La prosecuzione di fatto del rapporto di lavoro per decisione unilaterale del datore non costituisce proroga.
Nota a Trib. Milano 30 ottobre 2020, n. 1444
Fabrizio Girolami
In caso di prosecuzione di fatto (per lungo tempo) del rapporto dopo la scadenza del contratto a tempo determinato, riconducibile a una decisione unilaterale del datore di lavoro, il lavoratore con qualifica dirigenziale ha diritto alla conversione del contratto a tempo indeterminato nonché al risarcimento del danno da dequalificazione professionale derivante dall’esonero da ogni prestazione lavorativa e dall’imposizione unilaterale di ferie e permessi, trattandosi di condotte datoriali che impediscono lo sviluppo e il mantenimento delle capacità professionali acquisite dal lavoratore in costanza di rapporto.
Lo ha stabilito il Tribunale di Milano con la sentenza n. 1444 del 30 ottobre 2020.
Nel caso di specie il lavoratore aveva lavorato alle dipendenze della società convenuta, con mansioni dirigenziali, in forza di un contratto a tempo determinato sottoscritto nell’ottobre 2013 per una durata di 36 mesi, fino al 1° febbraio 2017. Il rapporto era poi proseguito di fatto senza soluzione di continuità e, nel dicembre 2018, la società aveva deciso di estromettere il dirigente da ogni attività lavorativa a far data dal 18 gennaio 2019 e fino al 30 giugno 2019, data della definitiva cessazione del rapporto.
Nel giudizio instaurato dinanzi al giudice milanese, il lavoratore aveva esposto che, alla scadenza del contratto, il rapporto era proseguito di fatto senza soluzione di continuità per iniziativa unilaterale della parte convenuta (senza ricevere peraltro alcuna comunicazione formale), chiedendo, per l’effetto, la conversione in un rapporto a tempo indeterminato sin dall’inizio e la declaratoria di illegittimità del recesso datoriale, con riconoscimento dell’indennità sostitutiva del preavviso e dell’indennità supplementare per recesso ingiustificato prevista dal CCNL per i dirigenti.
Il lavoratore chiedeva, inoltre, il risarcimento del danno per la condotta di dequalificazione professionale attuata dal datore di lavoro conseguente all’esonero dalla prestazione di lavoro e alla collocazione unilaterale, per decisione del medesimo datore, in ferie e in permessi.
La società convenuta, nel costituirsi in giudizio, aveva chiesto il rigetto del ricorso eccependo la mera “proroga” del contratto originario, con conseguente rigetto delle domande relative alle indennità di preavviso e aggiuntiva.
Il Tribunale milanese ha parzialmente accolto il ricorso del dipendente affermando quanto segue:
- la prosecuzione (per lungo tempo) del contratto a termine dopo la sua scadenza – per iniziativa unilaterale del datore di lavoro e senza alcun atto formale di proroga – determina il diritto del lavoratore alla conversione dello stesso in un contratto a tempo indeterminato;
- la decisione della società convenuta di porre fine al rapporto di lavoro alla data del 30 giugno 2019 “risulta in assoluto priva di alcuna motivazione e, in quanto tale, produttiva delle conseguenze previste dal CCNL per i dirigenti applicato al rapporto in questione in ordine alla indennità di mancato preavviso”;
- deve essere invece rigettata la domanda relativa all’indennità supplementare “per l’espressa preclusione posta dall’articolo 21 del CCNL applicato con riferimento sia all’anzianità anagrafica del ricorrente sia alla maturazione dei requisiti contributivi”;
- l’estromissione del dirigente dalla prestazione lavorativa successivamente al 18 gennaio 2019 “deve essere considerata fonte di dequalificazione professionale e, quindi, produttiva di un danno illecito e del relativo risarcimento”; in particolare, il periodo di forzata inattività del dirigente ha determinato un danno alla professionalità con “svalutazione della capacità professionale del ricorrente e, quindi, una illegittima dequalificazione”;
- la quantità e qualità delle prestazioni il cui svolgimento è stato impedito al dirigente hanno determinato “una dequalificazione che non è esclusa dal formale mantenimento del rapporto di lavoro fino alla data di cessazione”, in quanto “è pacifico interesse del lavoratore” a “svolgere la sua attività anche al fine di mantenere e sviluppare le sue capacità professionali”;
- il mancato svolgimento del lavoro e delle proprie mansioni determina per il lavoratore un pregiudizio al suo bagaglio professionale che si traduce in un danno patrimoniale risarcibile, la cui quantificazione è rimessa alla valutazione equitativa del giudice;
- è parimenti illegittima la decisione unilaterale della società di imporre al ricorrente la fruizione delle giornate di ferie e di festività maturate e non utilizzate.