Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 gennaio 2021, n. 1507
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo, Accertamento
dell’unicità del datore di lavoro, Riconoscimento di una indennità
risarcitoria pari a 20 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto in
considerazione della discreta anzianità lavorativa del dipendente
Fatti di causa
1. Con la pronuncia del 18.5.2017 il Tribunale di
Brescia ha respinto la domanda, proposta da B.A., volta ad ottenere
l’accertamento dell’unicità del datore di lavoro, rappresentando la S. spa (di
cui era stato dipendente dal 2006 al giugno 2012) e la M. srl (formale datrice
di lavoro) un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro e, per
l’effetto, l’invalidità sotto diversi profili del licenziamento, per
giustificato motivo oggettivo, intimato con atto del 17.3.2014.
2. La Corte di appello di Brescia, con la sentenza
n. 270 del 2018, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato la
illegittimità del licenziamento e, dichiarato risolto il rapporto di lavoro
alla data del 17.3.2014 tra il lavoratore e la S. spa, unico datore di lavoro
unitamente alla M. srl, ha condannato entrambe le società al pagamento di una
indennità risarcitoria pari a venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di
fatto, oltre accessori.
3. I giudici di seconde cure, dopo avere ripercorso
le vicende lavorative del B., hanno ritenuto che, dalla istruttoria espletata,
erano emersi elementi per ritenere che la distinzione tra i due formali datori
di lavoro era soltanto nominale, perché di fatto il datore di lavoro era unico;
da ciò hanno desunto la insussistenza del giustificato motivo oggettivo posto
alla base del licenziamento (cessazione dell’attività aziendale della M. srl a
fronte della prosecuzione dell’attività complessiva della S. spa) e hanno
applicato la tutela di cui all’art.
18 commi 5 e 7 St. lav., con il riconoscimento di una indennità
risarcitoria pari a 20 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto in
considerazione della discreta anzianità lavorativa del dipendente (assunto
dalla S. spa nel 2006), delle discrete dimensioni della società, del numero dei
dipendenti e delle condotte delle datrici di lavoro.
4. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto
ricorso per cassazione la S. spa, affidato a tre motivi.
5. La M. srl ha resistito con controricorso
formulando altresì ricorso incidentale con cinque motivi.
6. B.A. ha resistito con controricorso ad entrambi i
ricorsi, principale ed incidentale.
7. Le società ricorrenti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo la S. spa denuncia l’omesso
esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., per avere la Corte di
appello omesso di considerare che il Tribunale aveva dichiarato improcedibile
il ricorso del lavoratore quanto a tutta l’attività anteriore all’accordo
transattivo del 14.1.2013, con il quale, a seguito del licenziamento disposto
dalla M. srl per mancato superamento del patto di prova in relazione alla
assunzione dell’11.6.2012, il dipendente veniva riassunto con obbligo di
stabilità per un anno e aveva rinunciato a ogni domanda, pretesa (anche
connessa, vicaria e occasionata) di ogni rapporto intercorso tra S. spa e M.
srl; la società rileva la decisività di tale fatto e l’avvenuta acquiescenza
rispetto alla statuizione di improcedibilità della domanda, adottata dal
Tribunale, formulata con riferimento al rapporto lavorativo precedente alla
transazione e a tutti gli elementi di fatto a tale periodo riferiti.
3. Con il secondo motivo si censura la violazione e
falsa applicazione delle norme di diritto di cui agli artt. 2359 e 2497 cc,
con riferimento alla figura di gruppo societario e alla nozione di un
“unico centro di imputazione”, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., per avere escluso la
Corte di appello la autonomia tra le due società e per non avere rilevato che
la M. srl aveva avuto una durata superiore ai due anni, così smentendo ogni
ipotesi di preordinata frode in danno del lavoratore.
4. Con il terzo motivo si deduce l’omesso esame
circa un fatto decisivo del giudizio, ai sensi dell’art.
360 co. 1 n. 5 c.p.c., per avere la Corte di merito, in violazione dell’art. 18 co. 5 della legge n. 300
del 1970, determinato la indennità risarcitoria con riferimento all’intera
domanda dei rapporti e non con riguardo solo a quello espletato presso M. srl
dal 2013 al 2014.
5. I primi tre motivi di ricorso incidentale della
M. srl sono speculari a quelli formulati dalla S. spa.
6. Con il quarto motivo del ricorso incidentale si
denuncia, invece, la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto di
cui all’art. 3 co. 2 della
legge n. 604 del 1966, ai sensi dell’art. 360
co. 1 n. 3 c.p.c., per non avere rilevato la Corte territoriale che la
situazione di crisi e la conseguente fase liquidatoria di M. srl integravano, a
pieno titolo, le condizioni necessarie per fare rientrare il licenziamento del
dipendente nell’alveo del giustificato motivo oggettivo, senza peraltro che il
giudice potesse entrare nel merito delle scelte imprenditoriali effettuate.
7. Con il quinto motivo si eccepisce la violazione e
falsa applicazione delle norme di diritto di cui all’art. 18 co. 7 legge n. 300 del
1970, come novellato dalla legge n. 92 del
2012, e dell’art. 5 della
legge n. 604 del 1966, ai sensi dell’art. 360
co. 1 n. 3 c.p.c., nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio attinente all’obbligo di repechage, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., per avere omesso la
Corte territoriale di verificare se fosse stato assolto (o meno) da parte
datoriale tale obbligo che, invece, in fatto era stato rispettato soprattutto
alla luce della avvenuta conciliazione sottoscritta dal lavoratore con la S.
spa il 14.1.2013.
8. Il primo motivo formulato dalla S. spa ed il
primo del ricorso della M. srl sono inammissibili.
9. L’art. 360 co. 1 n. 5
c.p.c., riformulato dall’art.
54 del D.l. 22.6.2012 n. 83, conv. in lege
7.8.2012 n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile
in cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario,
la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che
abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo
(vale a dire che, se esaminati, avrebbe determinato un esito diverso della
controversia) (per tutte cfr. Cass. n. 8053 del
2014).
10. Orbene, nel caso in esame, la circostanza della
rilevanza della ritenuta transazione tra le parti (del gennaio 2013) è stata
valutata dalla Corte di merito, sottolineando che la statuizione del primo
giudice, che aveva respinto l’eccezione di improcedibilità o di inammissibilità
del ricorso (a differenza di quanto sostengono le ricorrenti circa una
dichiarazione di improcedibilità) era ormai passata in giudicato atteso che nessuna
delle parti ne aveva fatto oggetto di impugnazione.
11. Qualora vi fosse stata una diversa posizione del
Tribunale, nella motivazione della sentenza, rispetto al dispositivo (che nel
rito del lavoro prevale – cfr. Cass. n. 8894 del
2010) la problematica avrebbe dovuto essere sottoposta quale motivo di
gravame.
12. Non essendovi stata, invece, impugnazione ed
avendo la Corte di appello rilevato la definitività della dichiarazione di
rigetto dell’eccezione di improcedibilità, sollevata in prime cure, senza
dubbio non è incorsa nel vizio denunciato ex art.
360 co. 1 n. 5 c.p.c. nel senso sopra delineato dalla giurisprudenza di
legittimità.
13. Il secondo motivo proposto dalla S. spa ed il
terzo proposto dalla M. srl sono infondati.
14. La Corte di merito, in ordine alla
individuazione degli elementi per ravvisare, tra due soggetti, un unico centro
di imputazione del rapporto di lavoro, ha correttamente richiamato, attenendosi
ad essa, la giurisprudenza di legittimità (tra le altre, Cass. n. 19023 del 2017; Cass. n. 26346 del 2016) secondo cui tale
situazione ricorre ogni volta che vi sia una simulazione o una preordinazione
in frode alla legge del frazionamento di un’unica attività fra i vari soggetti
del collegamento economico-funzionale e ciò venga rivelato dai seguenti
requisiti: a) univocità della struttura organizzativa e produttiva; b)
integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo ed il
correlativo interesse comune; c) coordinamento tecnico ed
amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che
faccia confluire le diverse attività delle single imprese verso uno scopo comune;
d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle
varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia
svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari
imprenditori.
15. In adesione ai principi sopra richiamati e con
una valutazione di merito a lei riservata, attraverso un esame completo ed
approfondito del materiale probatorio (e quindi insindacabile in questa sede)
la Corte territoriale ha constatato che la distinzione tra i due formali datori
di lavoro, lungi dall’essere questi soggetti autonomi e distinti, era soltanto
nominale, perché di fatto il datore di lavoro era stato unico.
16. Né la Corte di merito ha affermato che la M. srl
aveva avuto una durata di soli due anni. Allorquando, infatti, i giudici di
seconde cure hanno fatto riferimento ai due anni di attività (pag. 18 della
sentenza) della M. srl, hanno evidentemente presso in considerazione solo il
periodo di lavoro svolto dal lavoratore presso tale società nel quale hanno ravvisato
una commistione di titolarità giuridica, una effettiva operatività ed una
unione nella gestione amministrativo-contabile tra le due società.
17. Il terzo motivo formulato della S. spa ed il
secondo della M. srl sono anche essi infondati.
18. A prescindere dal fatto che, per quanto sopra
detto in ordine al rigetto della eccezione di improcedibilità sollevata in
primo grado, ai fini della determinazione della indennità risarcitoria ex art. 18 commi 5 e 7 St. lav.,
non vi era alcun elemento ostativo per prendere in considerazione l’intero
periodo lavorativo del B. va, in punto di diritto, evidenziato che la suddetta
indennità (non associata alla reintegra) è, in relazione alla sua funzione di
riparazione per equivalente, onnicomprensiva, nel senso che assorbe qualunque
voce di danno, patrimoniale e non patrimoniale, nonché quello previdenziale,
salvo quello derivante dal licenziamento ingiurioso o dal fatto costituente
reato.
19. La sua determinazione è improntata ad una
valutazione equitativa, sia pure parametrata ai criteri di cui all’art. 18 co. 5 legge n. 300 del
1970 in cui, quello della anzianità del lavoratore, in ipotesi di ravvisata
unicità del centro di imputazione del rapporto, non può non tenere conto di
tutto il contesto lavorativo del dipendente svolto presso le società coinvolte
e non fermarsi ad un approccio atomistico, senza che possa valere al riguardo
la eventuale delimitazione (o fondatezza) delle domande nei confronti di uno
soltanto dei titolari formali.
20. In altri termini, si tratta di indici esterni
che vanno, incidentalmente, valutati in sé e non messi in relazione alla loro
singola potenziale idoneità a fondare una valutazione positiva in ordine ad un
autonomo giudizio che abbia ad oggetto esclusivamente il loro esame.
21. Il quarto motivo è inammissibile perché non
coglie nel segno della ratio decidendi della gravata sentenza.
22. La Corte territoriale non ha svolto alcun sindacato
sul merito delle scelte imprenditoriali effettuate dalla M. srl ma ha
considerato la messa in liquidazione della società un dato puramente formale a
fronte della prosecuzione dell’attività complessiva di S. spa (unico ed
effettivo datore dilavoro) che non soltanto non aveva cessato la propria
attività, ma aveva anche continuato, dopo la messa in liquidazione della M.
srl, a commercializzare i prodotti a marchio M. srl.
23. Alcuna violazione di legge è, pertanto,
ravvisabile in ordine alla individuazione del perimetro del “giustificato
motivo oggettivo” né con riguardo al sindacato di merito delle scelte
imprenditoriali non consentito al giudice ordinario.
24. Il quinto motivo è, infine, infondato.
25. Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo
è dettato da ragioni inerenti alla attività produttiva, alla organizzazione del
lavoro e al regolare funzionamento di essa (art. 3 co. 2 legge n. 604 del 1966).
26. Rientrano in tale categoria i licenziamenti
determinati dalla necessità di procedere alla soppressione o riduzione del
posto di lavoro in cui era precedentemente occupato il dipendente.
27. Nella fattispecie, il licenziamento del B. è
stato motivato per la “cessazione dell’attività aziendale” con
effetto al 31.5.2014.
28. La Corte territoriale, rilevando che S. spa e M.
srl, come detto, vi era una unica attività di impresa (essendo unico il centro
di imputazione del rapporto di lavoro) e che l’attività della S. spa non era
mai cessata, ha ritenuto insussistente (sebbene non manifestamente) il
giustificato motivo oggettivo e, conseguentemente, ha applicato la tutela di
cui all’art. 18 commi 5 e 7
legge n. 300 del 1970.
29. Correttamente, quindi, non è stata valutata la
questione dell’obbligo di repechage che si pone, nel caso di verifica positiva
sulla sussistenza delle ragioni organizzative poste a base del recesso e non,
invece, quando è stata accertata la loro insussistenza, come nel caso in esame.
30. Alla stregua di quanto esposto i ricorsi di
entrambe le società devono essere rigettati.
31. Le spese del presente giudizio di legittimità
seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo, con distrazione.
32. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge
24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti
processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale della S. spa e quello
incidentale della M. srl. Condanna le società ricorrenti, ciascuna, al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.250,00
per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli
esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in
favore del Procuratore del controricorrente. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del DPR n.
115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale e per
quello incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.