo diritto essere deliberato
dal competente organo amministrativo mediante, appunto, il provvedimento
autorizzativo.
22. Ebbene, pur non potendo prescindersi dai
principi affermati nelle decisioni innanzi richiamate (p. da dal n. 16 al n. 21
di questa sentenza), perché essi ricostruiscono in modo chiaro e condivisibile
la posizione delle parti private nella materia della cassa integrazione
guadagni, ordinaria e straordinaria, nondimeno, la peculiarità della
controversia postula, ai fini della soluzione di giurisdizione, la necessità di
svolgere considerazioni ulteriori rispetto a quelle sviluppate nei richiamati
precedenti giurisprudenziali.
23. Ciò che è stato denunciato dalla società
ricorrente, come innanzi rilevato (cfr. pp. n. 10, n. 12 e n. 13 di questa
sentenza), è, infatti, il comportamento complessivo tenuto dal Ministero nella
fase propedeutica alla richiesta di ammissione alla CIGS e alla valutazione
della richiesta stessa, comportamento che è privo di collegamento, anche solo
mediato, con l’esercizio di un potere amministrativo in ordine alla concessione
della CIGS, potere mai esercitato, come è indiscusso tra le parti.
24. E ciò che è stato domandato è il risarcimento di
un danno da comportamento e non da provvedimento.
25. Tanto precisato, la soluzione della questione di
giurisdizione nel caso in esame trova valido ausilio nella recente ordinanza 28
aprile 2020 n. 8236 pronunciata da queste Sezioni Unite in una fattispecie
nella quale veniva in rilievo, come nel caso in esame, la questione di riparto
della giurisdizione in ordine alla domanda risarcitoria del danno dedotto come
cagionato non da un “provvedimento” ma dal “comportamento”
della P.A.
26. Nella predetta ordinanza è stato affermato il
principio secondo cui “Spetta alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria
ordinaria la controversia relativa ad una pretesa risarcitoria fondata sulla
lesione dell’affidamento del privato nell’emanazione di un provvedimento
amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si
assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, atteso che la
responsabilità della P.A. per il danno prodotto al privato quale conseguenza
della violazione dell’affidamento dal medesimo riposto nella correttezza
dell’azione amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (la pubblica
amministrazione ed il privato che con questa sia entrato in relazione)
inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della
responsabilità relazionale o da “contatto sociale qualificato”,
inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art.
1173 c.c., e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla
emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma
anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato,
cosicché il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento
dell’amministrazione”.
27. All’affermazione del principio innanzi
richiamato, queste Sezioni Unite sono pervenute muovendo dalle coeve ordinanze del 23 marzo 2011 nn. 6594, 6595, 6596
nelle quali è stato ritenuto che la controversia relativa ai danni subiti dal
privato che abbia fatto incolpevole affidamento su di un provvedimento
amministrativo ampliativo della propria sfera giuridica, poi legittimamente
annullato (ordinanza n. 6594 del 2011), ovvero
sulla attendibilità della attestazione rilasciata dalla P.A., poi rivelatasi
erronea (ordinanza n. 6595 del 2011), ovvero in un provvedimento di
aggiudicazione, poi rivelatosi
illegittimo (ordinanza n. 6596 del 2011), rientra nella giurisdizione del
giudice ordinario.
28. Nella ordinanza n. 8236 del 2020 è stato
osservato che nelle predette ordinanze del 2011 (i cui principi erano stati
ribaditi nelle decisioni delle Sezioni Unite nn. 16586/2015, 12799/2017,
15640/2017, 1654/2018, 4996/2018, 22435/2018, 32365/2018, 4889/2019 e
12635/2019) l’affermazione della giurisdizione del giudice ordinario sulle
domande risarcitorie poggiava sul rilievo che esse avevano ad oggetto la
lesione non già di un interesse legittimo pretensivo, bensì di un diritto
soggettivo, generalmente qualificato come “diritto alla conservazione
dell’integrità del patrimonio” leso dalle scelte compiute confidando nella
legittimità del provvedimento amministrativo poi caducato.
29. Principi che, pur con alcune puntualizzazioni
(infra, pp. dal n. 41 al n. 43 di questa sentenza), sono stati ribaditi in
confronto attento e puntuale con le pronunce di segno opposto delle Sezioni
Unite nn. 8057/2016, 13454/2017, 13194/2018, in cui risulta, invece, affermata
la giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda risarcitoria per
lesione dell’affidamento riposto nella legittimità dell’atto amministrativo poi
annullato. Affermazione questa che muove dal duplice rilievo che ciò che veniva
in discussione era l’agire provvedimentale nel suo complesso e che la
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si giustifica in ragione del
contesto, o dell’ambiente, di stampo pubblicistico, nel quale la complessiva
condotta dell’amministrazione si colloca e che connette tale condotta con
l’esercizio del potere.
30. L’ adesione all’orientamento espresso nelle
sopra richiamate ordinanze del 2011 e nelle successive decisioni conformi è
stata spiegata, tra l’altro, rilevando che nel caso in cui, secondo la domanda
dell’attore, il comportamento della pubblica amministrazione abbia leso
l’affidamento del privato, perché non conforme ai canoni di correttezza e buona
fede, non sussiste alcun collegamento nemmeno mediato tra il comportamento
dell’amministrazione e l’esercizio del potere.
31. Ed è stato osservato che il comportamento
dell’amministrazione rilevante ai fini dell’affidamento del privato “si
pone – e va valutato – su un piano diverso rispetto a quello della scansione
degli atti procedimentali che conducono al
provvedimento con cui viene esercitato il potere. Detto comportamento si
colloca in una dimensione relazionale complessiva tra l’amministrazione e il
privato, nel cui ambito un atto provvedimentale di esercizio del potere
amministrativo potrebbe mancare del tutto (come nel caso oggetto del presente
giudizio) o, addirittura essere legittimo , così da risultare «un frammento
legittimo di un mosaico connotato da una condotta complessivamente
superficiale, violativa dei più elementari obblighi di trasparenza, di
attenzione, di diligenza, al cospetto dei quali si stagliano i corrispondenti
diritti soggettivi di stampo privatistico (così Cons. Stato n. 5/2018 , già
citata §33)»”.
32. E’ stato anche precisato che i principi
enunciati dalle ordinanze nn. 6594, 6595 e
6596 del 2011 valgono non soltanto nel caso di domande di risarcimento del
danno da lesione dell’affidamento derivante dalla emanazione e dal successivo
annullamento di un atto amministrativo, ma anche, e a maggior ragione, nel caso
in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché, in
definitiva, il privato abbia riposto il proprio affidamento in un comportamento
mero dell’amministrazione.
33. Tanto sulla scorta della considerazione che in
questo caso l’amministrazione non ha realizzato alcun atto di esercizio del
potere amministrativo e il rapporto tra la stessa ed il privato si gioca
interamente sul piano del comportamento (“dimensione relazionale
complessiva tra l’amministrazione ed il privato”), non esistendo, appunto,
alcun provvedimento amministrativo a cui astrattamente imputare la lesione di
un interesse legittimo.
34. L’ordinanza n. 8236 del 2020 ha, infine
affermato, con attenta analisi delle disposizioni contenute negli artt. 7 e 30 c. 2
del c.p.a. di cui al d.lgs. n. 104 del 2010,
che i principi affermati nelle ordinanze nn. 6594,
6595, e 6596 del 2011, rese con riferimento alla disciplina dettata dal d.lgs. n. 80 del 1998 (che regola “ratione
temporis anche la vicenda oggi sottoposta all’attenzione di questo Collegio,
che si colloca in epoca antecedente alla entrata in vigore del c.p.a di cui al d.lgs. n. 104 del 2010) non hanno perso di
attualità a causa dell’entrata in vigore del d.lgs.
n. 104 del 2010.
35. Il Collegio ritiene di dare continuità ai
principi affermati nella ordinanza n. 8236 del 2020 sopra richiamata, perché
condivide tutte le ragioni esposte, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. cod.proc.civ., non contrastate
dai controricorrenti.
36. Tutte le argomentazioni motivazionali
costituiscono, infatti, lo sviluppo di principi della giurisprudenza di questa
Corte e di quella amministrativa ( Cons. Stato Adunanza Plenaria n. 5 del 2018)
in materia di riparto della giurisdizione e sono saldamente ancorate all’art. 103 c. 1 Costituzione e ai principi affermati
dalla Corte Costituzionale, la quale ha radicato la giurisdizione anche
esclusiva del giudice amministrativo nell’avvenuto esercizio da parte della
pubblica amministrazione di poteri amministrativi che si siano estrinsecati in
atti unilaterali autoritativi, o in atti consensuali sostitutivi o integrativi
del potere autoritativo (C. Cost. n. 204 del 2004), ovvero nei comportamenti
collegati all’esercizio, pur se illegittimo, di poteri pubblici che
costituiscono esecuzione di atti provvedimenti amministrativi e sono
riconducibili all’esercizio del potere dell’Amministrazione (C. Cost. n.
191/2006) e non consistano, invece, in meri comportamenti materiali avulsi da
tale esercizio (C. Cost. n. 35 del 2010).
37. La ricostruzione contenuta nella ordinanza n.
8236 del 2020 poggia sul rilievo che la causa petendi della domanda non era
costituita dal ritardo della P.A. nel provvedere (negativamente o positivamente),
ma era fondata sulla violazione dell’affidamento ingenerato dalla
amministrazione in un determinato esito, favorevole alla attrice, del
procedimento e rileva che la pretesa aveva ad oggetto un danno causato non da
atti o provvedimenti ma dal comportamento tenuto dalla P.A. tale da ingenerare
un incolpevole affidamento nel rilascio del permesso, poi deluso, dal diniego
finale.
38. Essa, quindi, lungi dal costituire, come,
invece, annotato da attenta dottrina, la riedizione della teoria della
prospettazione, dà applicazione al principio più volte affermato da queste
Sezioni unite (cfr. supra p.n. 15 di questa sentenza) secondo cui la
giurisdizione va determinata sulla base della domanda e che, ai fini del
relativo riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo rileva non già
la prospettazione compiuta dalle parti, bensì il petitum sostanziale, il quale
deve essere identificato non tanto in funzione della concreta pronuncia che si
chiede al giudice quanto, piuttosto, della causa petendi, ossia dell’intrinseca
natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con
riguardo ai fatti allegati.
39. L’ ordinanza, inoltre, tiene ben ferma la
differenza tra le regole pubblicistiche e quelle privatistiche, in conformità
all’orientamento giurisprudenziale espresso dal Cons. Stato nella sentenza n. 5
del 2018 (si legga anche la più recente nella sentenza n. 7237 del 2020),
secondo cui “nell’ambito del procedimento amministrativo (e del
procedimento di evidenza pubblica in particolare) regole pubblicistiche e
regole privatistiche non operano, dunque, in sequenza temporale (prime le une e
poi le altre o anche le altre). Operano, al contrario, in maniera contemporanea
e sinergica, sia pure con diverso oggetto e con diverse conseguenze in caso di
rispettiva violazione. Le regole di diritto pubblico hanno ad oggetto il
provvedimento (l’esercizio diretto ed immediato del potere) e la loro
violazione determina, di regola, l’invalidità del provvedimento adottato. Al
contrario, le regole di diritto privato hanno ad oggetto il comportamento
(collegato in via indiretta e mediata all’esercizio del potere)
complessivamente tenuto dalla stazione appaltante nel corso della gara. La loro
violazione non dà vita ad invalidità provvedimentale, ma a responsabilità. Non
diversamente da quanto accade nei rapporti tra privati, anche per la P.A. le
regole di correttezza e buona fede non sono regole di validità (del
provvedimento), ma regole di responsabilità (per il comportamento
complessivamente tenuto)”.
40. Chiarisce, infatti, che la lesione discende non
dalla violazione delle regole di diritto pubblico che disciplinano l’esercizio
del potere amministrativo che si estrinseca nel provvedimento, bensì dalla
violazione delle regole di correttezza e buona fede, di diritto privato, cui si
deve uniformare il comportamento dell’amministrazione; regole la cui violazione
non dà vita ad invalidità provvedimentale, ma a responsabilità.
41. L’ordinanza Cass. Sez. Un. 8236 del 2020 ha
anche affermato, come già evidenziato, che la situazione soggettiva del privato
lesa dalla delusione delle aspettative generate dal comportamento della
pubblica amministrazione non si identifica “nel diritto soggettivo alla
conservazione dell’integrità del patrimonio”, priva in sé di autonoma
consistenza perché il patrimonio di un soggetto è l’insieme di tutte le
situazioni soggettive, aventi valore economico, che al medesimo fanno capo,
sicchè la conservazione dell’integrità del patrimonio altro non è che la
conservazione di ciascuno dei diritti e delle altre situazioni soggettive che
lo compongono e si risolve in una formula descrittiva che unifica in una
sintesi verbale la pluralità delle situazioni soggettive che fanno capo ad un
soggetto.
42. Manifestando, in modo esplicito, di volere dare
continuità ai principi affermati nelle ordinanze
nn. 6594, 6595, e 6596 del 2011 e in quelle successive conformi, ha
precisato che la responsabilità da lesione dell’affidamento del privato entrato
in relazione con la pubblica amministrazione deve essere qualificata come
responsabilità da contatto sociale, qualificato dallo status della pubblica
amministrazione, soggetto tenuto all’osservanza della legge come fonte di
legittimità dei propri atti. Ed ha spiegato che il rapporto tra il privato e la
pubblica amministrazione deve essere inteso come fatto idoneo a produrre
obbligazioni “in conformità dell’ordinamento giuridico” (art. 1173 cod.civ.), dal quale derivano, a carico
delle parti, non obblighi di prestazioni, ma reciproci obblighi di buona fede,
di protezione e di informazione, in virtù degli artt.
1175 c.c. (correttezza), 1176 cod.civ.
(diligenza) e 1337 cod.civ. (buona fede).
43. Essa, inoltre, ha ricondotto la responsabilità
relazionale o da contatto sociale qualificato allo schema della responsabilità
contrattuale, precisando che tale inquadramento non si riferisce al contratto
come atto ma al rapporto obbligatorio, pur
quando esso non abbia fonte in un contratto.
44. Il Collegio ritiene di condividere anche
siffatta ricostruzione e fa proprie, condividendole, tutte le argomentazioni
motivazionali che la sorreggono, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. cod.proc.civ., non contrastate
dai controricorrenti.
45. Va osservato, in primo luogo, che la
ricostruzione della responsabilità da lesione dell’affidamento del privato
entrato in relazione con la pubblica amministrazione in termini di
responsabilità da contatto sociale trova forte radicamento nell’art. 1173 c.c. che prevede che “le
obbligazioni derivano da contratto o da fatto illecito o da ogni altro atto o
fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”.
46. Il Collegio osserva al riguardo che gli obblighi
di buona fede, di protezione e di informazione, imposti dagli artt. artt. 1175 c.c. (correttezza), 1176 cod.civ. (diligenza) e 1337 cod.civ. (buona fede) hanno ormai assunto una
funzione ed un ambito applicativo più ampi rispetto a quella concepiti dal
codice civile del 1942, e non possono essere più considerati strumentali solo
alla conclusione di un contratto valido e socialmente utile, ma anche alla
tutela del diritto, di derivazione costituzionale (art.
41 c. 1 Cost.), di autodeterminarsi liberamente nelle proprie scelte
negoziali, senza subire interferenza illecite derivante da condotte di terzi
connotate da slealtà e scorrettezza.
47.
L’ordinanza n. 8236 del 2020, inoltre, fa leva sulla considerazione che le
disposizioni contenute nella I. n.
241 del 1990 (artt. 21 quinquíes, 21
nonies, art. 2 bis c. 1 ),
pur disciplinando direttamente l’azione amministrativa, la cui violazione inficia la stessa legittimità dell’atto
amministrativo, nondimeno vengono in rilievo per il loro carattere sistematico,
che orienta progressivamente il nostro ordinamento verso un’idea di
“diritto amministrativo paritario” nei casi in cui il danno derivi
non dalla violazione delle regole di diritto pubblico che disciplinano
l’esercizio del potere amministrativo, ma dalla violazione delle regole di
correttezza e buona fede, di diritto privato, cui la pubblica amministrazione è
tenuta a conformarsi al pari di qualunque altro soggetto,
48. E la nozione di diritto amministrativo paritario
risulta ancorata all’art. 97 della Costituzione,
che postula un modello di pubblica amministrazione permeato dai principi di
correttezza e di buona amministrazione e un comportamento dei pubblici poteri
consapevole dell’impatto che l’azione amministrativa produce sempre sulla sfera
dei cittadini e delle imprese e che per questo deve essere orientato al
confronto leale e rispettoso della libertà di determinazione negoziale dei
privati.
49. Infine, il riferimento operato ai principi di
diritto comunitario (sono state richiamate richiamate CGUE 3 maggio 1978 C12/77
Topfer, CGUE 14.3.2013 C- 545/2011 Agrargenossenschaft
Neuzelle, GUE 23 gennaio 2019 C-419/17, Deza a.s.) è apprezzabile perché
attribuisce alla Pubblica Amministrazione una dimensione europea, evocata in
modo espresso dal legislatore interno anche nell’art. 1 del d.lgs. n. 165 del
2001, che finalizza l’azione amministrativa alla efficienza, ponendola in relazione a quella dei corrispondenti
uffici e servizi dell’Unione Europea (così Cass.
sez. lav. 20 giugno 2016 n. 12678).
50. In conclusione, in continuità con il principio
affermato dalla ordinanza n. 8236 del 2020, deve, quindi, ribadirsi che:
“Spetta alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria la
controversia relativa ad una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione
dell’affidamento del privato nell’emanazione di un provvedimento amministrativo
a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme
dai canoni di correttezza e buona fede, atteso che la responsabilità della P.A.
per il danno prodotto al privato quale conseguenza della violazione
dell’affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell’azione
amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (la pubblica amministrazione
ed il privato che con questa sia entrato in relazione) inquadrabile nella
responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità
relazionale o da “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto
idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c.,
e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi alla emanazione e dal successivo annullamento
di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun
provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato abbia
riposto il proprio affidamento in un mero comportamento
dell’amministrazione”.
51. Questi principi trovano applicazione alla
fattispecie in esame perché, come già rilevato, la controversia ha ad oggetto
la pretesa risarcitoria del danno che la società ricorrente ha fondato sulla
avvenuta lesione dell’affidamento riposto dalla società ricorrente nel
comportamento tenuto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nella
conduzione e nella gestione della procedura di mobilità, che precedette la
richiesta di ammissione alla CIGS, che la ricorrente assume essersi compendiato
in comportamenti difformi dai canoni di correttezza e buona fede, comportamenti
questi privi di collegamento, anche solo mediato, con l’esercizio, mai attuato,
del potere amministrativo correlato alla ammissione al trattamento di CIGS.
52. Pertanto, va dichiarata la giurisdizione del
giudice ordinario e, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va
cassata e le parti vanno rimesse innanzi alla Corte di Appello di Roma, in
diversa composizione che farà applicazione del principio di diritto che segue,
e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità:
53. “In materia di cassa integrazione,
ordinaria e straordinaria, spetta alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria
ordinaria la controversia relativa alla pretesa risarcitoria dell’imprenditore,
fondata sulla lesione dell’affidamento riposto nella condotta della pubblica
amministrazione, assunta come difforme dai canoni di correttezza e buona fede.
La responsabilità della P.A. per il danno prodotto all’imprenditore quale
conseguenza della violazione dell’affidamento dal medesimo riposto nella
correttezza dell’azione amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (la
pubblica amministrazione ed il privato che con questa sia entrato in
relazione), inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo
schema della responsabilità relazionale o da “contatto sociale
qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., e ciò non solo nel caso in cui
tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto
ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento
amministrativo sia stato emanato, cosicché il datore di lavoro abbia riposto il
proprio affidamento in un mero comportamento dell’amministrazione”.
P.Q.M.
dichiara la giurisdizione del giudice ordinario
Cassa la sentenza impugnata e rimette le parti alla
Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche in ordine alle spese
del presente giudizio.